La Compagnia delle Opere riunita a Torino
Il tavolo dei relatori

Bernhard Sholz presente alla ormai tradizionale cena sociale al PalaIsozaki

Bernhard Scholz presidente della Compagnia delle Opere, l’associazione riunitasi ieri a Torino per la ormai tradizionale cena sociale al PalaIsozaki, è intervenuto a termine del convegno “Le forze che muovono la storia sono le stesse che muovono il cuore dell’uomo”, moderato da Dario Odifreddi presidente CdO Piemonte, dopo gli interventi di Angelo Benessia presidente della Compagnia di San Paolo, Roberto Cota governatore del Piemonte, Piero Fassino sindaco di Torino. 

 

 “Ciò che mi sembra particolarmente importante ed utile in questo momento – ha esordito -  giustamente sottolineato da Angelo Benessia è la questione della crescita, noi dobbiamo crescere è stato detto da tutti però lui ha sottolineato un aspetto:occorre una crescita di un certo tipo, una crescita di qualità , uno sviluppo vero e duraturo perché non tutto ciò che noi intendiamo come crescita di pil di per sé risponde al bisogno. Il  pil di per sé è un indicatore non sufficiente non è ancora indicatore di equità, non è ancora indicatore di occupazione, dobbiamo crescere anche in una maniera vera non finanziariamente ma soprattutto economicamente.

 

Nel Matching prossimo venturo (7° edizione) la CdO cercherà di dare il suo contributo  permettendo l’incontro tra le imprese, anche quelle non associate per favorire  l’internazionalizzazione come fattore fondamentale. Solo il 5% delle imprese italiane  hanno una relazione stabile con l’estero, e questo è poco, è troppo poco.  Su 4 milioni si tratta di 190mila imprese di cui la metà ha solo relazione con un paese. Ciò  non risponde al potenziale del nostro paese perché l’Italia ha una tale forza propositiva, innovativa che fa piangere il vedere tante imprese che potrebbero andare all’estero ma che non vanno.

 

È chiaro che se l’impresa è troppo piccola fa fatica, per cui mettersi insieme è la condicio sine qua non. Vi  sono poi delle condizioni nel nostro paese – ha continuato Scholz -  che non favoriscono lo sviluppo. La pressione fiscale è troppo alta ma in modo più generale dobbiamo uscire dalla logica redistributiva dove prima tu dai e c’è qualcun altro che ridistribuisce. Lasciamo alle imprese, lasciamo alle famiglie ciò di cui hanno bisogno perché qualsiasi tipo di ridistribuzione crea burocrazia ed inequità. Non bisogna chiedere alla politica aiuti specifici tanto meno privilegi, ancora  meno favori. Ci vorrebbero poche regole chiare e trasparenti che permettano alle imprese meritevoli di fare bene il loro lavoro perché un’impresa gestita bene è un bene per tutto il paese. E tra il profit e non profit non c’è grande differenza perché il profitto non è lo scopo ma lo strumento, va curato bene ma è uno strumento. Perché questa crisi è nata dalla  confusione tra scopo  e strumento.

 

Quindi se noi curiamo bene un’impresa e lo scopo è quello di avere una posizione forte e duratura sul mercato quindi creare un’occupazione continua ed una crescita adeguata, allora noi creiamo imprese meritevoli che hanno la possibilità di essere davvero un bene per tutti e contribuire al bene comune. Questo ci porta al tema del lavoro che deve essere riscoperto nella sua dignità. Ogni lavoro ha una sua dignità e noi abbiamo una trascuratezza culturale del lavoro manuale che diventa insopportabile.

 

Non si capisce  perché un panettiere o un contadino che fa un lavoro manuale, deve essere meno riconosciuto per la dignità del suo lavoro rispetto ad un professore universitario, ciò è il frutto di una confusione culturale drammatica. È indispensabile inoltre  che entri in vigore una riforma dell’apprendistato vero perché questo è l’unica mobilità dignitosa con la quale un giovane entrerebbe nel mondo del lavoro. Il giovane ha il diritto di essere formato bene perché l’unica possibilità che ha di affrontare i vari cambiamenti che lo aspetteranno inevitabilmente è quella che sia formato bene, che abbia delle competenze vere. La formazione dei giovani è la cosa più importante che possiamo dare loro e solo così potremo ridurre  consistentemente la precarietà.

 

Un giovane che ha conoscenze e competenze sarà bravo a presentarsi sul mercato del lavoro e darà un contributo vero all’azienda e alla propria vita. Successivamente Scholz è passato alla questione che è più pressante per lui, che ha riguardato più direttamente il titolo del convegno: tutto il nostro sforzo deve essere orientato a ricreare una società civile vera. C’è una società civile dove ognuno è cosciente della propria responsabilità e del bene comune e dove contribuisce attraverso il suo lavoro, il suo impegno al bene comune. Questa è una cosa assolutamente fondamentale e per non rimanere sul generico entriamo nel merito della sanità. Consideriamo un responsabile in un ospedale.

 

Abbiamo due possibilità per fare in modo che lui gestisca con efficienza e con grande cura quantitativa i pazienti che gli sono affidati. O abbiamo un sistema statale che entra sempre di più con sempre più regole e con sempre più dettagli e quindi con sempre più crescente burocrazia o abbiamo l’altra possibilità estrema (poi la vita è in mezzo)  di avere persone responsabili che per propria iniziativa cercano di ridurre gli sprechi e di curare bene i pazienti in affidamento e questo riguarda anche le imprese. Scopriamo alla fine che la nostra società nostra avrà sì un futuro certo se c’è una buona politica che stabilisce delle regole uguali per tutti che premia i meritevoli, ma non potremo mai fare a meno della responsabilità personale di ognuno.

 

Quindi il sostegno alla responsabilità personale diventa un fattore sempre più rilevante, lo è sempre stato ma oramai di fronte ai problemi che abbiamo s’impone e non possiamo più scappare da ciò. Però sappiamo anche benissimo che assumersi la responsabilità non porta ad un cammino facile. Chi si assume la responsabilità si mette in gioco, rischia e allora diventa evidente che un corpo intermedio diventa essenziale. Perché il singolo non ha bisogno di essere sostituito nella sua responsabilità assistenzialisticamente parlando, ma va sostenuto.

 

E questo sostenere la responsabilità della singola persona ha varie forme. La complessità dello stato moderno con tutte le sue regole,  quelle giuste, ingiuste e alcune volte anche  inutili ha bisogno di un corpo intermedio che la rendono approvabile da ogni singolo soggetto che si gioca all’interno della società altrimenti la responsabilità non è più possibile perché da solo si perde  dentro la complessità della società. E questa non è solo psicologia ma fa parte dell’antropologia umana. L’uomo da solo difficilmente regge le sfide che ha davanti. L’uomo è fatto per vivere insieme non per vivere da solo, ma la compagnia deve sostenerlo  alla sua responsabilità  permettendo al singolo di assumersi la sua responsabilità.

 

Il bello della responsabilità non è quello per cui questa  rende più facile vivere, anzi, spesso è molto più difficile. Ma  c’è un punto culturale fondamentale che è questo: assumersi le proprie responsabilità, ne vale la pena. Si  diventa più se stesso, si matura come persona, ci si conosce meglio, ci si mette più volentieri in gioco. Per cui in conclusione  è la responsabilità personale che ti fa diventare…., che ti rende partecipe a costruire, quella che poi complessivamente è la storia del mondo perché senza responsabilità questo non succede. E questo non lo si fa quindi come  un obbligo morale né volontaristico ma perché è l’unica possibilità per diventare più se stessi.

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Articolo pubblicato il 11/07/2011