La tragica fine dei Templari e della monarchia echeggia a Square du Temple

di Alice Rocchi

Fonte: parigimeravigliosa.it

 

Passeggiando per l’allegro giardinetto all’inglese di Square du Temple, nel III arrondissement, risulta difficile credere che questa elegante zona di Parigi possa conservare alcune dei ricordi più macabri e tristi della sua storia. Le aiuole ben curate, le corse dei bambini e gli affollati cafés attorno non hanno nulla della fosca atmosfera che, fino al 1810, gravava su questa parte della città.

Nell’anno decisivo 1291, il potentissimo ordine dei Templari, sorto per difendere le vie di pellegrinaggio e liberare i luoghi di culto cristiani della Terra Santa dal giogo degli “infedeli” (era il 1128), venne definitivamente sconfitto e si ritirò dalla Palestina. Il Gran Maestro – che, in quel momento, doveva sentirsi poco “Gran” – si preoccupò di mettere al sicuro il leggendario tesoro dell’Ordine, assieme alla sua illustre persona, tra le possenti mura della sede più sicura d’Europa, ossia quella di Parigi. Nella realtà dei fatti, all’epoca, il Tempio era un’autentica città fortificata all’interno della capitale del regno di Francia, di cui il giardinetto che stiamo percorrendo rappresenta una piccola parte, quella meridionale, che si estendeva esattamente di fronte al torrione.

Il Tempio era autosufficiente in tutto e per tutto, inespugnabile e, per molti versi, intoccabile. Le sue mura merlate e la sua leggendaria torre erano talmente impenetrabili che il re Philippe IV detto Le Bel (‘Il Bello’, 1268-1314), un brutto giorno del 1306, non ebbe altra scelta che rifugiarvisi per sfuggire a una folla inferocita di parigini. Le ultime, infelici manovre finanziarie del sovrano avevano stremato la popolazione e i begli occhi di ghiaccio del re non furono evidentemente sufficienti a sedare la rivolta. Ciò suggerisce che la torre del Tempio fosse più sicura non solo del palazzo reale dell’Île de la Cité in cui il re risiedeva, ma anche della stessa fortezza reale del Louvre.

I Templari accolsero volentieri il sovrano in pericolo e, per una volta nella loro storia, fecero un pessimo affare. La permanenza entro le mura di quell’ingombrante Stato-nello-Stato diede modo a re Philippe di farsi un’idea del livello di ricchezza che l’Ordine aveva raggiunto. Il Tesoro raccolse certamente tutta la sua ammirazione, nonché un vivissimo interesse dovuto al lamento delle casse reali che andavano urgentemente riempite con qualcosa di più consistente delle speranze e delle ragnatele. E che dire del potere immenso di cui l’Ordine era investito, accumulato in anni di sapienti operazioni finanziarie – a differenza delle sue – atte a costituire una vera e propria banca internazionale di deposito attiva in tutta Europa?

A fare gli onori di casa a Sua Altezza c’era Jacques de Molay (1244/49 – 1314), Gran Maestro dell’Ordine. Il rapporto tra Philippe e il Gran Maestro erano sempre stati ottimi, quasi familiari, tuttavia come poteva il Re di Ferro rifiutarsi di obbedire alla “Ragion di Stato” – benché Giovanni Botero non l’avesse ancora inventata – ? La Francia colava a picco per i debiti che, in buona parte, erano stati contratti con l’Ordine stesso dei Templari. Per quanto infelice, la soluzione non poteva apparire più ovvia all’inflessibile Re di Ferro che di ghiaccio, a quanto pare, non aveva solo gli occhi.

Venerdì 13 ottobre 1307, una data passata alla storia tra leggende e superstizioni, i Templari vennero arrestati. Per i sette anni a seguire, i cavalieri del Tempio vennero incessantemente perseguitati, processati, torturati sotto il peso dell’infamante accusa di blasfemia ed eresia. L’Ordine venne definitivamente soppresso nel 1312 per ordine di papa Clemente V.

