Ugo La Malfa, il ricordo di uno statista intransigente

Nel quarantesimo anniversario della sua scomparsa emergono ancora i suoi ideali

È passato in sordina il quarantesimo anniversario della scomparsa di Ugo La Malfa, , colpito da emorragia cerebrale  e deceduto il 26 marzo 1979  nel pieno fulgore della sua azione politica.

Senza retorica, a vantaggio delle giovani generazioni e di quanti lo conobbero e seppero apprezzarlo, è doveroso ricordare un personaggio che non suscitava di certo empatia, ma colpiva l’interlocutore per l’acutezza dei ragionamenti esposti e per la statura di economista, che nulla aveva da spartire con la pochezza di Emilio Colombo, l’insipido ministro del Tesoro nell’era del Centro sinistra.

Possiamo senza ombra di dubbio mettere in risalto l’attualità del suo pensiero e la lungimiranza di alcune sue scelte, prese in solitudine ed in polemica con gli stessi uomini politici con i quali condivideva il governo del Paese.

“Miserrabbile” era l’epiteto, divenuto simbolo del suo dire e con il quale bollava personaggi che stavano operando scelte che lui riteneva lesive per il futuro dell’Italia e per la nostra traballante economia.

E chissà in quante e quali occasioni, se fosse rimasto in vita, avrebbe dovuto ripetersi, con disgusto, nei vari scenari governativi che si sono susseguiti tra il tramonto della prima repubblica ed i giorni nostri.

Da vicende specifiche, quest’apprezzamento, oggi potrebbe abbracciare intere generazioni di politici.

Perché a differenza delle mediocrità odierne, Ugo La Malfa, oltre ad essere stato educato sin da ragazzo alla “religione della Libertà” era stato forgiato, come Guido Carli, Giovanni Malagodi, Enrico Cuccia e Giuseppe Saragat nell’ufficio Studi che Raffaele Mattioli istituì alla mitica Banca Commerciale Italiana.

Quindi serietà e preparazione innanzitutto, nel solco einaudiano del “conoscere per deliberare”.

Era un intransigente e in quest’accezione incorse anche in prese di posizioni settarie e con il volgere del tempo apparse discutibili. Vale la pena di ricordare l’opposizione alla “svolta di Salerno” di Palmiro Togliatti, che invece rappresentò una scelta di lungimiranza e  sulle ceneri del Fascismo, si rivelò una nobile ed obbligata via per raggiungere la riappacificazione nazionale.

Nell’analizzare gli oltre trent’anni di azione politica combattuta in prima linea, dopo la Liberazione, dalla consunzione del Partito d’Azione nel quale militava, sino alla leadership del Partito Repubblicano Italiano, non possiamo non ricordare scelte positive e lungimiranti.

Tra i punti salienti che già delineavano la serietà e coerenza del suo impegno, ricordiamo, alla Costituente la polemica contro alcuni conservatori  in merito all'intervento dello Stato nell'economia. Dichiarava infatti che “il passaggio di una certa potenza economica dai privati allo Stato è un fatto ineluttabile della civiltà moderna e nulla ha a che fare, non ha da confondersi con la statolatria e con il collettivismo di tipo russo”.

Sempre All'Assemblea Costituente La Malfa propone che il 1° comma dell’art.1 della Costituzione reciti: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sui diritti di libertà e del lavoro”;  si dichiara inoltre contrario all'articolo 7 della Costituzione, a difesa della laicità dello Stato.

 

Nel 1949 mentre i comunisti infiammavano le piazze per bloccare l’adesione dell’Italia al Patto Atlantico, La Malfa andava ben oltre e guardava lontano.

Nel dibattito sulla Nato dichiarava alla Camera di considerare l’alleanza come una “manifestazione della civiltà occidentale europea che si organizza”. Per ribadire il suo impegno europeista, interviene al III Congresso Nazionale del Movimento Federalista Europeo (Firenze, 23 - 25 aprile), dichiarando di essere favorevole ad un approccio gradualistico all'unificazione europea.

A giugno appare un suo articolo su "Il Mondo" di Pannunzio, il primo di una lunga collaborazione che proseguirà fino al 1960 e così si colloca tra le intelligenze d’Italia.

 

Il 27 gennaio 1951 assume l'incarico di ministro senza portafoglio nel VI governo De Gasperi, col compito di procedere al riordino delle Partecipazioni Statali. Si batte per l'attuazione della riforma agraria, uno dei punti decisivi per l'entrata dei repubblicani nel governo.

 

Il 26 luglio è confermato ministro del Commercio estero nel VII governo De Gasperi.

