Don Francesco Bracco
Necrologio del sacerdote Francesco Bracco (Gazzetta Piemontese, 4 settembre 1843)

Prosegue la ricognizione fra i personaggi piemontesi che si sono occupati dell'educazione dei sordomuti

Il racconto delle sfortunate vicende di Giovanni Battista Scagliotti potrebbe indurre il Lettore a un giudizio sfavorevole nei confronti di don Francesco Bracco, fondatore della Scuola per i sordomuti. È opportuno illustrarne la biografia per una valutazione più obiettiva.

Francesco Bracco nasce il 19 luglio 1794 ad Acqui (Alessandria), intraprende la carriera ecclesiastica, nel 1818 è ordinato sacerdote e svolge con zelo i suoi doveri. Nel 1827, per caso, viene a conoscenza del problema dei sordomuti quando la giovane Teresa Panario vorrebbe confessarsi ma lui non riesce a comprendere il linguaggio mimico che lei ha appreso come allieva di padre Assarotti. Turbato dalla sua incapacità a fornire assistenza spirituale alla sordomuta Teresa, che non sa comunicare con la scrittura, all’inizio del 1828 don Bracco si reca a Genova, presso l’istituto diretto da Assarotti, per apprendere il metodo mimico. Grazie al suo impegno in pochi mesi è in grado di conversare con i sordomuti. Tornato ad Acqui, mettendo in pratica le cognizioni acquisite, può confessare e dare la comunione a Teresa, con la quale in precedenza non poteva comunicare.

Entusiasta per il felice risultato raggiunto, decide di istruire un’altra sordomuta, di età avanzata e di intelligenza limitata, e ottiene ottimi risultati malgrado queste difficoltà. Così in breve tempo la sua fama si diffonde in Acqui. Nel 1829, don Bracco apre una piccola scuola privata per sordomuti, dove, istruisce diversi allievi, in numero annuo sempre inferiore alla decina. Per perfezionarsi, dopo la morte di padre Assarotti, mantiene contatti epistolari col successore alla direzione della scuola genovese, l’abate Boselli.

Nel 1831, il re nomina don Bracco cappellano del presidio d’Acqui e, l’anno seguente, gli concede un sussidio annuo di lire 400 per la sua scuola, rinnovato nei due anni successivi.

Nell’agosto del 1834 don Bracco viene invitato a recarsi a Torino e intanto riceve la nomina a cappellano del secondo reggimento della brigata Acqui, allora di presidio a Chambéry, con l’obbligo raggiungere senza rinvii la sua destinazione in Savoia. Don Bracco si reca a Torino e porta con sé le sue due prime allieve, nella speranza di collocarle in qualche ente assistenziale torinese.

Va detto a questo punto che nello stesso anno il re Carlo Alberto, nell’udienza privata del 27 giugno, ha approvato il progetto di creare a Torino un istituto per i sordomuti, gestito da due congregazioni religiose, una maschile e una femminile, e ha pensato a don Bracco per la formazione dei religiosi a questa nuova missione.

A Torino, don Bracco per collocare le due sordomute si rivolge al conte Luigi Provana di Collegno (Torino, 1786 – 1861), presidente della Università, e trova in lui un valido sostenitore. A novembre la sua partenza viene rimandata e, dopo il ritorno del re da Genova, a dicembre, viene dispensato dal servizio a Chambéry. Con il placet del sovrano del 15 dicembre, viene nominato direttore della scuola dei sordomuti di Torino.  

La nomina di don Bracco rappresenta per Carlo Alberto una sorte di ripiego per poter avviare l’iniziativa, visto che gli ordini interpellati hanno rifiutato di assumersi l’impegno. La scuola è finanziata con uno stanziamento annuo di ben 8.000 lire ed è sotto il controllo del conte Provana: non sarà un convitto per ragazzi privi della parola e dell’udito, come a Genova, ma una struttura dove formare maestri educatori dei sordomuti, soluzione considerata meno onerosa per le finanze statali.

Il 1° gennaio 1835 iniziano le lezioni al 3° piano di una casa in Borgo Po, vicino alla Chiesa della Gran Madre. La scuola, aperta senza formale provvidenza sovrana, non è ancora una istituzione saldamente fondata ma riceve frequenti domande di ammissione di sordomuti.

