Note e melodie del totalitarismo

Considerazioni sul rapporto tra musica e fascismo, di Alessandro Mella

Il novecento fu, purtroppo, il secolo dei totalitarismi. Nazismo, fascismo e comunismo si imposero con violenza e con ferocia furono soppressori impietosi di ogni espressione di giustizia, libertà e democrazia. Sistemi simili, facce di una stessa medaglia, in contrapposizione tra loro. Da quello scontro tra follie e delirio nacquero molte, terribili, tragedie.

Come tutte le dittature totalitarie ed i regimi “di massa”, anche il fascismo tentò di consolidare le proprie radici e la propria stabilità attraverso un uso costante di qualunque strumento di propaganda. Dal cinema alla carta stampata, dal manifesto alla cartolina, dal cinegiornale alla musica. Tutto doveva contribuire a rendere più solida l’immagine del regime costruendo un clima di consenso quanto maggiore possibile tra la popolazione. La musica, in particolare, rappresentava un mezzo di comunicazione con grandissima diffusione anche tra le fasce più modeste della popolazione. Non è un caso, ad esempio, che fosse usata anche dagli avversari del fascismo. Ed il regime, di conseguenza, tentò di controllarla con forza e consueta arroganza. Nel 1939 l’autore di Maramao perché sei morto dovette fare una gran fatica per far capire che la sua gioiosa canzoncina non prendeva in giro l’appena scomparso Costanzo Ciano come qualcuno aveva sospettato. Questi era stato eroe di guerra, già ministro ma soprattutto padre di Galeazzo, genero di Mussolini. E come non ricordare il Trio Lescano che cantando Pippo non lo sa lasciò sospettare una satira, nemmeno troppo velata, contro lo zelante e talvolta burlesco segretario del partito fascista Achille Starace?

La produzione musicale tra il 1922 ed il 1945 fu molto vivace ed è davvero impossibile citare tutti i brani politici, militari e di propaganda prodotti a quel tempo. Tuttavia, attraverso alcuni di questi, può essere interessante notare e provare a capire come la musica, gli inni ed i canti del ventennio fascista cambiarono profondamente secondo i momenti storici e le fasi che il fascismo visse. Proviamo!

I primi anni: dal Reducismo allo Squadrismo. - Dopo la grande guerra, moltissimi reduci delusi ed amareggiati, aderirono ai fasci di combattimento fondati a Milano nel 1919. Reduci che univano, all’orgoglio delle proprie medaglie e gesta, anche la speranza di riscattare i propri sacrifici avvertiti come vanificati dalla cattiva politica dei governi postbellici. I primi canti fascisti, quindi, erano quegli stessi canti di guerra già sentiti nelle trincee. Inni celebri come La Leggenda del Piave, Monte Grappa, L’inno dei Bersaglieri Ciclisti, riscritto con nuovo testo e noto come All’Armi ed altre. La scelta non fu casuale, le melodie melanconiche e sconsolanti vennero spontaneamente abbandonate in favore dei canti che celebravano il coraggio e la vittoria del 1918. Dopo il riscatto seguito a Caporetto i reduci ambivano ad ottenerne uno nuovo riscattando il paese dalla “vittoria mutilata”. Fu il periodo in cui D’Annunzio occupò rivendicandola, ad esempio, la città di Fiume. Tra i brani molto cantati dagli squadristi c’era anche l’inno Giovinezza che fu scritto in diverse versioni e nella sua ultima divenne l’inno ufficiale del fascismo. Nei primi anni si cantò quella riscritta dagli Arditi, e l’inno specifico di queste unità d’assalto, nate nel 1918, divennero fondamentali nella mistica dello squadrismo. Molti Arditi, infatti, erano poi confluiti nelle squadracce. Altri, di fede socialista, si erano organizzati negli Arditi del Popolo per contrastare la violenza delle camicie nere. La musica che andò dal 1919 al 1925, circa, fu per lo più legata alla guerra appena vinta ed alla “lottizzazione” della sua memoria.

