Elezioni europee. Stiamo percorrendo una primavera rovente?

Come superare i luoghi comuni

I partiti hanno per la maggior parte reso pubbliche le candidature per il rinnovo del Parlamento Europeo. E, nonostante il conclamato distacco se non disprezzo del cittadino verso la partitocrazia, stiamo assistendo al consueto, disgustoso teatrino.

 

Querelle all’interno dei partiti (grillini in testa) per la scelta delle teste di …lista; porte sbattute in faccia ai leader per qualche illustre esclusione e, cosa ancor più deplorevole, conversioni sulla via di Damasco di esclusi dalla liste di Forza Italia che confondono, con disinvoltura le proprie miserie personali in crisi ideologica per rifugiarsi tra le mammelle sempre gravide di Giorgia Meloni. Ma il lettore sconcertato non abbocca.

 

A prescindere da scelte e valori, il cittadino che si appresta al volto europeo, dovrà tener presente qualche aspetto basilare.

Innanzitutto, potendo indicare ben tre preferenze, oltre al simbolo di lista, sarebbe auspicabile orienti la scelta su candidati capaci, tenaci e motivati e non a favore di coloro che nei Comuni, nel consigli regionali e al Parlamento nazionale hanno brillato per ignoranza ed incostanza.

 

Con motivazioni diverse siamo assai critici nei confronti del ruolo svolto dall’attuale Comunità Europea, ma non teniamo conto che le ragioni dell’Italia sono state assai sovente trascurate a causa dell’assenteismo e dall’insipienza dei nostri parlamentari che, invece di conoscere le materie oggetto di confronto e di scelte legislative, disertano le sedi comunitarie, preferendo bivaccare nelle fogne dei palazzi romani, lasciando a Paesi meglio rappresentati, la palma delle scelte felici. Agricoltura docet.

 

L’altro aspetto non da poco riguarda il conoscere anticipatamente in quale gruppo politico al Parlamento europeo andranno a confluire i nostri partitucoli italiani.

In passato i tre filoni dominanti e significativi per le scelte che  potevano imprimere alla legislazione comunitaria erano costituiti dai  Popolari che comprendevano i partiti di centro e centro destra, i socialisti, incluso il PD ed i liberali.

 

Oggi, ben tre partiti in Italia si richiamano al sovranismo. In questo caso, non potrebbe solamente trattarsi della convergenza dei deputati italiani con quelli degli altri Paesi europei in un unico gruppo politico. Sembra così impossibile che si formi un’Internazionale sovranista.  Il minimo comun denominatore di tutti i soggetti che si richiamano a questa ideologia inventata dai media è il primato nazionale declinato in modi diversi al netto delle sensibilità di ciascuno. Di conseguenza invocano minori pressioni da parte dell’Unione europea sugli Stati nazionali. Ma si pongono in maniera difforme sul tema che dovrebbe vederli uniti e si presentano come indiscutibilmente “egoisti” l’uno rispetto all’altro.

 

Sull’accoglienza degli emigranti, per esempio, non c’è un solo partito sovranista al governo disposto a dare una mano al “confratello” in difficoltà ed anche per ciò che concerne le richieste alla Commissione europea da parte degli stessi finora non s’è visto un possibile alleato sostenere l’altro.

Il mutuo soccorso, insomma, non è contemplato tra i principi di chi vorrebbe un’Europa degli Stati, delle nazioni e dei popoli rivelando che ognuno piuttosto esige che il proprio Stato, la propria nazione, il proprio popolo vengano considerati entità separate e distinte e come tali si atteggiano anche nei rapporti tra di loro.

 

Se guardiamo ai due gruppi parlamentari europei sovran-populisti, potremo capire che la strategia politica a cui si ispirano è quella della contrapposizione frontale da cui discenderà una campagna elettorale particolarmente feroce caratterizzata dalla “guerra intestina” – la prima guerra sovranista europea – tra gruppi che pretendono di ispirarsi allo stesso orientamento, ma nei fatti sono competitori acerrimi ed indirizzeranno i loro sforzi elettorali non tanto per sottrarre voti ai socialisti o ai popolari ma a primeggiare nel loro campo, magari mostrandosi “diversi” nel reclamare maggiore credibilità e dunque estremizzando le loro proposte.

