Il Carnevale storico d’Ivrea

I suoi protagonisti non sono solo maschere, ma personaggi ideali, simbolo degli antichi valori di libertà.

I carnevali che si svolgono in Italia sono senza dubbio tra i più belli e spettacolari del mondo e affondano spesso le loro radici in eventi di età passate.

Il Carnevale di Ivrea, in particolare, è una delle manifestazioni folcloriche più celebri d’Italia. I suoi protagonisti non sono solo maschere, ma personaggi ideali, simbolo degli antichi valori di libertà e rievocazioni di storie e leggende dei secoli passati. Sono proprio queste caratteristiche a fare del Carnevale di Ivrea una manifestazione unica tanto da farle meritare il riconoscimento di Carnevale Nazionale accanto a quelli di Venezia e Viareggio.

Le origini

Il Carnevale di Ivrea è forse l’unico in tutto il mondo ad avere una trama precisa che lo rende simile alla rappresentazione di una antica commedia dell’arte. Il nucleo originario della leggenda che viene rappresentata risale al Medioevo, sebbene l’odierna festa abbia preso forma solo all’inizio dell’Ottocento.

Due infatti sono i filoni storici che compongono la rappresentazione. Il primo risale al Medioevo, all’insediamento di Raineri di Biandrate come Signore della città. Rainieri, preso possesso del Castello di S. Maurizio (il Castellazzo) sottrasse al vescovo i suoi tradizionali poteri opprimendo l’intera cittadinanza, nobili e plebei, tanto che questa, esasperata da violenze e soprusi, nel 1194, insorse scacciandolo e distruggendo il Castellazzo.

Il maniero sorse però nuovamente per opera di  Guglielmo VII, Marchese del Monferrato, che, meno di un secolo dopo, tentò nuovamente di sottomettere la città venendo però scacciato nel 1266 da una nuova sollevazione. Nella leggenda, Raineri e Guglielmo sfumano in un’unica figura di tiranno che insidia la bella Violetta, figlia di un mugnaio. Questa, pronta a tutto pur di mantenere la propria purezza, mozza il capo del tiranno e, mostrandolo al popolo raccolto sotto gli spalti del castello, lo incita a liberarsi dell’oppressore. Ne segue una grande rivolta che porta alla distruzione del castello e che viene ancor oggi rappresentata dalla battaglia delle arance.

Per comprendere l’attuale struttura del Carnevale, occorre tuttavia completare la storia con uno sguardo ai tempi più recenti. Nel corso dei secoli infatti i vari rioni della città festeggiavano il carnevale separatamente, con feste animate da una accesa rivalità che sfociavano spesso in violenti scontri. Nel 1808 però il governo, preoccupato per l’ordine pubblico, impose di riunire queste unica manifestazione, il cui controllo venne affidato ad un eminente cittadino ben accetto alla maggioranza della popolazione. Nacque così la figura del Generale, “arbitro” del Carnevale ed ebbe inizio il “moderno” Carnevale di Ivrea che da allora mantiene la stessa struttura.

L’apertura della festa

Tradizionalmente il ciclo del Carnevale di Ivrea inizia il giorno dell’Epifania, quando la banda di pifferai e tamburini, seguita dalla cittadinanza, percorre le vie per annunciare l’inizio del periodo di festa. Le musiche dei Pifferi hanno origine antica e sono ispirate alle marce seicentesche suonate dalle bande militari piemontesi ai tempi del Duca Emanuele Filiberto di Savoia.

Il Corteo Storico, ricco di figuranti in abiti rinascimentali a piedi e a cavallo, seguendo i Pifferi, raggiunge il Palazzo Comunale dove il Generale prende le consegne dal suo predecessore con la consegna della feluca e della sciabola. Nel pomeriggio il Corteo, aperto dagli alfieri con le bandiere storiche dei rioni e delle parrocchie cittadine, raggiunge il Duomo dove, alla presenza di una grande folla e delle autorità cittadine si tiene una solenne messa.

La settimana di carnevale

L’inizio alla festa vera e propria avviene però il Giovedì Grasso quando il Generale riceve simbolicamente i poteri dal sindaco e, subito dopo, si reca al Duomo per prestare omaggio al vescovo. Al Sabato viene ufficialmente presentata la Bella Mugnaia che, affacciandosi al balcone del Municipio, apre le danze mascherate in piazza. Solo nel 1858 la Mugnaia, ricordo della figura di Violetta, simbolo di moralità e di libertà, divenne parte integrante della rappresentazione. L’ultima domenica di Carnevale si arriva al clou della festa.

Al mattino si svolgono una serie di rievocazioni storiche, dalla “fagiolata benefica” (ricordo delle distribuzioni effettuate dalle Confraternite religiose ai poveri durante il Medioevo) alla “preda in Dora” durante la quale il Generale, gettando una pietra nel fiume, rievoca la presa del castello; al pomeriggio parte la marcia in costume e ha finalmente inizio la famosa battaglia delle arance che si protrarrà per i due giorni successivi.

La marcia

Ad aprire il grande corteo in costume è la Mugnaia su di un carro dorato adorno di garofani rossi e trainato da cavalli bianchi. La Mugnaia indossa una veste di lana bianca lunga fino alle caviglie e stretta ai fianchi da un cordone, un mantello di ermellino e una sciarpa verde su cui è appuntata una coccarda. La segue il carro del Generale. Oltre alla feluca, alla fascia bianco-rossa ed alla sciabola, indossa alti stivali speronati, calzoni, guanti bianchi ed una giubba nera con bordi, bottoni e spalline dorati. Al fianco del Generale è presente tutto il suo Stato Maggiore: più di trenta persone tra ufficiali, aiutanti di campo, vivandiere ed ex aiutanti di campo, tutti a cavallo. Dietro di lui, il podestà con il suo seguito ed infine i carri degli aranceri. Il corteo percorre il centro storico e ad ogni piazza le squadre degli aranceri a piedi lo attendono pronte per la battaglia.

Gli “scarli” e il funerale del Carnevale

Quella dell’”abbruciamento degli scadi” è un altro aspetto tipico del Carnevale di Ivrea. Il Lunedì Grasso infatti, giovani coppie di sposi innalzano nelle piazze rionali gli “scadi”, alti pali intrecciati d’edera e ginepro, sormontati da una bandiera, simbolo della sacralità e dell’inviolabilità del matrimonio e della famiglia. Il giorno dopo, l’ultimo giorno di festa, dopo la sfilata dei carri allegorici e la premiazione delle squadre di aranceti vincitrici, nelle cinque piazze rionali il Generale con il suo Stato Maggiore da fuoco agli “scarli”. Per ultimo viene bruciato lo “Scarlo” in Piazza del Municipio.

Il rogo è presieduto dalla Mugnaia che in piedi sul carro brandisce la spada verso l’alto. Se la stanchezza e il peso dell’arma fanno abbassare il suo braccio, la tradizione vuole ci sia da attendersi un anno negativo e i fischi e i rimbrotti della folla non si fanno attendere. Completato quest’ultimo compito, il Generale riconsegna i poteri al sindaco, tutti insieme, in un sacro silenzio, rotto solo dalla musica triste e lenta dei Pifferi, si partecipa al funerale del Carnevale fino alla Piazza Ottinetti. “Adverse a giobia n’ bot” (arrivederci a giovedì all’una), grida la folla, ovvero arrivederci al prossimo anno: il Carnevale di scherzi e divertimenti è ormai finito e la Quaresima di penitenza è alle porte.

Daniele Civisca 

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Articolo pubblicato il 30/06/2019