"Il Giorno di San Vito - Jugoslavia 1918-1992 storia di una tragedia" di Joze Pirjevec
Strage di Srebrenica (11 luglio 1995)

Un saggio sul fallimento di una ideologia che si proponeva di cancellare le identità etniche

La storia della “creazione di nuovi stati” è un evento molto singolare e dove questa realtà ha avuto modo apparentemente di realizzarsi, ha sempre presentato un percorso complesso, forzato e con risultati finali disastrosi.

Semplificando al massimo si potrebbe affermare che l’impossibilità di creare stati nazionali stabili e funzionali, partendo da aggregazioni di realtà etno-culturali molto diverse e con caratteristiche di potenziale incompatibilità, è come tentare di miscelare l’acqua con l’olio.

Infatti durante l’agitazione forzata di questi costituenti si forma una “miscela apparentemente omogenea” ma che, al termine di questa operazione, tende inevitabilmente a separarsi nelle componenti originali.

Il paragone può apparire una banale semplificazione, ma offre un’idea immediata e percettibile dell’inizio e della fine della natura di questi processi storici complessi, con aspetti antidemocratici, se non fortemente dittatoriali.

E’ quanto ci propone il volume  “Il Giorno di San Vito – Jugoslavia 1918 – 1992 Storia di una tragedia” di Joze Pirjevec – Nuova Eri – saggio che affronta con grande dovizia di dati, competenza e approfondimento questo drammatico evento storico.

La sintetica presentazione del volume, che riporto integralmente, riassume in modo efficace il contenuto della ricerca, che aiuta la lettura del testo, indicando la direttrice da seguire per apprezzare la complessità e la consequenzialità dei diversi capitoli.

“ … I settant’anni di storia dello Stato jugoslavo si collocano nel cuore stesso del nostro secolo e ne rispecchiano le drammatiche vicende.

Nata nel 1918, dopo lo sfacelo della monarchia asburgica, la Jugoslavia è stata davvero (come dicevano i suoi nemici) una «creazione di Versailles».

Le grandi potenze occidentali ne avevano favorito la costituzione per creare nei Balcani un’area di stabilità e costituirvi un cordone sanitario contro l’espansionismo tedesco e sovietico.

Nel far ciò esse hanno però sottovalutato le diversità storiche, politiche e culturali dei popoli che venivano inseriti  nel nuovo Stato, nella certezza che i serbi, per la loro forza numerica e militare, sarebbero stati in grado di unificarli ben presto in una realtà omogenea.

Così non è stato, soprattutto per il rifiuto dei croati e degli sloveni di rinunciare alla propria identità etnica, che si espresse negli anni venti e trenta in un’aspra e a tratti sanguinosa opposizione alla Stato unitario.

La Jugoslavia monarchica crollò dunque, a causa delle sue contraddizioni interne, come un castello di carte, quando fu assalita, nell’aprile 1941, dalle potenze dell’Asse. Per quanto smembrata dalle forze d’occupazione e sconvolta da una guerra civile che nelle diverse realtà etniche assunse caratteristiche diverse, la Jugoslavia risorse nel ’45 come Stato socialista e federale grazie al Partito comunista, guidato da Josip Broz Tito.

Questi riuscì ad organizzare, con il suo messaggio di palingenesi economica, sociale e nazionale, le grandi masse popolari, in un’epica lotta di liberazione.

Il patrimonio accumulato durante la Resistenza venne però ben presto sperperato dagli stessi comunisti jugoslavi, che si comportarono, una volta giunti al potere, con un radicalismo considerato eccessivo (soprattutto per quanto riguarda la politica estera) dallo stesso Stalin. Espulsi dal campo «socialista», nel giugno 1948, essi reagirono con una spregiudicata politica, tesa a conservare all’interno la dittatura del proletariato (cioè quella del PCI) e a garantire anche la sopravvivenza dello Stato nell’arena internazionale.

Da ciò un’interessante ricerca di nuove vie al socialismo, attraverso l’autogestione operaia, e una audace politica estera, caratterizzata prima dall’avvicinamento all’Occidente e poi da alleanze coi Paesi del Terzo mondo (movimento dei non allineati).

Si trattò di un esperimento che non riuscì, nonostante continui tentativi di riforma, per l’incapacità del PCJ, o meglio del suo vertice, di rinunciare all’idea bolscevica del potere.

Quando Tito nel maggio 1980 morì, tutti i nodi vennero al pettine: alla crisi economica e sociale si aggiunse anche quella etnica, dato che il problema della convivenza fra nazionalità diverse, non venne mai seriamente affrontato dai comunisti, ma piuttosto nascosto sotto il belletto della «fratellanza ed unità», come recitava l’ideologia ufficiale.

L’incompatibilità tra le diverse culture politiche del Paese – quella mitteleuropea e quella levantina – esplose negli anni ottanta in maniera violenta e portò alla sua stessa scomparsa.

Re Alessandro Karadjordjevic' e il maresciallo Tito, i due «padroni» della Jugoslavia nei suoi settant’anni di vita, sarebbero stati in disaccordo su tutto, ma non sul fatto che era possibile tenere insieme serbi, croati, sloveni, montenegrini, bosniaci, albanesi, macedoni, ecc., solo col pugno di ferro.

Il titolo del libro Il giorno di San Vito (giorno che, a partire dalla battaglia del Kosovo nel 1389, era stato spesso segnato dalla violenza nella storia jugoslava), vuol simboleggiare proprio questa realtà, che ha improntato di sé la vicenda storica del Paese nella varie e tormentate fasi della sua esistenza…”.

L’analisi della suddetta prefazione offre elementi difficilmente contestabili che nello stesso tempo fanno emergere una realtà ugualmente solida: le realtà etno-culturali, sedimentate nei secoli a livello antropologico, che esprimono un’esigenza di rappresentanza politica ed economica, non sono estirpabili o soffocabili da alcuna ideologia politica momentaneamente vincente e dominante.

Anzi la rivincita antropologica, che cova sotto la cenere dell’insofferenza e della contestazione, com’ è stato dimostrato in altre vicende analoghe in altre parti del mondo, riesce quasi sempre a trovare l’occasione storica per demolire i “regimi ideologici” che hanno esaurito miseramente l’illusione della società perfetta e del benessere.

Un insegnamento questo che dovrebbe portare alla consapevolezza dell’inevitabile conflitto tra l’ideologia e l’antropologia, allorché la prima non vuole riconoscere l’esistenza ancestrale e il ruolo insopprimibile della seconda.

Probabilmente la storia conferma che questo riconoscimento reciproco, attraverso una mediazione che rispetti gli interessi collettivi con i diritti umani, resta ancora un percorso tutto da esplorare, senza escludere che sia forse impossibile.

Il volume è da consigliare a tutti i lettori che intendono approfondire la storia drammatica della dissoluzione e dei genocidi della ex-Jugoslavia (e non solo: si veda quello in Ruanda, in Cambogia, ecc.), tenendo conto della realtà storica ed etno-culturale dei popoli balcanici coinvolti in questo drammatico processo conflittuale.

 

Immagine di copertina da:  www.tio.ch; La Jugoslavio di Tito da: www.limesonline.com

 

 

 

 

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Articolo pubblicato il 04/02/2020