Appena avviata, viene così descritta dal giornalista milanese Defendente Sacchi, nel 1835: «Io ho visitata questa casa per gentilezza del dotto e pio Magistrato che presiede agli studj in Piemonte; vi erano pochi scolari e tutti sordo-muti, fra i quali una giovanetta d’Aqui, d’ingegno molto svegliato, che co’ suoi compagni diede per due ore, saggi di molteplici cognizioni, e non già di lusso, come vidi talora usare in queste scuole, ma utili, e che versarono intorno alla religione, alla storia, alla geografia, all’aritmetica.

Il Magistrato stesso poi fece questo esperimento: sporse a quella giovanetta un libro che avea seco recato, lo aprì a caso, e la fanciulla postasi a leggere, ne fece co’ gesti o cogli scritti ad ogni parola l’analisi; de’ personaggi ne indicava la storia; de’ luoghi le nozioni geografiche, ecc. L’altro esercizio poi che il Sacerdote Bracco fece fare a’ suoi sordo muti, fu il dimostrare il modo con cui s’insegna loro a formare le idee, non solo delle cose materiali, ma le astratte; come queste si associno ai segni, per rappresentarle e per sé e rispetto al tempo e al luogo, insomma un piccolo trattato dell’origine delle umane cognizioni.

Questa parte pedagogica e importantissima per l’ordine di quello stabilimento, perché appunto crea de’ sordo-muti altrettanti maestri. È mente però che in questa scuola non si abbiano solo ad istruire per maestri i sordo muti, ma anche persone sane, e queste di preferenza: vi è già un sacerdote che vi si amaestra».

Ancora nel 1836 il re cerca invano una congregazione religiosa per sostituire don Bracco. Soltanto nel 1838 lo conferma definitivamente, arrendendosi alle richieste di Provana di Collegno, che insiste per dare assetto stabile alla scuola. Don Bracco, con spirito di sacrificio e abnegazione, è rimasto fedele all’impegno preso malgrado l’esiguo stipendio e la mancanza di garanzie per il suo futuro.

Con R. brevetto del 23 gennaio 1838, il re stabilisce in modo definitivo la “Regia Scuola Normale de’ sordomuti”, annoverata fra gli istituti di carità e beneficenza, diretta da una commissione amministratrice e con solo dieci dipendenti a carico dello Stato: cinque appartenenti al personale insegnante e amministrativo più cinque sordomuti, necessari per il tirocinio dei futuri maestri. Altri possono essere accolti se paganti. Carlo Alberto impone che i frequentatori del corso da maestri siano ecclesiastici.

Dalla scuola genovese di Assarotti, quella torinese riprende la metodologia del linguaggio mimico e la struttura organizzativa con la nomina, nel 1838, di don Bracco a rettore, carica che terrà fino alla sua morte, impegnandosi con instancabile zelo. Grazie alla sua opera, «molti furono i sordo-muti, che vissuti sino allora senza conoscere Iddio, e privi d’ogni umano incivilimento, vennero innalzati alla dignità di virtuosi cristiani, e di ottimi cittadini» come si legge nel necrologio pubblicato dalla Gazzetta Piemontese del 4 settembre 1843.

Da questo apprendiamo che il rettore della scuola dei sordo-muti il 18 agosto 1843 è stato colpito da una «crudele malattia» che lo ha portato a morte «alle ore 11 ½ di sera il 28 di agosto, nella ancor robusta età di anni 49, un mese e 9 giorni».

Va detto in conclusione che Giovanni Battista Scagliotti, nel suo memoriale del settembre 1847, dopo aver rivolto ai Gesuiti e all’Istituto di Genova accuse di ostruzionismo nei suoi confronti, riferisce che pochissimi giorni dopo aver presentato al re un progetto per un futuro istituto sponsorizzato da benefattori, don Bracco aveva fatto visita alla sua scuola, il 24 novembre 1833, per chiedergli di poter svolgere mansioni di direttore spirituale nel nuovo istituto. Scagliotti gli aveva illustrato senza sospetti il progetto presentato ma, mentre attendeva le decisioni di Carlo Alberto, aveva appreso con sorpresa che l’abilitazione era stata data a don Bracco.

Anche considerando veritiera questa affermazione di Scagliotti, che non trova conferma in altri documenti, si può affermare che le scelte penalizzanti nei suoi confronti paiono da addebitare ai pregiudizi di Carlo Alberto: con tutta la simpatia per Scagliotti, don Bracco, indubbiamente impegnato a favore dei sordomuti, non appare come un intraprendente trafficone che ha brigato negli ambienti torinesi che contano per farsi una posizione ma piuttosto come uno strumento dei progetti (e dei preconcetti) del re.

Immagine tratte da: archive.org

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 25/01/2019