Il consolidamento del regime. - Dopo la crisi dello stato liberale che portò lo stesso Mussolini al governo, nel 1922, seguirono anni incerti. Si tentò di istituzionalizzare e imbrigliare gli squadristi, facinorosi e pasticcioni, nella milizia ma non fu impresa semplice. Da ex focoso rivoluzionario, Mussolini puntava a dare di sé l’immagine nuova di statista rassicurante ed efficiente. Fu dopo l’omicidio di Giacomo Matteotti che il regime iniziò a strutturarsi sempre più ma in un clima inizialmente tutt’altro che favorevole. E la musica fascista prese ad elogiare il nuovo corso della storia, si doveva dare l’impressione che con il fascismo tutto fosse migliorato. Tipico esempio di questa strategia fu, ad esempio, la canzoncina Una volta non c’era Mussolini in cui si raccontava di un paese nel quale i ministeri non lavoravano, non nascevano i bambini e nulla funzionava più a dovere. Fino all’arrivo del Duce giunto a sbloccare una nazione stantia e stagnante. Canti come Inno al Duce, Duce tu sei la luce e molti altri simili, puntarono anche a coltivare il culto smisurato e talvolta grottesco della personalità del capo. E non c’è dittatura che non ci si sia dedicata. Con l’Inno dei Giovani Fascisti, l’Inno dei Gruppi Universitari Fascisti e Fischia il Sasso si contribuì a formare la gioventù ma, soprattutto, a indottrinarla e crescerla nel pensiero unico. Associazioni corporative e di categoria, associazioni reducistiche e d’arma ed enti e previdenze del regime si dotarono di inni specifici e sempre in linea con la mistica fascista. Tutto doveva essere uniformato al regime e la musica doveva contribuire a creare quella nuova coscienza di massa omologata ai canoni che il fascismo aveva stabilito per tutti. L’inno Giovinezza fu imposto nelle cerimonie pubbliche ed ufficiali.

La Guerra in Africa Orientale. - All’Italia fascista pesava il fatto che molte potenze europee avessero ancora fiorenti imperi coloniali, ma non solo. A pesare c’era anche il ricordo delle disastrose avventure coloniali della fine dell’ottocento. Nel 1935, quindi, l’Italia fascista aggredì l’Impero d’Etiopia combattendolo ed invadendolo con tecnologie, armi e velivoli molto più moderni dei mezzi etiopi. Dopo mesi di guerra l’Etiopia fu occupata dalle truppe italiane e andò a costituire il sospirato impero. La musica di quei momenti fu molto particolare e si divise su più generi. Il primo esaltava le bellezze africane, i panorami, i paesaggi ed il clima per creare fascino attorno a quelle terre lontane e favorire il desiderio di andare a colonizzarle. Ne sono un esempio Sul Lago Tana, Notti del Sahara ed altre. Dune, palmenti, laghi e altipiani venivano resi incantevoli in testi che dovevano far sognare. Altro tema importante fu la satira contro il Negus ed i suoi Ras, ridicolizzati per renderli buffi residui e relitti di un tempo lontano. Spesso le canzoncine vennero riempite di allusioni ed ironie anche pesanti. Esempio di questo genere furono Stornelli neri, Stornellate Abissine, Povero Negus, L’Imperatore si confessa povero Selassiè, Il leone di Giuda e la cagnetta ed altre. Il messaggio della propaganda era chiaro: gli abissini erano barbari ed incivili perché tenuti nella schiavitù e nell’ignoranza da capi indegni. Gli italiani dovevano apparire come liberatori e portatori di civiltà. Altro genere è quello eroico ed entusiasta, i soldati d’Italia andavano arditamente a combattere in Africa per liberare, appunto, i popoli e creare luoghi magnifici in cui recarsi a vivere e costruire un futuro di ricchezza e benessere. Si possono citare Addio mia piccola, Vieni a Macallè, In Africa si va, Ti saluto vado in Abissinia, Per te sarò tenente, Un posticino al sole, Vado vinco e torno, Villeggiatura 36 ed altre. Altro tema importante fu il riscatto delle sconfitte del passato subite in Etiopia. Adua da nome nero e cupo per gli italiani divenne, dopo quarant’anni, un nome vittorioso e la canzone omonima lo celebrò. Amba Alagi ricordò il sacrificio di Toselli ed i suoi, un sacrificio riscattato da una grande vittoria. Ironia della sorte, la fine dell’impero verrà sancita proprio sull’Amba Alagi, anni dopo, con la storica e coraggiosa resa di quel galantuomo che fu Amedeo di Savoia Duca d’Aosta. Altro genere di quel momento storico fu la reazione di sdegno verso le sanzioni economiche applicate all’Italia dalla Società delle Nazioni. L’Italia doveva farsi beffa di quella punizione e condannarla come atto ingiusto e gli italiani dovevano ricordarsene. Nel 1940 divenne un tema utile da aggiungere a quelli usati per giustificare la guerra. Ne sono un esempio Il mondo che fa, Noi tireremo diritto, Va fuori d’Italia o prodotto stranier ma soprattutto un vero capolavoro di doppi sensi e satira quale obbiettivamente fu Sanzionami questo. Importante citare, infine, quello che a torto viene considerato spesso come il canto fascista per eccellenza: Faccetta nera. Nato in romanesco, esso fu anzi osteggiato e combattuto in tutti i modi dal regime che gli antepose perfino una buffa canzone dal titolo Faccetta Bianca. Ma il motivetto originale era così orecchiabile, allegro e galvanizzante che non si riuscì a farlo dimenticare agli italiani anche se per il fascismo esso spingeva un po’ troppo a rapporti cordiali con gli indigeni. La giovane schiava liberata di cui si parlava nel testo, infatti, ricordava una diffusa promiscuità che ormai si era fatta abitudine in Africa e che per ragioni razziali era piuttosto osteggiata a Roma dalle autorità. 

