Felice Romani, prolifico librettista d'opera

Genovese, torinese d'adozione, è ancora citato come autore de «La sonnambula», «Norma» e «L'elisir d’amore» - Un curioso episodio della sua vita torinese

A Torino, una via di Borgo Po è dedicata a Felice Romani, poeta (1788-1865). La via, fiancheggiata da case dignitose, molte suggestive in stile liberty, appartiene ad una piccola enclave di torinesità che comprende via Luigi Ornato, via Verrua, via e largo Moncalvo, così identificabile non tanto per la fauna residente ma per l’aspetto dignitoso e discreto delle abitazioni e per il clima di riservatezza che si percepisce nettamente ma che è difficile rendere a parole. Anche l’intitolazione delle vie si allinea a questa torinesità, in particolare la via Luigi Ornato con la Libreria Borgo Po di recente riaperta al pubblico.

È curioso notare che Felice Romani non è torinese ma genovese, anche se è stato a lungo residente nella nostra città. Può essere interessante rievocarne la biografia di noto e prolifico librettista, poeta e critico musicale dove compare anche un divertente episodio, ormai dimenticato, della Torino ancora un po’ sonnolenta del periodo pre-risorgimentale.

Felice Romani nasce a Genova il 31 gennaio 1788 da famiglia benestante che ha subito alcuni dissesti finanziari. Inizia gli studi di Giurisprudenza a Pisa poi li abbandona e si iscrive a Lettere all’Università di Genova, dove diviene supplente ma non accetta la cattedra per solidarietà con un suo professore rimosso dall’incarico. Compie un lungo viaggio in Europa e al ritorno, nel 1813, debutta a Genova come librettista d’opera per poi trasferirsi a Milano, ingaggiato dall’impresario del Teatro alla Scala.

Scrive novanta libretti per compositori come Vincenzo Bellini (autore di dieci opere, sette con libretto di Romani), Gaetano Donizetti, Saverio Mercadante, Giacomo Meyerbeer, Giovanni Pacini, Gioachino Rossini. Per Giuseppe Verdi scrive soltanto il libretto dell’opera buffa Un giorno di regno che si risolve in un fiasco totale alla Scala il 5 settembre 1840, quando il maestro di Busseto sta già attraversando un grave periodo di crisi.

Nel 1834 Romani viene a Torino, chiamato dal Re Carlo Alberto come direttore della Gazzetta Piemontese, la gazzetta ufficiale del Regno Sardo. Terrà questo incarico, con un discreto stipendio, fino al 1849. Oltre alle leggi, ai decreti, alle circolari e ai comunicati ufficiali, la Gazzetta Piemontese pubblica anche una parte ufficiosa con scritti di varia cultura. Romani vi contribuisce largamente con articoli dedicati alla letteratura antica e moderna e recensioni di romanzi, poesie e commedie.

Nel 1843 avviene il suo scontro col poeta romantico Giovanni Prati.

Prati (Campo Lomaso, oggi frazione di Comano Terme, Trento, 1814 - Roma, 1884) è giunto per la prima volta a Torino da Milano, dove ha ottenuto vasta notorietà grazie alle sue poesie. Sostenuto da esponenti del romanticismo come Alessandro Manzoni, Giovanni Torti e Tommaso Grossi, è stato introdotto nel celebre salotto della contessa Clara Maffei, dove ha trovato una schiera di fervide ammiratrici: Prati ha perso la prima moglie, Elisa Bassi, nel 1840 ed è un giovane vedovo assai disposto a farsi consolare.

Carlo Alberto lo accoglie con simpatia e gli chiede un canto per i soldati. Prati si affretta a comporlo col titolo Poesia ordinata da Re Carlo Alberto per una fanfara militare: «Tutti siam d’un sol paese / Solo un sangue in noi traspar; / A ogni tromba piemontese / Mandi un’eco e l’alpe e il mar!». Sono versi che suscitano allarmi e proteste. La poesia viene presto “silenziata” dopo una nota preoccupata dei ministri d’Austria e di Francia.

