I saccheggiatori di Casa Tarino
"Il Mondo Illustrato" 1861: Incendio del casamento Tarino (Fonte: Google)

Il catastrofico incendio torinese della notte fra il 27 e il 28 agosto 1861: i furti ai danneggiati, uno degli aspetti più brutti della la vicenda, narrato in parallelo all’articolo di Mauro Bonino

Nella notte fra il 27 e il 28 agosto 1861, nella casa Tarino, in via Po all’angolo con via Montebello, verso le due, scoppia un grave incendio. Il fuoco ha origine nel magazzino di mobili del signor Bertinetti, si propaga a tutto il fabbricato e minaccia di prendere vastissime proporzioni, coinvolgendo altre case e la adiacente fabbrica dei tabacchi.

La rapida diffusione dell’incendio è favorita dal gas per l’illuminazione fuoriuscito dai tubi rotti e dall’alcool di una fabbrica di liquori: le botti scoppiate lanciano liquido infiammato che brucia le imposte della vicina casa.

Nella notte si è udito un colpo di cannone e qualche giornale scrive benevolmente di un segnale di allarme dato con una cannonata, sparata dalla Cittadella oppure dal Monte dei Cappuccini. È invece partito dalla officina del Bertinetti, il quale ha progettato e realizzato un cannone di salvataggio che lancia una corda alle persone che stanno annegando. Questo cannone era carico ed è scoppiato per il calore dell’incendio.

In soccorso sono intervenuti per primi i carabinieri e militari di vari reparti, gli ussari di Piacenza, i soldati del 45° e 46° fanteria, della artiglieria e del treno d’armata.

Morti e feriti dimostreranno ampiamente gli eroici sforzi di questi militari che, pur volenterosi e coraggiosi, sono certo impreparati e privi delle attrezzature adeguate. Tutti questi militari cercano di contenere l’incendio togliendo di mezzo il materiale infiammabile: mobili e masserizie vengono gettate dalle finestre per togliere esca al fuoco e, dove gli inquilini sono assenti perché in villeggiatura in campagna, le porte vengono sfondate e gli arredi buttati per strada. Si dovranno lamentare gravissimi danni materiali, anche per troppo zelo nella distruzione di mobili negli alloggi minacciati dal fuoco. Pendole, marmi, ricche suppellettili finiscono così sul selciato di via Po e di via Montebello.

I pompieri municipali arrivano alle quattro e mezza del mattino, con un’ora e mezza di ritardo. Non portano grande aiuto, le loro pompe sono praticamente fuori uso, i tubi sono guasti; per fortuna alcune pompe idrauliche arrivano dall’arsenale militare: senza di queste sarebbe difficile contenere il fuoco.

Il fuoco divampa già sulle travi della manifattura tabacchi, favorito dal vento di tramontana, ma due dipendenti, con grave pericolo, riescono a spegnerlo. Dai tetti viene anche tagliata ogni comunicazione con la casa attigua. Una signora che ha appena partorito viene portata col neonato in luogo sicuro.

Alle cinque del mattino crolla il soffitto del laboratorio degli orologiai Sola e Gramaglia, provocando la morte di vari militari e di due ufficiali, entrati per far sgomberare il locale.

Un ussaro è estratto a fatica dalle macerie, dopo un lungo lavoro di demolizione di un tratto di muro, e viene portato in condizioni disperate all’ospedale militare.

I morti sono tutti soldati, travolti dal crollo del soffitto del laboratorio Sola e Gramaglia. Eccone l’elenco: il colonnello Trotti dei carabinieri, il maggiore De Beaufort del 46° fanteria, Giovanni Vaccari, allievo carabiniere, Vellivano, carabiniere a cavallo, Compaire, brigadiere dei carabinieri, Bernardo Sarsi, idem, Consolini, ussaro di Piacenza, N.N. poi identificato come Lorenzo Della Veneria, ussaro di Piacenza, Giuseppe Colletti, caporale del Treno d’Armata, Oniceto Tosi, caporale del 46° fanteria.

I dieci caduti vengono sepolti al Cimitero di Torino con una lapide commemorativa voluta dal Municipio, dopo un solenne funerale svoltosi nel pomeriggio del 29 agosto. Intanto all’ospedale militare muoiono altri due soldati: Ferdinando Bedogni, il caporale degli ussari estratto dalle macerie, e l’artigliere Alessandro Giacometti.

Si devono poi registrare altre vittime fra gli abitanti della casa e fra i volenterosi civili accorsi a portare soccorso.

Molti deplorano e polemizzano per la cattiva organizzazione dei pompieri municipali e un giornale umoristico si fa interprete di queste critiche: scrive che la vittima non riportata negli elenchi è la reputazione del Municipio di Torino.