La guerra di Spagna nell’ottica di un’internazionale fascista. - Mussolini aveva, erroneamente, profetizzato che il novecento sarebbe stato il secolo del fascismo auspicandone la diffusione almeno in tutta Europa. E nel vecchio continente di fascismi ce ne furono non pochi. Tema molto vasto, ma basti pensare che anche in quest’ottica l’Italia appoggiò il generale Franco e la Falange Spagnola durante la guerra civile di Spagna. Lo fece anche, purtroppo, Hitler dalla Germania. La propaganda fu chiara: Non si poteva permettere che il bolscevismo dilagasse in Spagna con tutte le sue conseguenze. La musica di quel momento, quindi, esaltò l’alleanza delle potenze europee filo fasciste contrapposte al volontarismo filocomunista e repubblicano combattente nelle province spagnole. La musica raccontava anche della calda e affascinante Spagna, delle battaglie al rosso del sole, della salvezza dell’Europa dal pericolo rosso e così via. Doveva, anche questa volta, sembrare una facile ed esotica avventura in terre lontane. Ne sono esempio i brani: Avanti Falangisti, Guadalajara, I tre condottieri, Se Franco vogliam seguire ed altre. Diffusissimo fu l’inno dei falangisti spagnoli Cara al Sol cantato sia in spagnolo che in italiano. Una nota curiosa è che nel film del dopoguerra Don Camillo e l’onorevole Peppone, quando il parroco ascolta alla radio i risultati delle elezioni politiche del 1948, questi s’imbatte incredibilmente nel brano Chitarra Spagnola di Gilberto Mazzi. Una “canzonetta”, come la definì il protagonista, che riassumeva pienamente tutti i temi dell’impresa spagnola di tanti anni prima. La Spagna di Franco veniva citata nientemeno che come il “sole della nuova primavera”.  La primavera fascista a nazionalista che il regime sognava per l’Europa. Ma le cose andarono molto diversamente.

La Seconda Guerra Mondiale. - L’ingresso in guerra dell’Italia, nel 1940, fu un evento infausto e condizionato dall’illusione di un rapido concludersi della stessa. Nel giugno di quell’anno, quindi, anche noi entrammo sciaguratamente in quel conflitto contro la Gran Bretagna e la Francia. Si aggiunsero l’anno dopo gli Stati Uniti ed altri. Agli inni guerreschi e militari si affiancarono subito quelli scelti per ravvivare il risentimento verso il nemico. Jamais ironizzava sui dinieghi di una Francia descritta quasi come boriosa e isterica, chiamata non a caso Marianna, piegata poi a suon di armi e minacce. Canzone studiata per ridicolizzare la nazione appena sconfitta e rassicurare circa la potenza delle truppe dell’Asse Roma Berlino. Adesso viene il bello era invece un motivetto orecchiabile con cui si minacciava la perfida Inghilterra di farla tornare “isoletta di pescator” al preludio della sua invasione che, alla fine, ma ci fu. Con Vincere si volle galvanizzare l’esercito ed il popolo mettendo in musica il celebre slogan urlato da Mussolini al balcone. La guerra era necessaria per sconfiggere quelle nazioni nemiche che meschinamente, secondo il regime è ovvio, avevano per anni sabotato e soffocato le aspirazioni italiane. La musica doveva convincere gli italiani: la guerra era la conseguenza inevitabile di tante meschinità subite nel tempo. Questa, almeno, era l’idea che il regime voleva inculcare alla popolazione, l’inganno della “guerra giusta”. Per sostenere la popolazione stessa nei molti sacrifici, nacquero poi canzoni commoventi come Caro Papà in cui un bambino orgoglioso scriveva al padre al fronte per incoraggiarlo e parlargli del suo “orticello di guerra”. Con Camerata Richard si tentò, invece, di suscitare simpatie verso i soldati tedeschi che, in teoria, condividevano guerra e sacrifici con i nostri nonni e che in verità non erano per nulla amati. Agli occhi degli italiani erano ancora i nemici del Risorgimento e della Guerra 1915-1918.