Jacques de Molay trascorse sette anni nelle prigioni del regno e, per un periodo, fu rinchiuso persino qui, allo Square du Temple, nella stessa torre che aveva avuto un tempo in custodia. L’ultimo Gran Maestro venne arso sul rogo il 18 marzo 1314 assieme al suo compagno d’armi Geoffroy de Charnay. La pira venne eretta su un isolotto della Senna oggi inglobato dall’Île-de-la-Cité, l’isola su cui si erge la cattedrale di Nôtre-Dame.

La leggenda vuole che Jacques de Molay avesse lanciato, tra le fiamme, una maledizione che chiamava papa Clemente V e re Philippe IV a comparire davanti al tribunale di Dio prima che un anno fosse trascorso, cosa che effettivamente accadde: il primo morì in preda alle febbri, il secondo probabilmente a causa di un ictus. Pare che, lungo il corso dei secoli, i racconti popolari abbiano inteso arricchire e rendere più esplicite le parole – comunque cristalline – dell’ultimo Gran Maestro, che sarebbero invece state:

«Dio sa chi ha torto e chi ha peccato: arriverà presto la sventura su coloro che ci hanno, a torto, condannati. Dio vendicherà la nostra morte! Signori, sappiate che in verità tutti coloro che ci sono nemici, a causa nostra, soffriranno. In questa convinzione, voglio morire» dalla testimonianza di Geoffroy de Paris, cancelliere del re.

La tetra sagoma della torre del Tempio rimase parte integrante dell’orizzonte di Parigi per i successivi cinquecento anni e nei secoli, si sa, le storie tristi hanno la tendenza ad accumularsi.

Nell’agosto del 1792, il deposto sovrano Louis XVI, sua moglie Marie-Antoinette, la loro figlia quattordicenne Marie-Thérèse, l’ex-delfino Louis-Charles di appena sette anni, la sorella del re Madame Èlisabeth ed infine l’ultimo servitore del re, Monsieur Henet Cléry, vennero rinchiusi nella prigione del Tempio. Le disavventure che avevano condotto questo gruppetto a varcare la soglia di un luogo tanto lugubre erano state molte, ma le peggiori dovevano ancora venire. Esattamente come la natura oltre le mura si inaspriva, affrontando giornate sempre più buie e gelide con l’approcciarsi dell’inverno, così le speranze dei prigionieri si affievolirono giorno dopo giorno.

Con l’autunno, giunse la notizia dei terrificanti massacri di settembre e del linciaggio della più cara e fedele amica di Marie-Antoinette, Madame de Lamballe. L’ex-sovrana, appresa brutalmente la notizia da una guardia, perse i sensi.

Più tardi, nel cuore dell’inverno, per la torre echeggiarono i terribili addii di un uomo che si separava dalla sua famiglia. Louis Capet – così veniva chiamato il deposto Louis XVI – partiva per affrontare la ghigliottina.

L’estate seguente le strazianti grida di Marie-Antoinette, che veniva separata dal piccolo Louis-Charles, sarebbero rimaste impresse per sempre nella memoria dei presenti.

Il bambino venne spostano in un’altra cella per subire il più atroce dei destini. Morì dopo quasi due anni di solitudine e privazioni senza poter mai rivedere alcun membro della sua famiglia. Troppo pericoloso per il governo rivoluzionario, troppo piccolo per poter essere giustiziato, Louis-Charles, che i realisti chiamavano re Louis XVII, venne tenuto in sempre maggior isolamento fino a che la paura, i maltrattamenti, la malattia e il dolore non lo uccisero (per saper di più sulla prigionia della famiglia reale consiglio una lettura: Guida alla Parigi di Maria Antonietta).

A volte rimango sorpresa nello scoprire come certi luoghi idilliaci possano celare le memorie più sanguinarie, ma nel caso di Square du Temple l’eliminazione del ricordo è spiegato dalla storia.

Il Tempio era diventato una meta di pellegrinaggio per i realisti già subito dopo la morte dei sovrani. Per evitare che la torre diventasse un vero e proprio luogo di culto per la fazione monarchica – che vedeva in Napoleone Bonaparte nientemeno che un usurpatore – nel 1810 venne definitivamente demolita.

Più tardi, si preferì cancellare definitivamente le memorie tristi con un bel municipio dotato di giardino, frequentatissimo centro vitale del quartiere che oggi risuona di grida decisamente più allegre.

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Articolo pubblicato il 03/04/2019