La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

I barabba alla Barriera di Lanzo

Anche nella Barriera di Lanzo i barabba si fanno pesantemente sentire.

 

Una lettera preoccupata e preoccupante di un impiegato del lanificio Galoppo ci fa conoscere una delle tante incursioni teppistiche.

 

 

Barabba e disordini. – Pubblichiamo la seguente lettera, persuasi che saranno prese pronte misure per reprimere i lamentati disordini:

 

Barriera di Lanzo, 3 aprile 1873.

 

Preg.mo sig. Direttore,

 

Lessi nel suo pregiato giornale di ieri l’arresto per furto del confidente del capitano del Genio G. A. dagli agenti di P. S. che non lasciano in pace nemmeno i gatti pei tetti. Sarà vero! – Ma se non lasciano in pace nemmeno i gatti lasciano però tranquillissimi i così detti Barabba, alle barriere e sobborghi di Torino; ed in special modo alla Barriera di Lanzo.

 

Sarà forse per insufficiente numero di detti agenti, o forse per ordini superiori che debbono solo vigilare nell’interno della città; il fatto è, che qui alla Barriera di Lanzo, non si è tranquilli nemmeno nella propria abitazione; ed in special modo gli impiegati ed inquilini dei signori fratelli Galoppo.

 

Prova ne sia, che io sottoscritto, domenica sera, alle ore 7 del 30 scorso marzo, ebbi la bella fortuna di ricevere una buona coltellata nel ventre, senza sapere a chi dire grazie! – Se stamane mi sono già alzato dal letto, ne sono obbligato alla solerte cura del dottore signor F. Percival, che pochissimo tempo dopo la mia ferita, trovassi qui alla mia abitazione.

 

Qui tutte le feste e giorni successivi, è un continuo baccano da mane a sera.

 

Domenica scorsa poi, dopo aver ballato l’intiero giorno, vennero i detti Barabba a contesa con alcune ragazze, perché queste si rifiutarono di ballare; così dalle parole ai fatti, le ragazze cercarono rifugio nell’abitazione degli operai del lanificio; questi inseguendole, salirono sino all’ultimo piano, e trovando una operaia che se stava tranquilla alla finestra, la presero a pugni e a calci, ed ancora ora ne porta le impronte; poi percossero suo marito, ed infine entrarono nell’alloggio del capo tessitore, appunto nel momento in cui io stavo con lui sullo stradale di Lanzo; mentre essi scendevano al piano terreno, io ebbi la disgrazia d’incontrarli e m’infilzarono il coltello nel ventre.

 

Veda, signor Direttore, come qui si vive tranquilli!

 

Alcune donne di qui videro, verso sera, che tre di quei barabba si mostravano il proprio coltello, misurandolo chi l’aveva più lungo e bello.

 

Alla Madonna di Campagna poi, con minacce, obbligarono la musica che suonava sul piazzale della chiesa a cessare.

Poco tempo prima che mi ferissero, alcuni altri giovinastri, minacciarono la serva del ricevitore del Dazio, mentre transitava il tronco di strada ferrata del Borgo San Donato alla suddetta barriera.

 

L’anno scorso è stata emanata una circolare per il divieto dei coltelli, e gli agenti di Pubblica Sicurezza con un’energia degna di lode, fecero moltissime perquisizioni e moltissimi arresti, e allora si viveva un poco tranquilli; ma ora pare che tali perquisizioni non si facciano più, e perciò i ferimenti succedono come prima.

 

La prego pubblicare questa mia acciò i detti agenti possano reprimere ed evitare tante altre disgrazie.

 

Gradisca i miei dovuti ossequi.

Suo dev.mo servitore

P. Quagliotti impiegato al lanificio Galoppo («Gazzetta Piemontese», 4 aprile 1873).

 

 

Qualche volta la risposta della polizia non appare adeguata, come lamenta dopo circa due mesi dallo scritto dell’impiegato del lanificio, questa lettera al direttore della «Gazzetta Piemontese»:

 

Sicurezza Pubblica. - Ci scrivono: «Le voglio raccontare un fatterello che è proprio degno di nota.

 

Un pacifico cittadino, verso le 8 di sera del giorno 27 corrente, si trovava sulla pubblica strada in vicinanza della cascina detta La Fossata (presso la Madonna di Campagna) in compagnia di persone di conoscenza, dalle quali si separò per avviarsi ciascuno alle proprie faccende; appena incamminatosi solo verso Torino percorrendo la banchina della ferrovia Ciriè, venne inseguito da cinque o sei individui a lui affatto sconosciuti, che erano usciti da un campo di grano; i più lontani gridavano a colui che gli stava alle calcagna: uccidilo e tienilo fermo che lo ammazziamo!

 

L’inseguito, che era affatto inerme, quando con sua sorpresa si accorse di essere l’oggetto di tali raccomandazioni, ebbe appena il tempo di salvarsi fuggendo. Giunse alla Barriera doganale, vi aspettò uno dei compagni dai quali si era separato, e seppe che i suoi inseguitori erano stati conosciuti dagli altri, i quali anche lodevolmente si erano adoperati per trattenerne alcuni, e seppe pure che colui che l’aveva inseguito è soprannominato Guggia (ago) e già fu condannato ad alcuni mesi di carcere per fatti barabbeschi.

 

Raccolte maggiori informazioni sul principale inseguitore, di cui seppe anche le generalità, non che il nome dei testimoni, si recò il pacifico cittadino a deporre sulla tentata aggressione all’apposito ufficio di pubblica sicurezza, aggiungendo altri particolari sulle gesta della combriccola barabbesca.

 

Il signor delegato della sezione, dopo udita la deposizione, sa Ella cosa rispose al querelante? Dichiarò che in tutto l’esposto non essendovi reato, nulla ci poteva fare, e che, poiché il querelante era riuscito a conoscere il suo principale inseguitore, poteva chiedergli personalmente soddisfazione dell’affronto ricevuto. I commenti al lettore» («Gazzetta Piemontese», 29 maggio 1877).

 

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Articolo pubblicato il 14/07/2019