Quando iniziarono le sconfitte anche la musica cambiò, non potendo più esaltare le avanzate e le vittorie essa iniziò a glorificare i sacrifici dei grandi sconfitti come con La Sagra di Giarabub. La resistenza del presidio italiano in quell’oasi fu, però, realmente eroico e leggendario a prescindere dalle speculazioni che fece la propaganda di regime. Ed a quei soldati, al comando del maggiore Castagna, non si può non indirizzare un caro, commosso e grato pensiero.

Con il fascismo repubblicano verso la fine. - Dopo la caduta del fascismo il 25 luglio 1943 e l’armistizio dell’8 settembre, con la liberazione di Mussolini dalla prigionia per opera dei paracadutisti tedeschi, l’Italia si trovò divisa in due. Al Sud il governo legittimo del Regno d’Italia ed al nord la Repubblica Sociale Italiana instaurata con il sostegno delle baionette tedesche. All’occupante ed ai fascisti repubblicani si opposero i partigiani di ogni colore ed ideologia per mesi e mesi. Il fascismo repubblicano sapeva bene di essere alla fine e la sua musica fu sempre cupa, funerea e quasi disperata. Si esaltava il sacrificio per il “riscatto della patria” tradita, secondo i militi fascisti, dall’armistizio oppure la lotta impari contro il nemico e la Termopili immaginata come espiazione suprema, il senso dell’onore e poi la guerra ai “ribelli”. Anche le melodie erano inquietanti, nei testi la morte ricorreva con frequenza costante come nei brani Stornelli delle Brigate Nere, Vogliamo scolpire una lapide, Hanno ammazzato Ettore Muti ed altri in cui la violenza veniva spesso cantata in modo sfacciato e morboso, quasi a voler esorcizzare il senso di imminente crepuscolo. Brani rivelatori, dunque, di un disperato senso di fine imminente. Una fine, occorre riconoscere, che nel turbinio di vendetta, odio e violenza si concluse con ulteriori stragi, uccisioni e tanto, purtroppo, tanto sangue. I vinti non ricevettero pietà o clemenza. Poca ne ebbero nei mesi della guerra civile, nessuna ne trovarono alla fine di tutto.

Anche l’integrità dei confini nazionali fu un tema sentito nelle canzoni della RSI come Il Brennero è Italiano (con una spiccata polemica curiosamente indirizzata all’alleato germanico colpevole di aver annesso il litorale adriatico) o Non deporrem la spada. Spicca, tra i canti della Repubblica Sociale, il celebre Le donne non ci vogliono più bene in cui i disperati soldati di Mussolini rivendicano con orgoglio il loro distacco ed isolamento da una società civile che sentono come in decadenza e lontana dalla loro visione, magari deprecabile per noi, del mondo.

Conclusioni. - La musica è presente in ogni manifestazione della vita umana ed anche nella politica. Perfino nelle peggiori e nelle più devastanti. Il fascismo recise tanti legami, volente o nolente finì per dividere il paese e le persone, il suo cammino condusse a morte e distruzione. La sua musica, se studiata, può contribuire un pochino a capire come nacque, si diffuse ed infine si consumò. Una grande tragedia che si incontra anche negli spartiti musicali di quegli anni difficili e che deve ammonire perché nel futuro non si ripetano tanti errori già compiuti. Studi similari meriterebbero il nazismo e il comunismo. Gli altri mostri del novecento, soppressori della libertà, della giustizia e dell’avvenire. Al punto da provare a piegare ai propri voleri anche la musica che della libertà è, e sempre sarà, una bandiera.

Alessandro Mella

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 03/03/2019