Le pompe idrauliche comunali, giunte con la velocità di una tartaruga, perdevano acqua e dovettero essere avvolte con le lenzuola di chi fuggiva per poter funzionare senza perdere tutta l’acqua. Questo è stato solo uno dei mille inconvenienti.

A queste censure, il Municipio di Torino cerca di rispondere con varie iniziative. La giunta municipale, riunitasi alle undici del mattino del giorno 28, prende varie deliberazioni:

1° - Una commissione di inchiesta sulle cause e sulle modalità di spegnimento.

2° - Una commissione per la valutazione dei danni e delle indennità.

3° - La richiesta al ministero degli interni e al ministero della guerra di mettere a punto col Municipio un’unica direzione di comando in caso di incendi.

4° - Un accordo con la Società delle acque potabili per potersi collegare anche alle sue condotte.

Il Municipio decide poi di collocare la lapide commemorativa per i caduti al cimitero e la raccolta di fondi per le vittime.

I danni sono gravissimi, una trentina di famiglie si trovano senza tetto.

I portici di via Po verso l’ospedale di carità (il palazzo degli stemmi) e via Montebello sono ingombri di masserizie ammonticchiate, salvate alla meglio dalle fiamme gettandole dalle finestre. In alcuni appartamenti non vi è più una sedia e nelle due vie si vedono i più sontuosi mobili sfracellati accanto al pagliericcio del povero inquilino delle soffitte: questi infelici sono quelli che più commuovono perché non hanno più nulla.

«Per quanto ci dolga, dobbiamo però notare come s’abbiano a lamentare dei furti durante l’incendio – scrive la Gazzetta di Torino il 29 agosto - furono operati non pochi arresti, fra cui alcuni individui colti sul fatto. Orologi, oggetti di argenteria, posate e perfino un pendolo furono rubati in una casa privata». Quello dei furti ai danneggiati è uno degli aspetti più brutti di tutta la vicenda, perché risultano coinvolti alcuni dei soccorritori, soldati, poliziotti e addirittura carabinieri.

Il 28 agosto, fra gli altri, è accorso sul luogo del disastro Luigi Cuniberti, vicebrigadiere dei carabinieri, che si getta fra le fiamme, penetra nelle camere di Caterina Rochis, rovista in tutti i cassettini e cassettoni e pone in salvo le cose più preziose che trova, mettendosele in tasca.

Il vicebrigadiere getta fuori mobili e biancherie, masticando pastiglie purgative che ha trovato nell’alloggio, e che si era messo in bocca credendole caramelle anziché medicinali.

Si vuoti le tasche, signor vicebrigadiere, perché le impediscono di lavorare con maggiore agilità, gli osserva un sergente furiere degli ussari di Piacenza.

Non ho nulla in tasca.

Non vede che sono gonfie?

Non ho nulla, non ho nulla, dico. E frattanto continua a raccogliere qualche piccolo oggetto.

Il furiere lo costringe a vuotarsi le tasche; ma egli non tarda a riempirle di nuovo, per cui, riferita la cosa ai superiori, un colonnello d’artiglieria ordina che Cuniberti sia posto in arresto e condotto in prigione, dove le pastiglie producono il loro effetto. Viene perquisito e gli trovano alcuni oggetti di lieve valore. Lui raccomanda ai suoi perquisitori di rimanere in silenzio ma questi riferiscono a chi di dovere. Così Luigi Cuniberti, nato a Calliano (Asti), di 27 anni, nel marzo del 1862 compare davanti alla Corte d’Assise di Torino, accusato del furto di due bicchierini col bordo in oro; di un bicchierino da tavola; di un turacciolo da bottiglia guarnito con anello; di una scatola di pastiglie; di quattro fazzoletti in cotone e di un paio di guanti di lana, il tutto per il valore complessivo di lire due e novantacinque contesimi. I giurati lo dichiarano colpevole.

La Corte, con sentenza dell’11 marzo 1862, lo condanna a tre anni di reclusione, più tre anni di sorveglianza speciale della polizia. L’8 dicembre 1867 gli è condonato il resto del periodo di sorveglianza speciale.

Ci sono anche altri processi per furto, a carico di un secondo carabiniere, di un poliziotto e di due soldati di artiglieria ma quello a Luigi Cuniberti, che ha scambiato le pastiglie del farmacista per confetti del pasticcere, sembra quasi una barzelletta!

Tratto da: Milo Julini, L’Arsenio Lupin del Piemonte, Torino, Libreria piemontese editrice, 1999.

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Articolo pubblicato il 28/08/2019