Torino. 4 Marzo 1848 Carlo Alberto promulga lo Statuto Albertino

Il ricordo e il monito contro il rischio di mutilazione del Parlamento e della Democrazia

Sono trascorsi 122 anni da quel 4 marzo 1848. Il re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia concede ai «propri sudditi» la «legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia»; essa passerà alla storia come «Statuto Albertino».

Tale documento diverrà, nel 1861, la prima Costituzione italiana. La concessione dello Statuto Albertino si inserì nel caotico contesto delle rivoluzioni del 1848-49 che squassarono l’Europa tutta, mettendo in crisi l’assetto politico-istituzionale uscito nel 1814 dal Congresso di Vienna.

Ai principi della Restaurazione si contrappose infatti la volontà della borghesia di avere un ruolo politico attivo nella sfera di governo e dunque di sostituire il principio assolutistico dell’origine divina del potere con quello liberale del merito e della responsabilità.
Il ’48 italiano fu complesso ed eterogeneo, ma, nei fatti, rese un’unica istanza le lotte per l’istituzione di regimi liberali e costituzionali a quelle per l’indipendenza e per l’unità nazionale. L’esplosione del malcontento popolare portò alla concessione di Costituzioni non solo in Piemonte e Sardegna, ma anche nel Regno borbonico e in Toscana.

A Milano gli Austriaci furono cacciati, a Venezia e Roma vennero addirittura proclamate effimere repubbliche. Ben presto però, gli Austriaci ripresero il controllo dei territori italiani e i sovrani dei vari staterelli ritirarono le concessioni fatte.

L’unico documento di portata costituzionale a sopravvivere all’ondata reazionaria fu appunto lo Statuto Albertino. Così, durante gli anni Cinquanta, il Piemonte sabaudo fu il punto di riferimento di vasti settori del movimento patriottico italiano, sino a divenire il nucleo agglutinante della futura nazione unitaria.

Ciò si dovette principalmente all’affermarsi di prassi significativamente divergenti da quella che era la lettera dello Statuto. La centralità formalmente attribuita al monarca fu infatti appannata da una prassi costituzionale improntata alla logica del parlamentarismo, che spostò l’esercizio del potere esecutivo dal re a un governo collegiale, presieduto da un presidente del Consiglio dotato di credito presso la maggioranza dei deputati: dipendente, quindi, non dall’arbitrio del sovrano bensì dalla fiducia della Camera.

Già risolutamente avviato da Cavour, questo processo di par­lamen­tarizzazione della forma di governo si rafforzò nei decenni successivi all’unità d’Italia.
Svuotato totalmente di significato dall’avvento del fascismo, lo Statuto rimase formalmente in vigore fino alla promulgazione dell’attuale Costituzione repubblicana nel 1946.

Dedichiamo a questa pietra miliare di civiltà e di democrazia, non solo il ripasso di un momento storico, seppur importante, ma l’attenzione che si deve portare in un momento cruciale per il nostro Stato democratico.

Oggi viene messo in discussione da alcune forze politiche il sistema parlamentare rappresentativo che si vorrebbe sostituire con una irrealizzabile democrazia diretta (che non ci fu, nella realtà, neppure nella polis greca) destinata ad attribuire il potere decisionale a ristretti gruppi consultati con strumenti informatici.

Come magistralmente sostenuto dal professor Salvatore Sfrecola “Sulla base dell’esperienza statutaria vogliamo, dunque, non solo ricordare i diritti fondamentali di libertà, civile, politica ed economica, in gran parte rifluiti nell’attuale Costituzione, ma anche riaffermare la centralità del Parlamento come espressione della sovranità popolare esercitata attraverso un sistema elettorale nel quale il cittadino sia chiamato ad individuare chi lo rappresenta attraverso il voto di preferenza in una lista o in un collegio uninominale, come insegna il Regno Unito, la più antica democrazia parlamentare, datata 1215.

Chi crede nei valori della democrazia liberale consacrata dallo Statuto Albertino deve sentirsi oggi più che mai mobilitato a partecipare al dibattito sulle riforme costituzionali troppo spesso formulate ignorando la storia e la realtà del Paese sull’onda di suggestioni, sentimenti o interessi destinati a vita breve, come è accaduto con la proposta di revisione costituzionale bocciata senza appello dagli italiani il 4 dicembre 2016”.

Ma, seppur sotto mentite spoglie il pericolo incombe tutt’ora.

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Articolo pubblicato il 04/03/2020