“Via Crucis”, di Giuseppe Lettere

Il pittore torinese illustra questa sua vissuta opera, ripartita in 14 Stazioni

Nel corso dell’intervista al pittore Giuseppe Lettere, nel settembre dell’anno scorso, questo artista torinese introspettivo che presenta nelle sue opere temi di forte valenze sociale ed emotiva, spesso nascosti o taciuti, per stimolare negli spettatori riflessioni e confronti, mi aveva detto: «Tutto quello che negli anni dipingo – e che presenta come soggetto principale il corpo umano - è in funzione e contribuisce (quasi in maniera ossessiva) ad arricchire la mia produzione verso questa tematica , al fine di esprimere questo lungo e  escursus artistico verso una variegata mostra sul tema : il corpo.

Anche la mia “Via Crucis”, a cui ho lavorato per un anno e mezzo, fa parte di questo progetto».

Interessato da questa affermazione, ho voluto riprendere il discorso con l’artista intorno a questa sua opera.

 

Ci racconta come è nata la sua “Via Crucis”?

Fin da bambino, la mia formazione è stata cattolica e, frequentando le chiese fin da ragazzino, anche quelle più belle e molto ben decorate, mi sono reso conto che, mentre osservavo le persone (tendenza che ho poi riportato oggi nello sviluppare le tematiche nelle mie opere) ho notato che, sedute o in piedi non si guardavano mai attorno, non volgevano mai lo sguardo alle pareti, né alla struttura in cui erano entrati e, di conseguenza, non si accorgevano (e non si accorgono) della ricchezza di opere d’arte che, a volte, li circondano, in particolare ignoravano (ed ignorano) un’opera d’arte che da sempre rappresenta il fulcro del messaggio cristiano della Chiesa Cattolica Romana: la “Via Crucis” .

Queste “Vie Crucis” sono il risultato, a mio avviso, di uno scarso approccio al tema trattato, da parte dello stesso autore a cui vengono, o venivano commissionate.

Non esprimono sofferenza, mancano quei colori che mantengano viva (o richiami) l’attenzione di chi le osserva, del fedele, insomma, non vi è trasporto.

I personaggi appaiono statici, non “parlano” al fedele, un turista distratto, un ateo, persone che ancora più del fedele dovrebbero essere coinvolte da questo racconto illustrato, non si sentono richiamati.

Ho anche osservato che le “Vie Crucis” sono tutte uguali, come se gli autori avessero copiato uno dall’altro, con una sorta di “copia e incolla”.

I grandi pittori non hanno prodotto “Vie Crucis” significative.

Ricordo Botero, che si è cimentato con questo soggetto drammatico, forse per creare un contrasto con i suoi personaggi paffuti, e alcuni pittori moderni hanno prodotto immagini molto statiche.

Ma nessuno, nella maggior parte dei casi, ha saputo esprimere, rappresentare veramente la drammatica sofferenza di questo uomo che, trascinando il peso delle colpe, si immola per liberare l’uomo da ogni peccato.

 

Ed ora ci parla della fase di realizzazione?

Queste considerazioni mi hanno spinto a progettare qualcosa di originale, che potesse riempire i vuoti delle opere fino ad allora viste.

In primo luogo ho pensato naturalmente al colore.

Il colore deve attrarre a sé chi si avvicina e, dovendo esprimere la sofferenza, il sacrificio umano, non poteva che essere rappresentato da vari color rossi: cadmio, cardinale ecc.…  

Mi premeva poi dare movimento alle immagini, in modo che potessero comunicare il loro messaggio tramite i gesti e la sequenza degli eventi.

In quel periodo, nel 2004, era uscito il film “The Passion of the Christ” di Mel Gibson che mi diede l’input risolutivo per la realizzazione.

L’ho guardato più volte per capire come Gesù (perno dell’intera struttura) poteva muoversi all’interno della narrazione e creare quel movimento che mancava.

La realizzazione delle mie quattordici Stazioni della “Via Crucis” è durata un anno e mezzo e devo dire che è stata una vera “Passione” anche per me.

 

Quali stazioni ritiene più significative?

Le Stazioni sono ricordate dal numero romano che ogni opera riporta al di sotto della propria cornice.

La prima stazione, per esempio, rappresenta sia il bacio di Giuda (il tradimento) le mani di Ponzio Pilato che si esprimono nella gestualità del lavaggio spiccio (dalle responsabilità) e l’inizio della fustigazione.

La realizzazione dell’intera opera ha avuto lo scopo di creare delle sequenze di scene, collegate o intersecate, a volte, una all’altra, per dare all’osservatore l’impressione di osservare un film, il movimento è quasi continuo.

Un esempio particolare sono: le cadute di Gesù, Stazioni III, VII e IX.

Di forte intensità emotiva sono la IV: l’incontro con la Madre, la V, con l’aiuto di Simone di Cirene e la VIII Stazione, col distacco dalle pie donne.

La XI Stazione raffigura il dolore lacerante, per il chiodo battuto sul palmo del Cristo e la XII Stazione, con la significativa disposizione dello sdoppiamento del Cristo morente in croce, ho voluto esprimere la violenza sulle donne, ricordando la mutilazione sessuale ancora oggi una pratica perpetrata da alcune tribù africane a danno di bambine che si affacciano all’adolescenza: l’infibulazione.

La novità, risiede inoltre nella XIV Stazione, un tema di cui si sente sempre parlare ma nessuno, in una “Via Crucis” ha mai rappresentato la Resurrezione, messaggio di speranza e di riconciliazione con Dio.

Mi sento di dire che la mia “Via Crucis” rappresenta anche una sorta di fumetto moderno, per il movimento conferito dalle immagini parzialmente sovrapposte, e per la precisione dei dettagli, soprattutto di quelli più cruenti.

In questa grande opera, si sono via via intrecciate (in un modo o nell’altro) la pittura, il cinema e il fumetto.

Comunque, l’intento, che mi premeva realizzare e che avevo portato a termine era: illustrare adeguatamente e realisticamente il messaggio rivoluzionario della religione cristiana.

Quindi qual è il fulcro mancante che Lei ha voluto far emergere nella sua opera?

Quello che regge l’intera struttura dell’opera (senza la quale il resto non si sarebbe retto da solo) è la COMUNICAZIONE, qui finalmente l’opera parla, e si muove di: SOFFERENZA vera.

Infine, non meno importante, ho voluto dare a questi dipinti una valenza simbolica, quindi, anche i materiali assumono un valore intrinseco alla stessa opera.

I dipinti sono realizzati su tavole di legno di noce, opportunamente trattate, per ricordare il legno della croce come anche l’attività di falegname svolta da Giuseppe e inizialmente anche da Gesù.

Ogni opera è incastrata in cornici di ferro artigianali, a ricordo dei chiodi, ma anche perché il freddo del metallo evoca la morte.

La mia “Via Crucis”: un racconto della sofferenza umana.

L’opera è stata esposta per due volte a Torino e, nell’agosto del 2018, presso l’Albergo Rocciamelone di Usseglio, in Val di Viù: in tutte queste occasioni ho visto persone uscire commosse.

 

Si conclude così la chiacchierata con Giuseppe Lettere.

Personalmente ritengo che l’intensità dei tratti, la forza dei colori, la sofferenza dei volti e la dolorosa posa di mani e corpi chini, se non riversi dal dolore, presenti nella sua “Via Crucis”, trasmettano quel tumulto sanguinante che Cristo deve aver provato nella sua Passione... e con lui chi lo ha amato (m.j.).

 

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Articolo pubblicato il 16/01/2019