 

L’Efn ( Europe of nation and freedom, L’Europa delle nazioni e delle libertà) il gruppo del quale fanno parte la Lega di Salvini e il Rassemblement national di Marine Le Pen, oltre agli olandesi di Geert Wilders del partito per la libertà ( fortemente ridimensionato dalle elezioni anticipate a cui ha costretto il liberalconservatore Mark Rutte), il belga Vlaams Belang, i tedeschi di Alternative fur Deutschland, e poi polacchi, rumeni, britannici e gli austriaci di Freiheitliche Partei Õsterreichs che esprime il vice-premier Strache si contrappone all’Efdd ( Europe of Freedom and Direct Democracy, Europa delle libertà e della democrazia diretta) del quale fa parte il Movimento Cinque Stelle, l’Ukip di Nigel Farage – promotore e sostenitore della Brexit – il Partito dei liberi cittadini della Repubblica Ceca.

 

Tutti “sovranisti”, naturalmente, come il Pis (Diritto e giustizia) di Jaroslaw Kaczynski, finora nell’Alleanza dei Conservatori e Riformisti Europei che potrebbero affiancare Giorgia Meloni ( che ha incontrato il leader polacco recentemente) con i suoi Fratelli d’Italia, la quale, tuttavia, tiene a differenziarsi nella campagna elettorale da tutti gli altri tanto da aver denominato il partito in funzione europeista come “Sovranisti e conservatori”. Probabilmente si troverà in compagnia di inglesi ed irlandesi che proprio “sovranisti” non sono.

 

Il pezzo forte della così disomogenea e colorita compagine è Viktor Orbàn, l’uomo forte d’Ungheria, che tenacemente resiste nel gruppo dei Popolari europei che lo ha cautelativamente sospeso e, per quanto corteggiato, non ha nessuna intenzione di abbandonare la casa madre unitamente agli altri aderenti al gruppo di Visegrad che con sfumature diverse condividono l’atteggiamento del presidente magiaro, ma reputano di infilarsi laddove ci sarà più convenienza.

Questa, approssimativamente, la “mappa” dei sovranisti europei. La “cifra” è piuttosto povera: euroscetticismo e lotta all’immigrazione attraverso la chiusura delle frontiere. Naturalmente ognuno la sua.

 

Ma si notano smagliature vistose nel fronte che comune non è. Marine Le Pen con il suo Rassemblement e il Danish people party corteggiano il voto moderato e, non a caso, la prima si è tenuta ben lontano dall’assecondare i gilets jaunes prevedendo la deriva estremista verso la quale avrebbero condotto la loro contestazione a Macron: il movimento che all’origine era spontaneista ed interprete del disagio del ceto medio è oggi odiatissimo in Francia e nessun partito tradizionale vi si accosta temendone il contagio ed il discredito derivante dall’assecondare la brutale violenza inflitta alla Francia negli ultimi tre mesi.

 

Quanto ai Conservatori e Riformisti italiani (che con tale denominazione non esiste a Strasburgo) il leader riconosciuto, alleato della Meloni in una compagine che è piuttosto di Centrodestra, è Raffaele Fitto, ormai alla deriva, che diceva di ispirarsi a Cameron (adesso nessuno sembra più conoscere l’ex- premier britannico): non è molto convincente e sembra non avere appeal; infatti, non basta una adesione formale ad un movimento come quello della Meloni per darsi un tono attraente, ma è necessario precisare i contenuti rispetto a tutti i possibili dirimpettai.

 

Insomma, c’è molta confusione in Europa ed i cittadini che vorrebbero scegliere i “sovranisti” si trovano davanti ad incomprensibili divisioni che rispecchiano le differenze all’interno dei rispettivi confini nazionali. E si spiega: il sovranismo non è un’ideologia, non è una cultura politica omogenea, non è una prospettiva unitaria.

 

E’ il frutto di una fantasia di importazione statunitense: l’ispiratore si chiama Steve Bannon, ex- guru di Donald Trump che dopo pochi giorni o dall’Insediamento alla Casa Bianca lo ha brutalmente scaricato . Bannon ha capito che l’Europa, ed in particolare l’Italia, può essere il laboratorio del sovranismo-populismo. Ma nel suo semplicismo americano non ha realizzato che nel Vecchio Continente le culture politiche, per quanto malmesse, hanno ancora un senso. E mettere insieme identità e tradizioni diverse è arduo come scalare una montagna che respinge gli avventurosi scalatori.

 

Soprattutto quando si palesano per quel che sono: avventurieri. A prescindere dalla sigle, coloro che convintamente s’ispirano al sovranismo, saranno in grado almeno di optare per l’originale, senza lasciarsi attirare dalla vacuità demagogiche dei grillini ed il populismo all’amatriciana di Giorgia Meloni.

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Articolo pubblicato il 20/04/2019