Il «Polo Nord» a Torino
Particolare di un cartello bifronte con la storia del quartiere Polo Nord

La riqualificazione di piazza Marmolada – Perché la denominazione di Polo Nord? – Seconda e ultima parte

Dal 2000 è iniziato il Piano di Riqualificazione Urbana “Spina 1” e questa zona è stata oggetto di attenti lavori di risistemazione con grande attenzione anche agli aspetti di vita del passato.

La riqualificazione di piazza Marmolada è stata ultimata nel 2014 su progetto dell’architetto Alessandra Aires con la collaborazione del geometra Andrea Marchisio e dell’agronomo Guido Giorza, autore anche di ricerche storiche da noi ampiamente utilizzate per questo scritto. Il progetto prevedeva una riqualificazione contemporanea in grado di ricordare il passato, senza imitarlo o copiarlo fuori dal tempo.

A nord e sud di piazza Marmolada sono stati collocati due grandi cartelli bifronte con la storia del quartiere illustrata con immagini d’epoca.

Un rimando mnemonico del vecchio Polo Nord è oggi visibile, così come negli arredi urbani della piazza e nelle transenne dei passaggi pedonali, in lamiera azzurra con l’indicazione “Polo Nord”.

Nel 2015, il parco prospiciente a Piazza Marmolada è stato intitolato a Pietro Mennea, atleta pugliese torinese d’adozione vincitore a Torino della Coppa Europa nei 100 metri, nel 1979.

A questo punto rispondiamo alla domanda: perché la denominazione di Polo Nord?

Accertato che in questa zona la temperatura era particolarmente rigida, come scrive l’articolo citato in apertura, oggi si ritiene che questo dipendesse dalla particolare intensità con cui vi soffiavano i gelidi venti provenienti dalla Valle di Susa, poco schermati dagli scarsi edifici presenti. Ipotesi consolidata dal fatto che in passato in corso Lione era accumulata la neve raccolta per le strade dei quartieri centrali torinesi.

A questo punto avanziamo l’ipotesi che proprio per la già naturale propensione al freddo dell’area, il nome di Polo Nord sia stato attribuito in concomitanza col clamoroso viaggio compiuto nel 1900 dal Duca degli Abruzzi (1873 – 1933), che con la sua spedizione aveva raggiunto la latitudine Nord più avanzata dell’epoca.

Vogliamo soffermarci su un aspetto del Polo Nord che ci viene tramandato non da testimoni viventi ma da un libro.

Al “Polo Nord” vi era anche la cosiddetta «colonia napoletana», come la chiamava, nel suo libro “Alle porte di Torino” (1926), il giornalista della “Gazzetta del Popolo” Pietro Abate Daga.

Leggiamo che «Forse pochi torinesi sanno che non occorre fare molto viaggio ed affrontare molti pericoli per andare al “Polo Nord”. Il Polo Nord non è lontano. Esiste in borgo San Paolo una piccola borgata che ha assunto questo nome, non si sa perché, ed è abitata da famiglie di condizione non troppo agiata».

Al “Polo Nord”, sempre secondo Abate Daga, «[…] si vive come vivono le popolazioni operaie dei piccoli paesi. Là vi sono modestissime abitazioni, là ogni famiglia provvede direttamente a tutte le faccende domestiche, compreso il bucato ed il pittoresco sciorinamento della biancheria al sole: ciò che più non si osserva, che in modo molto ridotto, nel centro principale del borgo [San Paolo, N.d.R.]».

Ed ecco la descrizione della “colonia napoletana” fornita da Abate Daga: «[…] Si è […] formata in quella estrema parte della città di Torino una numerosa accolta di famiglie napoletane o dell’Italia meridionale, le quali si sono rassegnate alla locazione di una o due camere al piano terreno, dove hanno aperto negozio, dove vivono, mangiano e dormono con una promiscuità di sessi, di adulti e di bambini, che preoccupa gli osservanti dell’igiene e della morale».

Il giornalista riporta, con lo stile e i limiti del tempo, una tra le prime testimonianze di emigrazione meridionale a Torino, fenomeno che assumerà proporzioni molto più ampie tra la fine degli anni ’40 e lungo tutti gli anni ’50 e oltre. Circa la promiscuità è bene sottolineare, allora come negli anni ’50, che almeno nei primi tempi dell’arrivo a Torino, per forza di cose queste famiglie erano costrette a vivere in condizioni precarie a causa della mancanza di alloggi adeguati.

L’articolo prosegue ponendo delle domande e offrendo delle risposte.

«- Ma perché siete venuti a Torino? Perché vi rassegnate ad una vita così disagiata? - si domanda loro.

- Che vulite, signurì? Al nostro paese stentavamo la vita per il lavoro poco rimunerativo. Per altra parte non potevamo mandare a scuola i nostri bambini, i quali crescevano così ignoranti ed infingardi. Qui siamo allo stretto, è vero, ma sbarchiamo il lunario e i nostri bambini vanno a scuola senza costarci un soldo. Anzi, il Patronato scolastico fornisce loro libri e quaderni ed anche scarpe e zoccoli ed altri oggetti necessari».

Leggendo queste parole comprendiamo come cambino i tempi ma rimanga immutato il desiderio di migliorare la propria esistenza, per se stessi e per i propri figli. Sovvengono le parole di un immigrato intervistato dalla “Gazzetta del Popolo” negli ultimi mesi del 1959, citato nel libro di Andrea Biscàro “Il Maciste di Porta Pila”: «Che avevamo da fà, figlio mio? Io cerco lavoro e quassù ci stanno i cantieri e le fabbriche e non sono di razza delicata. Figlio mio, tu capisci, io sono un uomo sofferto».

Dall’immigrazione degli anni del Boom, ritorniamo a quella degli anni ’20:

«È successo infatti così. Qualche famiglia delle regioni meridionali d’Italia, per circostanze speciali, si è stabilita in borgo San Paolo. Vi si è trovata così bene che, scrivendo a congiunti ed amici del proprio paese, si è espressa in modo tale da fare la propaganda più efficace all’immigrazione. Come le ciliegie, una dopo l’altra, nuove famiglie hanno preso la via di Torino e di quella regione, ed ecco in breve creata la colonia».

Specularmente, tornando al 1959, leggiamo sempre nel libro di Biscàro: «Poi mandano [gli immigrati saliti a Torino che hanno trovato lavoro, N.d.A.] cartoline e scrivono lettere: raccontano storie del Nord, dicono che va tutto bene se c’è nu poco di fortunità».

 

Riferimenti bibliografici

Pietro Abate Daga, Alle porte di Torino, Torino, 1926.

Andrea Biscàro. Il Maciste di Porta Pila, Rivoli, 2013.

Riccardo Marcato e Piero Novelli, Il Commissario di Torino”, Torino, 1973.

Fine

 

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Articolo pubblicato il 13/05/2020