Prati, esponente del romanticismo, si trova alle prese coi santoni del classicismo che a Torino fanno capo alla Gazzetta Piemontese di Felice Romani.

Occorre chiarire la posizione del Nostro nei confronti di questo movimento letterario. Di formazione classicista, in passato ha polemizzato contro i romantici, ha scritto violenti articoli contro i Promessi sposi di Manzoni e contro I Lombardi alla prima crociata di Tommaso Grossi. Nelle sue critiche letterarie ha continuato a mostrarsi diffidente verso i poeti romantici. Per contro, quando scrive i suoi libretti d’opera, Romani attinge alle opere di scrittori come George Byron, Victor Hugo e Walter Scott, maestri della scuola romantica che, in teoria, combatte! «… più romanticismo che nei libretti d’opera del Romani non si saprebbe dove andarlo a scovare», così commenta L. M. nel 1934.

Torniamo al 1843, quando il 7 aprile, nella Gazzetta appare un articolo di Adolfo De Bayer che attacca i «poetastri che testé levatisi dai banchi delle scuole, testimoni di loro negghienza ed incapacità ad afferrare e tenere principi elementari delle filosofiche discipline, privi di logica, d’erudizione, di sperienza morale, mutevoli, si lanciano baldi e rigogliosi ne’ campi della immaginazione e si crean per entro i più varii, i più strani composti cui decoran col nome di Poesia».

Prati risponde dedicando a Romani, visto come ispiratore dell’attacco, una satira firmata Un errante giullare che viene pubblicata sul Messaggiere Torinese, diretto da Angelo Brofferio e che ha come principali redattori Pier Alessandro Paravia (Zara, 1797 - Torino, 1857) e Antonio Baratta (Genova, 1803 - Torino, 1864): il primo professore di eloquenza presso l’Università di Torino, il secondo  un geniale, anche se squattrinato, intellettuale noto come caustico epigrammista.

Ecco il testo di Prati diretto a Romani: Classico resti? fai bene amico. / Argento nuovo, vessillo antico / Ho le tue rime letto e riletto / Sii benedetto! / Splendono tutte greco nitore, / Certa purezza che gli è un amore / Certa sintassi, certo costrutto / Che spiega tutto! (…).

Apriti cielo! Romani, furibondo, scaraventa un sonetto... esplosivo: Questi che il nome di giullare piglia / Non è giullare, ma ruffiano e spia. / Venuto ad un congresso di famiglia / Con Baratta, Brofferio e Paravia.

Come saggio di polemica politico-letteraria non c’è male davvero!

Prati risponde con un sonetto assai garbato, mentre Brofferio pubblica un’ode A Giovanni Prati che incomincia: E debbo crederlo - Caro il mio Prati / Che ti sgomentino - Gli urli, i latrati / Di protervissima - Sozza genia / Che colla maschera - Ti assal per via? Un modo elegante per dare del bandito di strada a Romani e alla redazione della Gazzetta Piemontese.

Che fa allora Romani? Perde le staffe del tutto e lancia questo epigramma: Vendé a Venezia la sua moglie Prati; / All’ospizio gettò dei trovatelli / I figli; or, sendo i carmi svergognati, / Che da vender gli resta? i suoi fratelli.

Romani lancia queste atroci accuse contro Prati perché riprende voci calunniose sul suo conto che circolavano da tempo, molto probabilmente su ispirazione della polizia austriaca.

Prati non risponde, lo fa Antonio Baratta con questi versi: Quale ruffiano al pubblico / Roman mi segna a dito; / Ohimè divento pallido... / Sua moglie m’ha tradito!

Decisamente in questa battaglia tra classicismo e romanticismo, i protagonisti non si preoccupano troppo della scelta delle armi! Da un contrasto letterario si è giunti a una rissa con turpi insulti personali, anche se espressi con linguaggio poetico, e si è tirata in ballo la moralità delle mogli dei contendenti!

