Nuovo Codice, non si fallirà più.

Vedremo se non si tratterà di mero nominalismo. Come si concretizzeranno i sistemi di prevenzione.

Questa rubrica si era già occupata della riforma della legge fallimentare (R.D. n. 267/1942) e della nuova filosofia del Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (contenuto nel D.Lgs. n. 14/2019). Ora che il profilo del provvedimento è decisamente più assestato, torniamo a scriverne.

 

Il primo elemento da evidenziare è che ci troveremo di fronte a un unico corpo normativo per le procedure che hanno come obiettivo la soluzione della crisi o dell'insolvenza sia dell'imprenditore (commerciale e non), che del debitore civile sovraindebitato, fatte salve alcune eccezioni (enti pubblici, amministrazione straordinaria per le grandi imprese, alcune forme speciali di liquidazione coatta amministrativa).

 

Come ha evidenziato Filippo Lamanna, in un suo pezzo d'illustrazione per il sito di Repubblica, poi, s'intende "prevenire le situazioni di crisi, introducendo un diffuso sistema di monitoraggio con strumenti di allerta, interni ed esterni all'impresa, per anticiparne l'emersione e consentire un più tempestivo intervento per fronteggiarle; dall'altro, quando sia inevitabile "fallire", permette di rendere meno traumatico tale evento, obiettivo già sollecitato da varie fonti europee (da ultimo, la Proposta di direttiva UE 2016)".

 

C'è, infine, l'aspetto comunicativamente più rilevante: la scomparsa della parola fallito dal Codice. Per ora non si può essere certi che non sia solo un maquillage nominalistico, ma che si determini un approccio davvero diverso e istituti altri effettivamente praticabili.

 

 

D.C.

 

(Immagine in copertina tratta da PMI.it)

 

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Articolo pubblicato il 22/03/2019