Così Pio XII salvò l’Italia dal comunismo

Una pagina di Storia, forse dimenticata.

Prima ancora di papa Giovanni Paolo II, il quale – figlio della Polonia saccheggiata e massacrata dagli stalinisti – sovrintese alla morte del comunismo sovietico con il crollo del muro di Berlino, papa Pio XII ebbe il merito di porre un ostacolo insormontabile all’espansione del dominio comunista in Italia.

Lo fece con la celebre scomunica per chi votasse PCI, annunciata con il decreto emesso dalla Congregazione del Sant’Uffizio il primo luglio 1949. Erano gli anni caldi del dopoguerra e il Partito comunista di Togliatti stava guadagnando sempre maggiori consensi, con il rischio, per l’Italia, che, conquistata la maggioranza assoluta, grazie all’alleanza con il Partito Socialista di Nenni, i leader della falce e martello sganciassero il Paese dall’Alleanza Atlantica per consegnarlo tra le braccia dell’URSS.

La scomunica

Il famoso decreto del Sant’Uffizio, subito avallato da Pio XII, definì illecito iscriversi al Partito comunista o sostenerlo, essendo «materialista e anticristiano»; illecito «stampare, divulgare o leggere» la stampa comunista ed anche collaborarvi; dichiarò essere scomunicati e non più ammissibili ai Sacramenti quanti avessero trasgredito tali divieti, essendo oltre tutto scomunicati, «in quanto apostati della fede cattolica».

È facile immaginare l’effetto-bomba che questo documento ebbe nei rapporti tra Chiesa e mondo comunista. Proprio perché alla prossima scadenza elettorale mancavano quasi quattro anni, le strutture ecclesiastiche ebbero tutto il tempo per adeguarsi al messaggio del Sant’Uffizio e attrezzarsi per sottrarre un numero sempre maggiore possibile di credenti alle false lusinghe del PCI.

Il rischio lo avevano compreso assai bene nella sede delle Botteghe Oscure, da dove partì una serie di direttive tendenti ad indicare Papa Pacelli a scrittori, registi, divulgatori col fazzolettino rosso, come l’obiettivo principale da colpire. Ebbe così inizio una sarabanda di iniziative pseudo-culturali tendenti a gettare fango sulla figura di Pio XII. A cominciare dalla rappresentazione, nel 1963, dell’opera teatrale tedesca Il Vicario di Rolf Hochhuth, dove la mancata presa di posizione ufficiale del Papa contro il nazismo veniva giudicata complicità con l’Olocausto, “accusa” che ebbe successo perché purtroppo solo molti anni più tardi sarebbe venuto alla luce l’ordine impartito da Hitler al comandante tedesco in Italia, generale Karl Wolff, di rapire il Papa e rinchiuderlo prigioniero in un castello sul confine svizzero.

Arrestare il Papa

Fu dopo la disfatta di Stalingrado che Hitler impartì al comandante delle SS in Italia l’ordine di predisporre l’arresto del Papa e il suo trasferimento nel Liechtenstein. «Il Vaticano – queste le sue parole – è un covo di cospiratori contro l’Asse. Bisogna occuparlo, arrestare Pio XII e i suoi cardinali e sottoporli alla nostra autorità». Wolff prese tempo e tergiversò, finché il Führer si decise a rinunciare al progetto. Dopo l’occupazione di Roma da parte dei tedeschi e lo stretto controllo esercitato sul Vaticano, non era più necessario. Ma il generale, che, dietro le pressanti richieste di molti cardinali, aveva fatto sospendere l’esecuzione di numerose condanne a morte (il che gli varrà il proscioglimento a Norimberga), aveva un piano preciso: lanciare un ponte verso gli angloamericani. E il Papa fece da intermediario, agevolando la resa di un milione di uomini nelle mani degli Alleati.

