Enrico ed Eugenio Reffo e «Le serate di carnevale»

«Commedie e farse, ad uso degli istituti di educazione maschile» scritte dai fratelli Reffo, «maestri nel Collegio degli Artigianelli» (Terza Parte)

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In un articolo del 2014, p. Adelio Cola puntualizza che la vita quotidiana degli Artigianelli ai tempi di Leonardo Murialdo non era monotona e limitata a allo studio e alla preghiera ma ai giovani erano offerti anche momenti di svago, col gioco, lunghe passeggiate, gare sportive e spettacoli teatrali, organizzati soprattutto a carnevale e messi in scena nel teatrino del collegio.

In questa attività così importante per la vita degli Artigianelli, Enrico Reffo si prodiga col fratello Eugenio per fornire copioni teatrali per queste recite messe in scena dagli stessi allievi.

Nasce così nel 1870 una collana intitolata “Le serate di carnevale” che raccoglie «commedie e farse, ad uso degli istituti di educazione maschile», scritta dai fratelli Reffo che si dichiarano «maestri nel Collegio degli Artigianelli», stampata dalla tipografia dell’istituto in fascicoli in 16°, ciascuno con una commedia e una farsa o scherzo comico, al prezzo di 60 centesimi ciascuno.

Senza pretese di esaustività, secondo i dati forniti dal Sistema Bibliotecario Nazionale, “Le serate di carnevale” dal 1870 vengono ancora ristampate nel 1951.

Vediamo qualche titolo. “La festa del conte Leonardo, ossia l’Intendente nell’imbarazzo”, commedia in tre atti; “L’invitato in ritardo”, Scherzo in un atto, Una scappatella castigata, commedia in tre atti, “Se non è pazzo impazzirà”, farsa in un atto, “Leonardo e Fulgenzio. Episodio di una festa di famiglia”, commedia in tre atti, “Una camera incantata alla Locanda del Falcone”, farsa in un atto, “Il cavaliere benefico”, commedia in tre atti, “La Compagnia Fiaschi”, Scherzo comico di prologo alle recite carnevalesche, “I Ciabattini”, Scherzo lirico messo in musica dal M. Elzeario Scala, “Il barbiere di piazza”, Scherzo lirico, messo in musica dal M. Elzeario Scala, “Le dimissioni della Compagnia Fiaschi”, Scherzo comico di conclusione, “La sentinella paurosa”, commedia in tre atti, “Manuelito Gonzales”, dramma in quattro atti, “La Banda”; “Un’avventura ai bagni di Viareggio”; “Anima per anima ossia un’espiazione”, dramma in quattro atti, “L’insonnia”, scherzo comico di prologo, “Ammalato per fantasia”, commedia in un atto, “Un invitato in anticipazione”, “Scherzo a pranzo per una Festa di collegio”, “Il Congresso di Cavoretto”, scherzo lirico in due atti, “Il pesce d’aprile”, farsa in un atto, “Il poeta estemporaneo”, commedia in tre atti, “Una scappatella castigata”, commedia in tre atti, “Per quest’anno niente teatro”, prologo alla recite, “Il figliuol prodigo”, dramma in 5 atti…

«Le numerose commedie, farse, scherzi e monologhi, pubblicate in quattordici fascicoli stampati dalla tipografia del collegio, - scrive p. Adelio Cola - divertivano correggendo ed educavano al vivere civile e religioso. Il capolavoro è “Il figliuol prodigo”, dramma in cinque atti»

In effetti questo dramma è stato molto fortunato: lo apprendiamo da La Stampa dell’8 giugno 1927 che lo definisce un dramma popolarissimo tra i filodrammatici cattolici, così come popolari sono gli autori, l’uno sacerdote e uno pittore, e ne annuncia la rappresentazione al Teatro Rossini da parte della Compagnia Italiana degli Spettacoli Artistici diretta da Umberto Mozzato.

Si tratta di una produzione teatrale particolare che viene definita “teatro dei Patronati” o “Teatro degli Istituti di Educazione” dove i fratelli Reffo raggiungono ottimi risultati. Lo apprendiamo da recensioni coeve ma anche da articoli di giornali di anni successivi.

