Cronache criminali del passato

Il Re Vittorio Emanuele II vittima di una intraprendente truffatrice viennese (prima parte)

Raccontiamo un divertente episodio della vita romana del re Vittorio Emanuele II, descritto nel volumetto “Il re Vittorio Emanuele nella sua vita intima. Bozzetti di Fausto”, pseudonimo di Rinaldo De Sterlich (Roma, 1878) e riportato sotto il titolo “Una Parente!…”.

Occorre premettere una breve presentazione di due personaggi citati nel testo, il conte di Castellengo e l’ispettore Paolini.

Il conte Federico di Castellengo era un compagno inseparabile del re. Ottimo conoscitore di cavalli, con la carica di Gran Scudiere, si occupava delle scuderie reali. Il cavalier Raffaello Paolini era un ispettore di Pubblica Sicurezza posto alla immediata dipendenza del re. Nei suoi confronti Vittorio Emanuele II aveva una fiducia sconfinata, tanto da farlo apparire più un amico che un impiegato al suo servizio.

 

Una Parente!…

 

Nella primavera dell’anno 1874 andando un giorno il Re, secondo l’usato, alla passeggiata del Pincio, vide una elegante e bella signora in una bella carrozza di rimessa, che nel passargli d’accanto, non solo gli fece un profondo saluto, ma accompagnò questo con un sorriso, quasi fosse una antica conoscenza.

Quel saluto, quel sorriso di confidenza mossero la curiosità del Re, che disse subito al Conte di Castellengo:

- Mi par di conoscere quella figura… eppure non mi rammento bene; pagherei per sapere chi è.

Dopo poco la carrozza del Re s’incrociò nuovamente con quella della signora, e quindi nuovo saluto, nuovo sorriso, e nuovo eccitamento di curiosità.

Il giorno seguente Sua Maestà ricevette per la posta una profumata letterina raccomandata.

I cinque suggelli d’ordinanza portavano uno stemma gentilizio con una corona di Conte sovrapposta.

Sua Maestà lacerò la busta e ne trasse un elegante foglietto con monogramma e stemma, vergato con una scrittura fina e graziosa.

Il biglietto, scritto in Francese, diceva presso a poco così:

- Sire, sono venuta a Roma a bella posta per poter conferire con la Maestà Vostra, di importanti interessi: Ieri ho avuto la sorte di incontrarla al Pincio, e mi pare che Vostra Maestà mi abbia onorata di un particolare saluto.

Desidero istantemente una brevissima ma riservata udienza - e Vostra Maestà sarà contentissima di avermela conceduta, perché le esporrò cose relative alla nostra famiglia, di non poca importanza pecuniaria.

Sono all’albergo di … ed attendo con ansia un messaggio Reale.

Con profondo ossequio La prego a gradire la testimonianza di devoto e affettuoso attachement.

Di Vostra Maestà

obbl.ma cugina

Contessa Maria di S.

nata dei Conti di Rohan.

 

- Una Rohan! una cugina!! una Contessa!!! - Da dove diavolo è sbucata costei? - sclamò il Re al colmo della sorpresa! - e senza frapporre indugio chiamò uno dei suoi familiari, e gli diede ordine di recarsi all’albergo di…, di chiedere personalmente della Contessa di S. e di annunziarle, che egli il Re, sarebbe stato lieto di riceverla l’indomani alle 6 di sera, cioè dopo la passeggiata del Pincio, in udienza privatissima.

Il messo, senza por tempo in mezzo, corse a compier la missione, e non tardò a ritornare recando all’Augusto padrone i ragguagli dell’abboccamento.

La Contessa era da tre giorni a Roma, nel migliore appartamento di uno dei principalissimi alberghi. - Avea ricevuto l’inviato del Re con dignitosa cortesia, e si era mostrata lietissima dell’invito Reale!

Il Re dal canto suo quando era punto dalla curiosità, divenia smanioso, avrebbe voluto che il tempo corresse veloce come il pensiero!

Il giorno seguente all’ora indicata un servo in confidenza del Re aspettava la nobile dama al portone del Real Palazzo, dalla parte della via chiamata della Dataria.

La Contessa fu più che precisa all’ora assegnatale, e fu introdotta all’Augusta presenza del Re.

Al secondo piano del Palazzo, entrando dal portone testé menzionato, a destra della scala e a man sinistra del medesimo corridoio ove è il Gabinetto del Ministro della Real Casa, vedesi un modesto usciolino verniciato color di noce.

Quello dava accesso a due più che modeste camerette, ammobigliate, o meglio, smobiliate con gusto assai Spartano.

In fondo vedesi una piccola scala con ringhiera di ferro, che conduce a due belle sale tappezzate di carta color cilestre, e discretamente fornite di mobilio, conveniente per altro appena ad un modesto borghese.

Era quello l’appartamento riservato, dove Sua Maestà il Re soleva dare quelle udienze private, intime, che gli erano assai spesso richieste, e che non avrebbe potuto convenientemente dare latrove, senza che le supplicanti (undici volte su dieci eran donne che imploravano l’udienza) fossero vedute dalla servitù almeno: perché il quartierino, dianzi menzionato, oltre al vantaggio di esser del tutto segregato, sebbene comunicasse con l’appartamento del Re, avea quello di esser affidato alla custodia di un solo individuo, una specie di cane ringhioso che quasi per incanto apriva l’uscio, lo richiudeva, presentava al Re la persona ammessa all’udienza, e spariva; per non riapparire se non quando era chiamato dalla voce stentorea di Vittorio Emanuele.

In quel quartierino fu per lo appunto accompagnata la Contessa, e lasciata in compagnia del Re, che da quel gentile signore ch’egli era, le venne incontro in cima alla scaletta dalla ringhiera ferrea.

Certamente siccome non sono indovino, né figlio d’indovino, non sono al caso di narrare per filo e per segno tutti i propositi tenuti tra Sua Maestà e la Contessa; ma ecco quello che se ne poté sapere dal Re stesso, una decina di giorni dopo il primo abboccamento con la dama straniera.

Fine della prima parte - Continua

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Articolo pubblicato il 10/10/2019