Morire a 17 anni? Si può, purtroppo. Morire per depressione accade solo in Olanda. Per ora.
La vicenda di Noa rapidamente ha fatto il giro del web: da bambina era stata violentata, e a 17 anni è morta a casa sua ad Arnhem, in Olanda. "Ho smesso di mangiare, di bere, e dopo averci a lungo ragionato, ho deciso di lasciarmi andare, perché la sofferenza è insopportabile”. Così ha scritto su Instagram.
Che uno stupro provochi una ferita indelebile nella vita di una donna, su questo, purtroppo, non ci piove. Ma che da questa ferita e dalla depressione non si possa uscire, questo no. C'è eccome la possibilità di guarire, di essere sanati e di tornare a vivere. Ma non si può fare da soli: c'è bisogno di essere aiutati, sostenuti, supportati.
Ora, che non si tratti di un caso di eutanasia attiva come sembrava all'inizio ma di un lasciarsi morire, poco importa: si ha sempre a che fare con una cultura di morte che esalta l’eliminazione dei fragili. Ecco perchè la domanda è: perché Noa non è stata aiutata a vivere? Qual è il problema ad aiutare una persona che vive una difficoltà? Qualcuno ci verrà a dire che "è stata rispettata la sua volontà: questa è la vera libertà".
La libertà è, quindi, condannarsi a non vivere più, a 17 anni? Essere costretta a privarsi della vita? Perché di costrizione si tratta, altro che libertà! Quando uno vive da solo un dolore, per forza di cose si sente "costretto" a staccare la spina. Semplicemente perché non vede via d'uscita e, quello che è più grave, non c'è nessuno che gliela indica.
E, sotto certi aspetti, è quello che ha cercato di denunciare la stessa Noa con il suo libro con il quale voleva aiutare i giovani più vulnerabili a lottare per la vita, lamentando che in Olanda non ci siano strutture specializzate dove gli adolescenti possano ottenere supporto fisico o psicologico in casi simili. Appunto.
Quindi, torna la domanda: come mai tutto questo? Forse ci fa paura il dolore altrui! Non lo riusciamo nemmeno a vedere, abbassiamo lo sguardo, perché il dolore è fragilità e oggi chi è fragile non conta nulla. In una società malata di visibilità, successo e carrierismo, essere fragili è la morte.
Ecco perché il dolore altrui va allontanato, ecco perché si ha paura ad affrontare il dolore dell'altro, perché così si è costretti a fare i conti con i propri dolori, le proprie ferite: inaccettabile! E allora meglio mascherare come "diritto alla morte" quella che invece è solo e solamente "paura del dolore", nostro e altrui.
Ecco perché nessuno dice che Noa aveva diritto a vivere, a ricevere tutto l'aiuto possibile. Ci verranno a dire che "è stato fatto di tutto". Ma quando qualcuno decide di morire, a 17 anni e per giunta non per una malattia cronica, ma per depressione, vuol dire che tanto ancora si poteva fare. La domanda resta: perché non è stato fatto di tutto per aiutare Noa a vivere?
L'Italia - dove se non si agisce in fretta entro settembre scatta l'eutanasia attiva - è avvisata.
Carlo Mascio - Loccidentale.it - Immagine: open.online
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Articolo pubblicato il 06/06/2019