La mostra «Campagna di Russia. Memorie» prosegue con successo di pubblico a Torino

L’iniziativa è promossa dall’U.N.I.R.R. (Unione Nazionale Reduci Russia) sezione di Torino con il sostegno della Regione Piemonte (di Paolo Barosso)

Prosegue sino al 3 febbraio la mostra sul tema “Campagna di Russia. Memorie”, allestita presso la Sala Mostre della Regione Piemonte in piazza Castello 165 a Torino.

L’iniziativa, promossa dall’U.N.I.R.R. (Unione Nazionale Reduci Russia) sezione di Torino con il sostegno della Regione Piemonte, si propone di rendere omaggio alla memoria delle decine di migliaia di soldati italiani e piemontesi che persero la vita sul fronte russo, i caduti in combattimento, i dispersi e i morti di freddo e di stenti durante la ritirata o la prigionia, ma anche di quanti ebbero la fortuna di far ritorno a casa, magari feriti e congelati, recando con sé i segni indelebili delle sofferenze psicologiche e fisiche patite.

La Campagna di Russia ebbe inizio quando, il 22 giugno 1941, Hitler diede ordine ai suoi generali, infrangendo il Patto di non aggressione siglato nel 1939 dai due ministri degli esteri, Von Ribbentrop e Molotov, di lanciare contro l’Unione Sovietica di Stalin la più grande offensiva mai vista sino ad allora, che prese il nome di “Operazione Barbarossa”. Il governo italiano aderì alla campagna militare tedesca costituendo il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, noto con l’acronimo CSIR, che, sotto il comando del generale Zingales, poi sostituito dal generale Messe, partì alla volta del fronte russo dal luglio 1941.

Nel giugno 1942, malgrado la contrarietà del generale Messe, si decise di rafforzare la presenza italiana in Russia, inviando il 2° Corpo d’Armata con le Divisioni di Fanteria Cosseria, Ravenna e Sforzesca, tre legioni di Camicie Nere e infine ad agosto le tre Divisioni Alpine, Tridentina, Julia e Cuneense, integrate dalla Divisione di Fanteria Vicenza. Queste nuove unità diedero forma all’Armata Italiana in Russia, acronimo Armir, al cui comando venne posto il generale Italo Gariboldi.

A seguito della controffensiva sovietica contro le armate nemiche attestate sulla linea del fiume Don, a partire dal 16 dicembre 1942 cominciò la disastrosa ritirata delle Divisioni di Fanteria che, avventurandosi su un terreno in gran parte controllato dai Russi, andarono incontro all’annientamento con una perdita di circa 55.000 uomini tra caduti e prigionieri. Le Divisioni Alpine, avendo ricevuto l’ordine di tenere le posizioni sul Don, resistettero ancora, ma di fronte alla grande offensiva invernale russa del 15 gennaio 1943, che chiuse gli alpini con una manovra a tenaglia, furono anch’esse costrette al ripiegamento, subendo durante la fase di ritirata la perdita di altri 40.000 uomini, rimasti nella steppa.

I soldati sopravvissuti ai combattimenti e catturati dai Sovietici venivano diretti ai campi di prigionia distribuiti nello sconfinato territorio russo e sottoposti alle famigerate marce forzate, dette “marce del davai” (in russo “avanti”), durante le quali era vietato fermarsi sotto pena d’essere finiti con un colpo di fucile alla testa, e in seguito, una volta raggiunto il nodo ferroviario più vicino, caricati sui treni.

Il viaggio proseguiva in condizioni non meno atroci: i corpi dei soldati che soccombevano, vinti dal freddo, dalla denutrizione, dalle malattie, dalle ferite, venivano radunati negli ultimi vagoni del convoglio, per poi essere inumati nelle fosse comuni realizzate dai Sovietici in prossimità di snodi ferroviari o centri abitati.

Si calcola che, in conseguenza della Campagna di Russia e della rovinosa Ritirata, all’incirca 10.300 Piemontesi non fecero ritorno alle loro case.

La mostra, che propone al pubblico cimeli, ricordi, testimonianze, fotografie, documenti, è aperta tutti i giorni dalle ore 10 alle 18 con ingresso libero.

Paolo Barosso

 

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Articolo pubblicato il 27/01/2019