Diffamazione continua

Ma torniamo alla campagna diffamatoria contro Pio XII dopo il famoso decreto di scomunica dei comunisti. Alla commedia di Hochhuth fecero seguito i libri di Daniel Goldhagen Hitler’s willige Vollstrecker (in Italia I volonterosi carnefici di Hitler) e dell’ex seminarista John Cornwell Hitler’s Pope (in Italia Il papa di Hitler). Da allora, la saga sinistroide (e sinistra) continua. Troppo duro il colpo ricevuto, per poterne dimenticare l’autore.

Difficile, per esempio, dimenticare l’azione svolta – per suggerimento del Papa – dalle diocesi di tutta Italia, che diffusero e affissero migliaia di manifesti contenenti la sintesi del decreto. Celebre quello della Curia di Piacenza, sul quale poteva leggersi:

«È peccato grave iscriversi al PCI; favorirlo in qualsiasi modo, specie nel voto; leggere la stampa comunista. Quindi, non si può ricevere l’assoluzione se non si è pentiti e fermamente disposti a non commettere più gli anzidetti peccati gravi. Chi fa propaganda per il PCI è apostata della fede e scomunicato».

Furono migliaia i cristiani a farsi venire i brividi, soprattutto le donne di una certa età, le quale tremavano al pensiero che i loro mariti e figli filo-comunisti potessero finire all’inferno.

Alle elezioni del 1953 non ebbero dubbi e votarono per la DC, il cosiddetto “partito dei cattolici”, consentendogli di mandare definitivamente in “pensione” il sogno comunista di issare la falce e il martello sul Quirinale.

La rivoluzione ungherese

La vocazione anticomunista di Pio XII riemerse possente tre anni dopo, nel corso della Rivoluzione ungherese, esplosa il 23 ottobre 1956 e repressa sanguinosamente dai carri armati sovietici in pochi giorni. Tre giorni dopo la rivolta contro il dittatore bolscevico Ràkosi, Papa Pio XII indirizzò un’enciclica all’episcopato di tutto il mondo sollecitando pubbliche preghiere, in modo che «il carissimo popolo ungherese, afflitto da tanti dolori e bagnato da tanto sangue, come pure gli altri popoli dell’Europa orientale privati della loro libertà, possano felicemente e pacificamente dare un retto ordine alla loro cosa pubblica».

Il 31 ottobre 1956, il nuovo governo installatosi a Budapest decise di rimettere in libertà il primate d’Ungheria, il grande cardinale Jozsef Mindszenty, che aveva scontato ben otto anni di carcere. Ma in pochissimi giorni, la rivolta contro i sovietici fu soffocata nel sangue. Il 4 novembre di quel 1956 l’Armata Rossa entrò a Budapest, lasciando dietro una scia di sangue.

Pio XII, profondamente colpito e commosso per le notizie che giungevano da Budapest, scrisse e rese note, in pochi giorni, ben tre encicliche e lanciò al mondo un drammatico radiomessaggio con una inequivocabile condanna del comunismo. Le tre encicliche erano state precedute dalla lettera apostolica del 29 giugno 1956, intitolata Dum maerenti animo (Mentre con l’animo afflitto), in cui il Papa ricordava le sofferenze della Chiesa nell’Est europeo e invitava tutti i cristiani alla preghiera, in particolare per polacchi e ungheresi.

In una delle encicliche emesse in appoggio dei cristiani ungheresi, quella intitolata Luctuosissimi eventus, si poteva leggere:

«Gli eventi luttuosissimi da cui sono colpiti i popoli dell’Europa orientale e soprattutto l’Ungheria a Noi carissima, insanguinata al presente da una terribile strage, profondamente commuovono il Nostro animo paterno; e non solamente il Nostro, ma certamente anche quello di tutti coloro a cui stanno a cuore i diritti della civiltà, la dignità umana e la libertà dovuta ai singoli e alle nazioni».

L’Operazione Walkiria

Ma il capitolo forse meno conosciuto della vita e della missione di Pio XII rimane – a scorno dei suoi calunniatori – quello dedicato a contrastare la violenza hitleriana contro gli ebrei e a combattere la follia nazista.

