La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Il giovanetto rapito dagli zingari (prima parte)

A Santhià (Vercelli), nel dicembre del 1909, è arrestato come vagabondo un giovanetto di sedici anni, piuttosto male in arnese, il quale dichiara di essere milanese, o almeno di credersi tale e di chiamarsi Angelo Eppa. La Polizia lo fa accompagnare a Milano pensando che qui possa essere meglio identificato.

E qui comincia il romanzo.

Il giovane Eppa, molto intelligente, racconta di non sapere praticamente nulla della sua vita passata: non ha mai conosciuto i genitori e da bambino è stato rapito da una carovana di zingari. Dove? Non ricorda. Una vecchia zingara gli narrava spesso di averlo trovato una mattina d’inverno sui gradini di una chiesa, avvolto in uno scialletto di lana, dove erano nascoste duecento lire ed un medaglione per il riconoscimento. Viene creduto, anche se appare strana questa confidenza della zingara ad un fanciullo.

Eppa ricorda inoltre che gli zingari erano ungheresi, che gli avevano insegnato gli esercizi acrobatici, che era fuggito di notte presso il Moncenisio, che era stato soccorso da alcuni signori, che l’avevano portato a Firenze ed a Genova, e infine che era capitato a Santhià, girovagando di paese in paese, sempre a piedi.

Il ragazzo, così intelligente, di ungherese non conosce una parola; non conosce nemmeno il più elementare esercizio acrobatico; di Firenze e Genova non riesce a dare il minimo particolare. La Questura di Milano, che conduce le indagini, sarà accusata, non a torto, di eccessiva condiscendenza nei confronti delle sue dichiarazioni – non sostenute da alcun riscontro – e di non aver tenuto presente l’unico elemento incontrovertibile: Eppa parla con un forte accento torinese e si esprime meglio con questo dialetto!

La faccenda del misterioso giovanetto, che a Milano è stato ricoverato nel Dormitorio popolare di via Colletta, inizialmente fa molto parlare a Milano poi in tutta Italia, anche perché “La “Domenica del Corriere” del 16-23 gennaio 1910 pubblica la foto segnaletica che gli è stata scattata in Questura.

Il caso suscita molta commozione a Bisceglie (oggi nella provincia di Barletta, Andria e Trani), dove tutti ricordano che nel 1900 è scomparso all’improvviso Francesco Simone, ragazzino di sette anni figlio del falegname Carlo. Il misterioso Eppa è forse il figlio di Carlo Simone? Bisogna controllare, come si è già fatto in precedenza quando in Toscana è stato trovato un ragazzo, poi risultato non essere lo scomparso di Bisceglie.

L’Autorità municipale di questo comune si occupa della faccenda con impegno sincero, anche per ridare un po’ di tranquillità alla famiglia Simone, e si rivolge alla Questura di Milano che manda a Bisceglie le foto di Eppa, di profilo e di fronte. I Simone credono così di riconoscere il loro figlioletto Francesco, scomparso quando lavorava come garzone presso un barbiere, particolare che Eppa non ricorda. La sera della scomparsa il piccolo Francesco è andato col suo padrone allo spettacolo di un prestidigitatore ma non è più tornato e i genitori angosciati hanno fatto invano tutte le ricerche possibili.

Eppa non ricorda di essere stato a Bisceglie e non conosce una parola di quel dialetto ma la famiglia Simone inizia a convincersi d’aver ritrovato il figlio Francesco.

I biscegliesi residenti a Milano si recano al Dormitorio popolare a visitare Eppa e tutti riconoscono in lui qualche caratteristica dei componenti della famiglia Simone. Uno in particolare quando vede Eppa grida: «È questo! È proprio lui!».

In verità, il giovanetto sembra poco commosso da queste manifestazioni. Si limita a dire di non ricordare nessuna delle circostanze che i biscegliesi gli rievocano e afferma: «Temo che si sbaglino, ma dal momento che sono tutti d’accordo nel riconoscermi, ho speranza di aver trovato veramente i miei parenti».

Da Bisceglie viene mandato a Milano Pasquale De Toma, guardia municipale che ricorda vagamente d’aver visto Francesco Simone da bambino. De Toma dichiara che Eppa è proprio il fanciullo scomparso da Bisceglie e che i suoi connotati hanno molte corrispondenze con quelli degli altri figli dei Simone. Viene allora deciso di inviare il giovanetto, diventato così Francesco Simone, a Bisceglie, presso i genitori, impazziti dalla gioia e desiderosi di abbracciarlo.

Lunedì 17 ottobre, al mattino una folla enorme invade la stazione per ricevere il giovanetto che arriva accompagnato dalla guardia De Toma e dal direttore del Dormitorio milanese. Simone padre lo abbraccia in modo forsennato: la folla si commuove, molte signore scoppiano in lacrime, si urla, si grida «Evviva!». Simone, col presunto figlio e le autorità, sale in carrozza, sulla quale alcune donne gettano dei fiori. Il giovanetto appare istupidito. Quando il corteo, scortato dalla folla, giunge alla casa della famiglia Simone, si rinnova la scena emozionante: la madre del fanciullo scomparso aspetta affacciata alla finestra, in preda ad una indicibile commozione e, quando vede il giovanetto accanto al marito, urla: «Mio figlio!».

Quando questi entra in casa, la donna lo stringe fra le braccia, lo bacia, piange, ride, ripetendo «Mio figlio! Mio figlio!».

Tutti sono commossi, anche il giovanetto piange e si siede, come svenuto, mentre la povera donna lo bacia e lo accarezza.

Amici e parenti affollano la casa dei Simone, vogliono vedere il figlio ritrovato, lo circondano, lo interrogano, ma lui non comprende nulla e non risponde: la vista della città, della casa, di tutta quella gente non gli richiama alla mente nessun ricordo. Fuori la folla applaude freneticamente e allora lo fanno vedere alla finestra.

Tutta Bisceglie è lieta della felicità che aleggia in casa dei Simone.

A Torino però sorgono i primi dubbi sull’identità di Eppa-Simone.

Anche i torinesi hanno letto i settimanali illustrati con la sua fotografia: qualcuno crede di riconoscere nel sedicente Angelo Eppa, un tale Angelo Buffa, di Valentino e della fu Caterina Pignatta, nato a Carmagnola il 1° settembre 1894, ricercato come autore di un furto a danno di Pietro Valenzano, garzone di cucina dell’Albergo Centauro, in via Gazometro (oggi Giovanni Camerana) n. 8. La Questura torinese accerta che Angelo Buffa, la sera del 19 ottobre 1909, ha rubato il portafoglio contenente 110 lire a Pietro Valenzano, suo collega di lavoro, e poi è scomparso. Per il furto doveva essere processato sabato 22 ottobre dal Tribunale penale. Era già stato condannato per appropriazione indebita a sei mesi di reclusione, per furto a due mesi e per altro reato minore a due giorni di carcere! Buffa è scomparso da casa da qualche mese. Al padre ed ai fratelli ha dato solo dispiaceri. Pare che un giorno abbia detto loro: «Non m’arresteranno più, o se mi arresteranno, saprò ingannare l’Autorità prendendo un altro nome».

È molto verosimile che il sedicente Angelo Eppa, arrestato a Santhià, sia in realtà Angelo Buffa, scomparso da Torino per sottrarsi al processo e alla sicura condanna del Tribunale.

Fine della prima puntata (continua)

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Articolo pubblicato il 10/11/2018