Cronache criminali del passato

Il Re Vittorio Emanuele II vittima di una intraprendente truffatrice viennese (seconda e ultima parte)

Una sera ragionando col cavaliere Paolini di varie cose, Sua Maestà gli chiese se avesse veduta al Pincio la Contessa di S.

- Non la conosco, Maestà, e non so neppur chi sia - rispose Paolini.

- E una bella signora, una gran dama - riprese il Re - ed è per di più mia cugina, non so bene in quale grado - una cugina che non avrei mai supposto di avere.

Paolini, che è per indole e per ragion d’ufficio sospettoso, e più di una volta ha svelato delle insidie che si ordivano in danno del Re, subito pensò che potesse essere un qualche pasticcio nel quale si abusasse della bontà, e della buona fede del generoso Signore, e però si affrettò a chiedere:

- Perdoni Maestà se le faccio una domanda che può sembrarle indiscreta - come ha scoperta questa parentela?

- È semplicissimo: me l’ha detto lei stessa, la Contessa - e mi ha mostrato delle copie di antichi documenti che provano che una sua bisava era una Principessa di Casa Savoia… anzi vi dirò di più: questa dama, che è della famiglia dei Rohan, ora ha iniziata una importante causa per ricuperare dei milioni; ed ho veduto io stesso quello che le scrive l’avvocato suo in proposito… e sembra che anch’io vi abbia un forte interesse, tanto che staremo a vedere se mi convenga di associarmi alla Contessa mia parente per questa causa… Capirete, si tratta di milioni!

Paolini cominciò a scorgere del torbido, e continuò il suo interrogatorio.

- Immagino, Maestà che questa signora… Contessa sia ricca?!

- È certo!… Vi dico che è una gran dama!

- Quindi non vi è da temere che abbia ad importunare Vostra Maestà con richieste di danaro!

Qui il Re rimase un pochino interdetto, o come infra due, non sapendo se gli convenisse di fare una confessione piena al suo grande esecutore di giustizia… come spesso lo chiamava, ma si decise.

- Veramente… per questa importante causa, mi ha chiesto in prestito ventimila lire, che io le ho date… ma me le restituirà presto.

Paolini sogghignò da vero Mefistofele, perché gli parea di aver fra le mani il bandolo di una ben arruffata matassa.

- E questa donna… cioè questa gran dama, si è lasciata più vedere dopo il generoso prestito di Vostra Maestà?

- Sicuramente, varie volte… anche stamane.

- Allora Maestà, stia bene in guardia - son sicuro che non contenta di quello che ha avuto, la… Contessa le chiederà altro danaro!…

- Avete indovinato!…  mi ha chiesto stamane altre diecimila lire… in prestito.

- E Vostra Maestà le ha date?

- No… non ancora.

- Ebbene mi faccia la grazia, per suo bene, di non dar più nulla… scommetto che questa Dama è una astuta truffatrice… che non è Contessa, e che è tanto sua parente quanto io son Papa.

- Già voi non fate altro che pensare a male! - riprese il Re punto sul vivo.

- Ma voi non sapete che persona è la Contessa… che fare da vera Principessa… che istruzione… e poi che cosa mi direte quando mi avrà restituito il danaro?

- Oh non si dia pena per me, Maestà - si accerti che non mi troverò nell’imbarazzo d’una ritrattazione, perché le ventimila lire, hanno preso il volo per non più tornare.

Vittorio Emanuele incominciò a dubitare che Paolini fosse nel vero… pure era una viva puntura pel suo cuore il riconoscersi ingannato.

Più d’una volta quando il cavalier Paolini, o altri riusciva a provargli, che taluno avesse slealmente abusato della sua immensa bontà, l’animo suo era combattuto visibilmente da due diversi sentimenti, dal piacere d’avere scoperto il vero, e dal dispiacere di sapersi, egli Vittorio Emanuele… egli il Re, corbellato come il più ingenuo de’ mortali.

Una volta giunse perfino a dirmi:

- Quando io narro qualche avvenimento a Paolini, ed egli con la sua solita incredulità, sogghigna, mi vien voglia, quasi di dargli uno schiaffo.

Ritornando alla Contessa cugina, Sua Maestà che finiva spesso per arrendersi, così conchiuse il discorso:

- Or bene: Vi prometto che non darò le altre diecimila lire, se prima voi non me lo direte. - Intanto vi do ampie facoltà di appurare. E se poi troverete che questa dama è realmente una Rohan… una Contessa ed una mia cugina, a qual pena vi sottoponete?

- A qualunque! Maestà - ed in ciò dir Paolini prese commiato; perché in mente sua avea già stabilito il piano di battaglia.

All’abile Ispettore riesci assai agevole cosa di presentarsi alla dama in nome del Re, e continuando la commedia della parentela, della lite de’ milioni, ecc., gli riescì a meraviglia di entrare nelle buone grazie della Contessa a tal segno, che ne ottenne l’insigne favore di una fotografia, bellissimo ritratto eseguito in Vienna.

Il Paolini la sera stessa partì alla volta della Capitale dell’Austria con l’amabile compagnia del ritratto della cugina del Re.

A Vienna non perdé tempo in ciancie, e gli venne fatto d’avere i più precisi ragguagli sulla Contessa, e saperne a fondo vita e miracoli.

Dessa era stata in quella città ballerina in teatro.

Donna di molto spirito, di sufficiente istruzione, d’una piramidale scaltrezza e furberia, era fuggita con un ex ufficiale austriaco, un sedicente Conte, che l’avea sposata; ed il quale non contento d’essere Conte, apparteneva anche all’Ordine de’ Cavalieri d’Industria, ordine poco equestre, ma molto antico, che si fa risalire al nostro padre Giacobbe, che giovandosi d’una pelle di capretto truffò la benedizione paterna, che spettava al fratello, e istituì siffattamente l’Ordine dei Truffatori, o de’ Cavalieri d’Industria.

In men d’una settimana Paolini ritornò dal Re, apportatore di indiscutibili prove sulla identità di quell’avventuriera.

Sua Maestà dovette arrendersi all’evidenza, e fece buon viso a cattivo gioco.

- Grazie, Paolini – diss’egli, mi hai reso un altro servigio - poi da quell’uomo di spirito che era soggiunse:

- Dopo tutto, era una donna di piacevolissima compagnia: ho pagato un po’ caro qualche ora di divertente colloquio… ma in conclusione perdo una parente… ma guadagno diecimila lire!

Paolini compì l’opera con allontanare da Roma la sedicente Contessa, la quale saputosi scoperta, pro bono pacis, pensò di prendere il volo per altri lidi, in traccia di altri cugini.

Questo racconto vero ed autentico, non è che un saggio di varie truffe consumate o tentate in danno del più generoso dei principi.

 

Si conclude così il divertente racconto di Fausto che ha anche il merito di immetterci per un attimo nell’intimità di Vittorio Emanuele II, facendoci conoscere «l’appartamento riservato, dove Sua Maestà il Re soleva dare quelle udienze private, intime» alle «supplicanti».

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Articolo pubblicato il 11/10/2019