La Chiesa cattolica fu la più eroica, la più determinata, la più intransigente comunità ad opporsi alle follie razziste e alla persecuzione antiebraica. Con il risultato di contribuire al salvataggio di non meno di un milione di ebrei in tutta Europa e con un tragico conto da pagare al Terzo Reich, consistente in oltre 4000 religiosi immolatisi in nome della fede e della giustizia e sterminati nei lager nazisti.

Non a caso Reinhard Heydrich – il promotore della «soluzione finale del problema ebraico» – in un rapporto segreto definirà Pio XII «schierato a favore degli ebrei, nemico mortale della Germania e complice delle potenze occidentali».

Due enigmi

Due enigmi ancora oggi avvolgono la vicenda di Claus von Stauffenberg, l’ufficiale che il 20 luglio 1944 tentò di uccidere il Führer. Il primo è se sia vero che il colonnello, fervente cattolico, prima di collocare la bomba si sia confessato dal vescovo di Berlino, ne abbia ottenuto l’assoluzione e si sia comunicato. Il secondo è se si possa affermare che il Vaticano fosse stato preventivamente informato dell’Operazione Valchiria. Difficile pensare che ciò non sia avvenuto.

In Germania, fu mons. Clemens von Galen, futuro beato, vescovo di Münster, ad assumere un ruolo fondamentale nello schierare la Chiesa cattolica tedesca contro la dittatura nazista. Accanto a lui, il vescovo di Berlino, Konrad von Preysing, suo cugino primo. Furono essi a dare inizio ad una lotta senza quartiere contro Alfred Rosenberg e il suo “mito del XX secolo”, il razzismo.

L’allora segretario di Stato vaticano, monsignor Eugenio Pacelli, già nunzio apostolico in Germania e futuro papa Pio XII, inviò ben settanta note di protesta al governo di Hitler mentre i vescovi tedeschi, riuniti alla conferenza di Fulda, pronunciarono una condanna definitiva nei confronti del «neopaganesimo del sangue e della razza».

Del pari, parole inequivocabili di condanna del nazismo erano contenute nei due radiomessaggi pronunciati da Pio XII in occasione del Natale del 1941 e del Natale 1942. Ma già nel 1939, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, con l’enciclica Summi Pontificatus, Pio XII si era schierato apertamente in difesa degli ebrei. E, quando era ancora Segretario di Stato, aveva pubblicato alcuni articoli dedicati al nazismo su L’Osservatore Romano, in uno dei quali aveva scritto che il partito di Hitler non è «socialismo nazionale», ma «terrorismo nazionale».

Un milione di ebrei

È ormai provato – si leggano i libri dedicati da Suor Margherita Marchionne all’argomento – che un milione di ebrei si salvarono in tutte le nazioni occupate dai tedeschi grazie alle iniziative (dirette e indirette) di Pio XII. A cominciare dai cinquemila ebrei nascosti nei conventi, nelle case religiose della capitale e a Castelgandolfo, durante la razzia nazista nei quartieri ebraici di Roma.

Suor Margherita ha dimostrato, carte alla mano, che Papa Pio XII ha contribuito a salvarli, autorizzando certificati di battesimo falsi, ordinando a conventi e monasteri di dare ricetto ai perseguitati, rispondendo, con la collaborazione primaria delle Maestre Pie di Santa Lucia Filippini di Roma, a ben 20 milioni di lettere speditegli da persone, che gli chiedevano aiuto negli anni della guerra. Non per nulla, tanti ebrei, anche famosi, si sono schierati in sua difesa: tra essi, Albert Einstein, Golda Meir, Martin Gilbert, Michael Tagliacozzo, Gary Krupp, Elio Toaff, William Zuckermann. Manca L’Osservatore Romano. Peccato.

 Luciano Garibaldi 

 

Fotografia fornita dall’autore

 

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Articolo pubblicato il 29/09/2019