Porta a termine la fondamentale opera per la liberalizzazione degli scambi e per la soppressione dei contingentamenti. Come dichiarerà in seguito è “mosso da due convincimenti: la visione meridionalista, ossia l'idea di stimolare con la concorrenza il sistema economico, favorendo il Mezzogiorno, e una certa intuizione della capacità nazionale di andare sui mercati, della possibilità di dare finalmente respiro, sprigionare energie compresse”. Spiana così la strada al cosiddetto boom economico italiano.

 

Su "Il Mondo" ribadisce l'idea di un'aggregazione delle forze laiche intorno ad una struttura federativa.

A seguito del voto del Parlamento francese, contrario alla CED (Comunità europea di difesa, alla quale La Malfa è favorevole), considera "insufficiente" la prospettiva di “un'Europa divisa, anche se appoggiata militarmente dagli Stati Uniti”.

 

Nel 1962,La Malfa è nominato ministro del Bilancio nel primo governo di centrosinistra, presieduto da Fanfani con l’astensione dei socialisti.

Il 22 maggio presenta al Parlamento la celebre Nota aggiuntiva nella quale prefigura un modello di sviluppo che affronti gli squilibri strutturali della società italiana tramite lo strumento della programmazione.

Dopo l’esperienza governativa, a marzo del 1965 si dimette dalla presidenza della Commissione Bilancio per protesta contro la dilatazione della spesa pubblica generata dalle cosiddette "leggine". La Commissione respinge le dimissioni, poi ripresentate in modo irrevocabile il 5 novembre.7

Memorabile fu la sua ira nei conforti di Gianni Agnelli, di cui era amico, quando nel 1974 venne nominato presidente della Confindustria. Agnelli concordò con i sindacati una radicale modifica dei meccanismi regolanti la cosiddetta scala mobile, il meccanismo di indicizzazione dei salari al costo della vita. Il meccanismo precedente fu modificato e fu anche abolita la differenziazione fra categorie: lo scatto di contingenza (importo mensile lordo da corrispondere in più a ogni punto di incremento del costo della vita) diveniva uguale per tutti, dal semplice manovale allo specialista, al quadro impiegatizio della categoria più alta prima della dirigenza.

Agnelli lasciò la presidenza della Confindustria e il suo operato fu successivamente, fortemente criticato da La Malfa in particolare (l'accusa era quella di aver fatto delle concessioni troppo ampie, incompatibili con la situazione economica e a lungo termine dannose anche per le maestranze, in quanto nel meccanismo di adeguamento, si celerebbe un fattore moltiplicativo dell'inflazione). E Ugo La Malfa ancora in quest’occasione, rivelò la sua lungimiranza. Tanto è vero che la conflittualità all'interno delle fabbriche non si ridusse, anzi si accrebbe e si aggravò, come dimostrarono i fatti negli anni subito a seguire, terrorismo in primis..

Coerente con questa impostazione Il 7 giugno del 1974  indirizza una lettera ai leader delle confederazioni sindacali invitandoli a inserire le rivendicazioni salariali nel quadro delle condizioni effettive del paese.

Nel divenire della politica vedeva l’integrazione europea, politica e monetaria,

A novembre si batte per la partecipazione dell'Italia al Sistema Monetario Europeo, minacciando, in caso contrario, il ritiro dei repubblicani dalla maggioranza.

Il 22 febbraio del 1979 viene incaricato di formare un nuovo governo dopo la caduta del quarto governo Andreotti. E’ la prima volta da Ferruccio Parri che tale incarico viene affidato a un non democristiano. A marzo, vista l'indisponibilità a ricostituire la solidarietà nazionale da parte dei maggiori partiti, è costretto a rinunciare all'incarico; pochi giorni dopo accetta l'incarico di vicepresidente del Consiglio e di ministro del Bilancio nel nuovo governo Andreotti.

Una critica obiettiva  porta i principali osservatori politici a cogliere nel suo pensiero e nella sua azione, i germogli di quella che poi avrebbe potuto divenire una gestione corretta dei conti pubblici, mediante la programmazione economica tesa a calibrare gli interventi prioritari dello stato nell’economia, lungi dall’assistenzialismo peloso che combatté in ogni occasione.

Tenne sempre alto il disegno dell’Europa dei cittadini come punto d’arrivo dell’anelito alla Libertà che gli antifascisti della prima ora, a Ventotene ed a Chivasso avevano preconizzato e non di certo un’accozzaglia di lobby e burocratismi subita o sostenuta dai politicanti di mezza tacca che negli anni successivi hanno rappresentato la maggior parte delle delegazione italiana al Parlamento europeo.

E anche su questo tema si scatenerà nei prossimi giorni un serrato confronto nel Paese.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 29/03/2019