Torino 1897: l'invasione dei «propagatori d'odio contro l'innocente Euterpe»

Divagazioni sugli organetti torinesi, ispirate da una canzone del cantautore piemontese Roberto Balocco

«A l’é la vita ch’am pias a mi/ e mi i la faso la neuit e ‘l di/ na ciamo ai pòver e a jë sgnor/ a l’é la vita dël sonador» (Questa è la vita che piace a me / e io la faccio di notte e di giorno / chiedo l’elemosina ai poveri e ai ricchi / questa è la vita del suonatore): è il ritornello della toccante canzone “Ël sonador” che appartiene al repertorio del celebre cantautore piemontese Roberto Balocco.

 

L’ha cantata domenica 10 novembre, nel corso della presentazione del libro «Tranta, quaranta, tut ël mond a canta», scritto col fratello Piergiorgio, dedicato a canti e filastrocche del vecchio Piemonte, presso la Società di Mutuo Soccorso “Edmondo De Amicis”, in corso Casale a Torino.

 

La canzone di Roberto Balocco evoca la figura del suonatore dell’organetto di Barberia. Erano strumenti musicali meccanici che i suonatori questuanti portavano appesi al collo e che azionavano girando una manovella.

 

Successivamente questi suonatori utilizzavano una sorta di pianoforte verticale montato su un carretto a due ruote munito di stanghe. Suonavano sempre girando una manovella: ne ho ancora un vago ricordo dai tempi lontani della mia infanzia, tra il finire degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 del secolo scorso. In famiglia lo chiamavano “la pianòla”. In rete non ne ho trovato né una foto né un disegno, soltanto la copertina del disco di Roberto Balocco del 1999 riproduce una di queste “pianòle”, che sinceramente coincide solo in parte con i miei sbiaditi ricordi…

 

La canzone di Balocco mi fa tornare alla mente un risvolto torinese del suono degli organetti: le lamentele per il disturbo arrecato dalle loro melodie, esternate dai giornali cittadini.

 

Ne ho già parlato in passato, ricordando come la “Gazzetta del Popolo” del 16 settembre 1851 si era occupata dello sgradevole fenomeno dei rumori notturni che disturbavano il sonno dei torinesi, rumori costituiti dai canti di gruppi di nottambuli e dal suono degli “organini” ovvero gli organetti di Barberia.

 

Così, quando ho casualmente scoperto che a quasi mezzo secolo di distanza, un giornale torinese ritornava sull’argomento, pubblicando un brillante e dotto scritto di un lettore, ho voluto condividerlo con gli Amici di “Civico20News” cultori delle storie torinesi.

 

La lettera in questione compare sulla “Gazzetta di Torino” del 31 luglio-1° agosto 1897, nella rubrica Voci e voti del pubblico, ed è intitolata «- Un supplizio da inquisitori».

 

Leggiamo:

 

Egregio signor direttore,

 

io non intendo mandare in quel … paese tutti gli organetti strapazzatori delle migliori composizioni del Verdi, del Bellini, del Petrella, del Mascagni, del Leoncavallo, del Bizet, del Thomas, del Costa, ecc. ecc. ecc., e chi gira con essi organetti, sfiatati e scordati, per le vie della città e per i cortili delle case, facendo girare… l’anima a coloro che amano sì la buona musica, ma a tempo e luogo, eseguita ammodo e non per far ballare col «mira, o Norma», o con «tutte le feste al tempio» le sartoirëtte e le apprendiste delle stiroire accoppiate ai commessi di negozio e ai garsson d’ii panatè nel bel mezzo di una corte o sotto il porticato di una casa.

 

In certi punti della città questo spettacolo, discutibilmente divertente – almeno per tutti coloro che, volenti o nolenti, sono obbligati a subirlo in santa pace – si rinnova invariabilmente tutti i giorni ad ore fisse, p. es.: dalle ore 12 alle 14 e dalle 18 alle 20.

 

Due ore continue di miagolii strazianti, di stonature irritanti, di tormentosi supplizi per le ben costrutte orecchie!...

 

Ora io domando: è permesso sostare nel bel mezzo di un cortile due ore di seguito e per due ore di seguito far girare disperatamente la manovella d’un organetto dalle note o troppo acute e stridenti o sfiatate e piagnolose?

 

È permesso infliggere un supplizio di tal fatta ad un povero mortale che, puta caso, abbia un lavoro di matematica o altrimenti intellettuale da compiere in quelle due ore, o, magari anche da schiacciare un pisolino riparatore delle forze affievolite in cinque ore di lavoro già compiuto?

 

Se la memoria non mi tradisce, negli scaffali polverosi del municipio deve trovarsi un regolamento moderatore della invasione di questi propagatori d’odio contro l’innocente Euterpe [divinità greca protettrice della musica, N.d.A.].

 

E allora?... giù una spolverata e chi ne ha il dovere faccia sentire e valere la voce del regolamento.

 

Dove questo si viola senza riguardi di sorta è là dove vi sono delle trattorie o vendite di vino col retrobottega che comunica col cortile.

 

E certi portinai non potrebbero avere maggiori riguardi per gli inquilini della casa del piano… non terreno?

Questi alla loro volta, specie alla fine dell’anno, gareggierebbero in riguardi con loro.

E anche di questa mia musica basti, per oggi.

Uno per un esercito.

 

 

Cosa avrebbe pensato, e scritto, il signor «Uno per un esercito» se avesse saputo che un suo concittadino dedicava una canzone proprio a quei «propagatori d’odio contro l’innocente Euterpe»?

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Articolo pubblicato il 21/11/2019