La moglie di Romani è Emilia Branca (1811-1883), dilettante di musica, suonatrice d’arpa, figlia del ricco mercante milanese Paolo Branca, di vent’anni più giovane del marito che ha sposato nel gennaio 1842.

Come si risolve la controversia? Nell’autunno del 1844, a Prati viene intimato lo sfratto da Torino e al povero Baratta viene tolto il cavalierato della Corte Sabauda con minaccia di sospensione dell’appannaggio. Questi provvedimenti sono spiegati col grande favore che Felice Romani gode presso la Corte. Ma, forse, ha anche pesato nella questione quella certa nota dei ministri d’Austria e di Francia.

Malgrado le sue proteste, supportate dal professor Paravia, Prati deve lasciare il Piemonte.

Vi torna nel 1849. Nello stesso anno, dopo aver diretto la Gazzetta Piemontese per quindici anni, Romani viene licenziato in tronco dal Governo: ha pubblicato Cielo e terra, cantica dedicata alla traslazione a Superga della salma di Carlo Alberto, che alcuni circoli torinesi hanno giudicato offensiva dell’esercito e dello stesso Re.

Il Governo austriaco, per ripicca, offre a Romani la direzione della Gazzetta Ufficiale di Milano con quattromila fiorini di stipendio annuo, ma lui rifiuta. È costretto a intraprendere una sfiancante controversia con lo Stato per ottenere almeno in parte la pensione che gli spetta: Urbano Rattazzi è uno dei suoi avvocati e, nel 1852, si addiviene all’accordo di pagargli il 70% della cifra pattuita nel 1834.

Romani, già nominato presidente della Commissione per i concorsi drammatici a Torino, nel 1855 riceve l’incarico onorifico di presidente della Società degli autori drammatici italiani. Nello stesso anno Rattazzi, divenuto ministro dell’interno, lo chiama alla direzione dell’Appendice letteraria della Gazzetta Piemontese, ma con una retribuzione molto più modesta. Romani riprende così la sua attività di scrittore e di critico come pure quella di librettista. L’ultimo suo lavoro è il libretto della Cristina di Svezia per Sigismund Thalberg, nel 1855.

In questo periodo, la moglie preferisce risiedere presso i parenti a Milano mentre Romani, con crescente frequenza, si rifugia a Moneglia, comune della provincia di Genova dove ha sempre mantenuto forti legami. Compie due viaggi, a Parigi nel 1853 e a Firenze nel 1854, dove rivede musicisti con cui aveva lavorato. Nel 1863 è nominato ufficiale dell’ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, l’anno seguente quello di cavaliere.

A Moneglia, dove si è ritirato per ragioni di salute l’anno precedente, muore il 28 gennaio 1865.

La vedova - che dopo alcuni anni si risposa con il marchese Enrico Cordero di Montezemolo - custodisce l’archivio, pubblica una biografia del marito e progetta la pubblicazione in più volumi dell’opera omnia, compreso l’epistolario e l’edizione letteraria dei melodrammi. Alla sua morte, nel novembre del 1883, sono stati pubblicati cinque volumi.

 

Bibliografia

Felice Romani ed i più riputati maestri di musica del suo tempo. Cenni biografici ed aneddotici raccolti e pubblicati da sua moglie Emilia Branca, Loescher, Torino, 1882.

La Stampa di Torino ha ricordato Felice Romani parlando di Giovanni Prati e di Vincenzo Bellini (1801-1835): L. M., Nel centenario di Vincenzo Bellini. Il più grande librettista italiano direttore della “Gazzetta Ufficiale„ a Torino, Stampa Sera, 10 maggio 1934.

c. r., Battagliero soggiorno torinese di Giovanni Prati, La Stampa, 28 maggio 1934.

Foto: fonte Wikipedia e Gruppo "Torino sparita su facebook".

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Articolo pubblicato il 26/02/2020