A questo punto ci addentriamo nel discorso con un po’ di esitazione nel timore di fornire l’immagine dei fratelli Reffo come individui bigotti e sessuofobici.

Al tempo questo tipo di spettacolo è considerato importante per la formazione dei giovani e si pretende che nelle trame siano esclusi i personaggi femminili.

Questa esigenza imponeva agli autori una sorta di autocensura che, nel caso dei fratelli Reffo non pare avere limitato il risultato artistico dei loro copioni.

Dichiarano che «non hanno mai approvato quelle commedie scritte per collegi maschili, in cui si tratta del matrimonio d’una fanciulla, che è bensì assente, ma che ad ogni tratto vi pare di vedere comparire dalle quinte, a rompere il buon proponimento fatto dall’autore di scrivere per i giovanetti».

Sulla stessa lunghezza d’onda è “La Civiltà Cattolica” che nella sua recensione fa questa affermazione: «L’intento virtuoso il comico deve raggiungerlo coll’invenzione della favola, e colla fortuna a cui riescono i personaggi buona o rea, secondo che buono o reo è il loro carattere. In tutti questi punti troviamo di nostro gusto le Serate di carnevale. Lo spazio non ci consente di istituire una critica letteraria, ma bene possiamo accertare che queste commedie riusciranno di allegrissima rappresentazione, facile, deliziosa, e formeranno uno de’ migliori corredi d’un repertorio di collegio» (La Civiltà Cattolica, anno 22, vol. II della serie ottava, Firenze, Manuelli, 1871, p. 448).

A scopo pubblicitario, nei fascicoli è riportata questa recensione di «un ottimo giornale di Torino»: «Con molto criterio e rara esperienza dei bisogni della gioventù, gli egregi autori delle Serate di Carnovale, D. Eugenio ed Enrico Reffo, [presentano] una bella Raccolta di commedie nuove nell’argomento e nell’intreccio, curiose ed interessanti, svolte con maestria. Ebbero essi a cuore, e con ragione, la proprietà e opportunità dello stile, e sovratutto la naturalezza del dialogo, che ha del goldoniano. Ai quali pregi si aggiunge la varietà sempre nuova di episodii ed accidenti che, senza ledere all’unità dell’azione, rompono la monotonia e fanno passar allegramente davvero la serata di carnevale. Essi hanno voluto assennatamente scegliere gli argomenti in modo, che tutta l’azione si svolgesse tra uomini, senza che importune allusioni a matrimonii o simili venissero a guastare il propostosi intento».

Troviamo ancora giudizi favorevoli sulla produzione teatrale dei fratelli Reffo su La Stampa del 5 maggio 1925, quando il critico teatrale che si firma «gi mi.» esamina lo spettacolo di Henry Ghéon “Le pendu dépendu. Miracolo in tre atti” andato in scena al Teatro Rossini il 4 maggio 1925 che rientra nel filone del teatro degli Istituti di Educazione, inteso come arte popolare e come forma di propaganda religiosa. Leggiamo: «Ma non sarà inopportuno che io ricordi che anche da noi sono state scritte per i teatri di educazione e da uomini di buon ingegno, opere che hanno uguale valore artistico di quelle del Ghéon, se pure sono tecnicamente meno perfette. E mi basti ricordare: Giuseppe Ellero, Paolo Dardana, Eugenio ed Enrico Reffo, G. B. Lemoyne. Cinque autori e cinque personalità artistiche diversissime, ma in tutti un amore profondo per il teatro, una discreta competenza tecnica, e una ferma coscienza religiosa. Meriterebbero di essere conosciuti assai più che non lo siano».

Concludiamo con la curiosa vicenda della via Enrico Reffo a Torino. Nominata in alcuni articoli di cronaca nera de La Stampa nel 1941, nel 1947 e nel 1957, si localizza in una pianta di Torino del 1935 nell’area dell’attuale quartiere delle Vallette: si dipartiva ad angolo retto da un tratto oggi scomparso della strada vicinale delle Vallette, in direzione di via Pianezza all’altezza della cascina Le Vallette.

Fine della Terza Parte – Continua

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Articolo pubblicato il 16/05/2020