"Civico20" organizza a Torino, sabato 13 Aprile, l'incontro con Stefano Valbonesi autore del libro: METODO SPAGYRICO - Come estrarre in casa rimedi naturali dalle piante

Metodo con radici che si perdono nell’antico Egitto portato alla ribalta durante il Rinascimento dal medico svizzero Theophrastus von Hohenheim, conosciuto con il nome di Paracelso.

La Spagyria vegetale è un metodo alchemico attraverso il quale  si ricavano dalle piante selvatiche tinture, essenze ed oleoliti, il quale permette di estrarre e di fissare la quinta essenza della pianta nel preparato.

Questo metodo ha radici che si perdono nell’antico Egitto e viene portato alla ribalta durante il Rinascimento dal medico svizzero Theophrastus von Hohenheim, conosciuto con il nome di Paracelso. 

 

E’ il periodo della riscoperta del pensiero platonico ed ermetico, che viene adattato ai nuovi tempi senza stravolgerne l’essenza, durante il quale l’essere umano ritrova la sua nobiltà, è visto come un artista dell’astronomia, della matematica, dell’alchimia, della poesia e dello studio dei testi sacri.

Questi studi non volevano semplicemente riprendere le opere antiche, ma  riscoprire, attraverso se stessi e in se stessi, le realtà universali che vi sono descritte.


L’essere umano ritrova la sua filiazione con l’Universo, egli è il microcosmo nel macrocosmo, in grado di applicare  l’alchimia della trasformazione interiore per unirsi coscientemente al centro, cioè per riconnettersi all’origine della vita stessa: l’eterno Uno.


La parola Spagyria è formata da due parole di origine greca:  “spao” che significa "separare-dividere" e “ageiro” che significa "collegare-unire", ovvero il concetto base del "solve et coagula" dell’Alchimia. La Spagyria è quindi una certa applicazione dell’Alchimia.

 

L’Alchimia è composta da tre vie definite: via secca, via umida e alchimia animale. La via secca tratta particolarmente dell’aspetto della trasmutazione dei metalli, la via umida tratta il modo di estrarre il fitocomplesso e la quinta essenza delle piante selvatiche, mentre l’alchimia animale tratta della trasmutazione dell’essere umano. Questa terza  via descrive come, attraverso un percorso autenticamente spirituale, l’essere umano può rimuovere tutti gli ostacoli che lo separano dall’ entrare consciamente in comunione con il centro monadico microcosmico. 

 

Cosa si intende? Abbiamo detto prima che l’essere umano è un microcosmo nel macrocosmo. Il macrocosmo ha un centro di gravità invisibile che lo mantiene coeso e che gli dona, mediante energia “informata”, la possibilità di esistere. Anche il microcosmo possiede un’origine della medesima sostanza del macrocosmo che permette alla personalità umana di manifestarsi con il suo corpo. Questa origine veniva definita nell’antichità come il Dio interiore, la scintilla di spirito nascosta nell’essere umano, il gioiello nel loto, o nel cristianesimo con le parole: “Il regno di Dio è in voi. Vi è più vicino dei piedi e delle mani”. 

 

La via dell’Alchimia trasfiguristica o Alchimia animale era definita così perché occorreva trasmutare la parte animale dell’essere umano per renderla idonea ad incontrare il proprio centro. La parola animale deriva da “animato, con movimento, con anima”, dunque trattava della trasmutazione di una parte dell’anima fino a farla divenire una con il principio monadico, ovvero il Dio interiore. A chi volesse approfondire l’aspetto simbolico di questo lavoro consiglio di leggere “Le nozze chimiche” di Cristian Rosenkreuz dove questo processo è descritto sotto forma di racconto simbolico.

 

Da sempre sono esistite scuole spirituali dove si insegna tale arte a chi realmente vuole percorrere il cammino di ritorno verso l’origine. In esse viene messo in pratica il motto “ prega e lavora”. Gli allievi di queste scuole vengono posti costantemente nella luce di un certo campo di forza iniziatico, che assimilano in base al loro stato di coscienza; così si crea in loro la possibilità di rimuovere i vecchi schemi della personalità per aprire porte alla reale percezione dell’anima che si trasmuterà continuamente. Per compiere questo processo è indispensabile che anche il corpo venga trasmutato per essere l’humus nel quale la rosa può fiorire.

 

Se non avvenisse questa trasformazione coerente di corpo e anima, gli eteri non assimilati si accumulerebbero e genererebbero nella persona uno stato di esaltazione che la condurrebbe solo verso il fanatismo.

 

Per questa ragione è fondamentale il lavoro inteso come operare nell’arte: che questa sia la via secca o la via umida non ha importanza, perché queste due vie sono complementari e più volte durante l’operatività si incontrano scambiandosi mutualmente. Così il lavoro esteriore diventa lo specchio del lavoro interiore e permette all’alchimista di vedere se stesso nell’opera che sta compiendo, affinché l’esperienza che ne scaturisce lo faccia maturare e contribuisca allo sviluppo della coscienza. Questo lavoro gli permetterà di vedere come le forze spirituali che ha studiato e sulle quali ha meditato si manifestano nella realtà.

 

La conoscenza alchemica ha come base l’insegnamento ermetico, che deriva dalla tradizione spirituale dell’antico Egitto.

Rielaborata nel periodo greco-alessandrino tra il II e il VI secolo d.C., questa Arte fu conservata ed in parte esportata, durante esodi forzati di alcuni gruppi considerati dal potere dell'epoca eretici, nei centri di cultura o scuole misteriosofiche di carattere neoplatonico e gnostico-bizantino. Durante il periodo medioevale questa conoscenza venne adottata da scuole arabe , poi riportata in auge ed in parte rinnovata, in Europa, grazie all’Umanesimo e in seguito al periodo Rinascimentale. 

 

Questa conoscenza accompagna costantemente l’essere umano nella sua evoluzione, adattandosi alle caratteristiche specifiche delle varie epoche, sempre pronta a rivelarsi a tutti coloro che la desiderano ardentemente. Pare che il termine Alchìmia o alchèmia derivi dall’antica lingua egizia: KEMI era il nome che veniva dato alla terra nera del Nilo e, col passare del tempo, a questa parola è stato aggiunto l'articolo "AL" e il suffisso "A" trasformandola in "AL-KEMI-A.

In effetti l’opera al nero (nigredo) ovvero la prima fase dell'opera alchemico/filosofale, potrebbe cominciare  con l’argilla e non con i metalli (la trasmutatio metallorum) come generalmente si è portati a credere.

 

L’importante per l’alchimista è partire da un elemento che porta in sé tutti i principi del settenario che per manifestarsi nella vita, in qualunque forma, utilizza la forza degli opposti che generano movimento.

 

L’immagine classica che ci viene riportata attraverso il motto : "Trasmutare il piombo in oro" non è solo emblematica ma anche evocativa. Infatti il piombo è un elemento legato alla funzione di Saturno che nella scala caldaica è il primo dei sette pianeti o funzioni enunciate: questa particolare forza è in grado di condensare lo Spirito in materia, ovvero concentra l’idea “archetipo” affinché attraverso l’interazione con le forze dello zodiaco venga rivestito di sostanza, cioè di un corpo. Questo corpo contiene in sé la parte fisica e tutte le componenti energetiche, incluso lo Spirito, che servono a mantenere coesa l’intera personalità.

 

Lo Spirito è rappresentato anche con il simbolo solare: un cerchio con un punto al centro, ovvero l’immagine della perfezione stessa, che è anche al centro della successione caldaica dei sette pianeti. Anche questa immagine evoca il centro, l’origine, ovvero la Monade microcosmica.  L’alchimista dunque dovrà intraprendere il percorso inverso a quello saturnino di condensazione e ripercorrerlo, fase dopo fase, con grande conoscenza, fino a estrarre dalla materia l’oro dello Spirito. Per fare ciò non è possibile seguire un metodo scolastico ma solo una via iniziatica.

 

La Spagyria invece tratta di un insieme di fenomeni messi in atto dall'uomo che richiamano le forze presenti nella natura, in grado di trasmutare una sostanza o di conferirgli anche proprietà diverse da quelle di partenza, eliminando dal preparato tutto ciò che è marcescibile, in modo da mantenere solo il fitocomplesso e l’essenza, la forza vitale attiva.

 

La Spagirya è dunque un metodo alchemico iniziatico, che contempla tre fasi, che sono l’opera al nero o Nigredo, l’opera al bianco o Albedo, e l’opera al rosso o Rubedo. Queste tre fasi racchiudono in sé la parte pratica: per attuarla occorre conoscere profondamente i processi naturali della vita. In queste tre fasi vediamo come la” via secca” si intersechi spesso con la “via umida”: le operazioni eseguite con il fuoco fanno parte  della via secca, mentre la fermentazione della pianta e il processo di “circolazione” fanno parte della via umida.

 

E’ indispensabile che mediante il processo di calcinazione (via secca) ed in seguito di liscivazione (via secca) si estraggano i Sali di potassio e quelli di salnitro che concorreranno a fissare nel nostro preparato le parti energetiche della pianta.

 

Se la nostra operatività viene sostenuta dall’approfondimento dell’alchimia interiore questa via diviene completa e costituisce un vero e proprio percorso spirituale che può portare l’essere umano in una dimensione profonda sapienziale in cui è possibile scoprire direttamente che non esiste alcuna separazione tra gli esseri e i mondi. In questa dimensione la natura è come una scala  che progressivamente ci  conduce verso l’origine stessa della vita.

 

Il percorso spagyrico è anche gioia di vivere la natura in ogni sua forma e aspetto: andare a raccogliere le piante selvatiche immersi nel verde incontaminato dei boschi e dei prati montani è un modo per riunirsi al tutto, riappropriandoci degli aspetti umani che la quotidianità ormai ci ha negato. Lo spagyro non è un predatore, sarebbe contro ogni principio dell’alchimia, ma un essere che riconoscendo la vita che è in lui rispetta profondamente ogni forma di vita incluse le piante che va a raccogliere.

 

Per questa ragione deve entrare sempre di più in empatia con esse e con il mondo degli elementali che è dentro e fuori di noi per poter essere coerente nel raccogliere i doni che la natura offre copiosamente a coloro che la comprendono.

 

Stefano Valbonesi

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Articolo pubblicato il 06/04/2019