Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Riflessione sul significato autentico del messaggio di Cesare Pavese

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così
li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti”

Cesare Pavese

Com’è noto questa drammatica poesia è incentrata sulla delusione amorosa patita per l’attrice americana Constance Dowling e costituisce una importante tappa all’interno dell’attività poetica di Cesare Pavese.

Il riproporre il testo e soffermarsi nella lettura non è soltanto il doveroso ricordo del grande scrittore piemontese, ma bensì evidenziare uno stato d’animo che in questi tempi si riscontra ormai ogni giorno di più.

E’ l’esempio perfetto di cosa accade quando la pulsione di morte guadagna e domina incontrastata la scena interiore. È la depressione melanconica, la disperazione senza vie d'uscita.

In questi casi scrivere testimonia ancora un barlume di vita, purtroppo spesso (come nel caso di Pavese) precedente il silenzio del completo distacco, del passaggio al suicidio, alla Morte liberatrice.

"Verrà la morte": il poeta usa il futuro perché, pur essendo ancora in vita, percepisce già dentro di sè il deserto, lo sente allargarsi a macchia d'olio. "E avrà i tuoi occhi". La morte colonizza lo sguardo del poeta, lo rende cieco, sensibile solo al nero. Il venir meno del potere vivificante dell'immagine e dello sguardo è in effetti una caratteristica costante della depressione. Ogni riconoscimento viene meno, si spegne ogni empatia.

Così come sono tratti invariabilmente connessi alla melanconia quelli messi in luce nei versi "questa morte che ci accompagna dal mattino alla sera, insonne, sorda, come un vecchio rimorso o un vizio assurdo". Toglie il sonno la depressione, la ruminazione si fa infinita, "sorda", ripiegata autisticamente  in se stessa come "un vizio assurdo", impedendo ogni abbandono al presente. Un "vecchio rimorso" condensa in un lampo il guardarsi indietro del depresso, oppresso dai rimpianti, da ciò che avrebbe potuto essere e non è stato, un passato cristallizzato in un fermo immagine stritolante.

"I tuoi occhi saranno una vana parola, un grido taciuto, un silenzio". Lo sguardo opaco che nulla più apprezza nel reale è della stessa sostanza della parola prosciugata della sua capacità di dire. È il collasso dell'immaginario e del simbolico. A che pro dire, gridare, comunicare? Chi ascolta se l'Altro viene smascherato nella sua inesistenza? "Su te sola ti pieghi nello specchio" rinforza il concetto: lo specchio si fa opaco, l'immagine non viene più riflessa, perché non c'è nessuno che la riconosca. L'Altro è ridotto ad uno spettatore cinico e indifferente, mentre l'identità del soggetto si sfalda perché estraniata dalla dialettica del riconoscimento.

"O cara speranza, quel giorno sapremo anche noi che sei la vita e sei il nulla".  È cara la speranza, è amata dal poeta come si ama un'illusione, un partner immaginario e ideale, qualcosa che però non esiste. Vivere è illudersi, illudersi nell'esistenza dell'Altro. "Per tutti la morte ha uno sguardo": nessuno sfugge alla cieca infondatezza della propria esistenza.

"Sarà come smettere un vizio, come vedere nello specchio riemergere un viso morto, come ascoltare un labbro chiuso". La morte, ovvero la “bella morte” assume dunque un volto diverso da quello della "morte in vita", appare una condizione desiderabile, paradossalmente più vitale della vita.

Il "vizio assurdo" della vita priva di senso, l'enigmatico, fine  a se stesso e doloroso godimento di esistere si interrompe. Qualcosa finalmente si scrive. Un volto riappare nello specchio, "un viso morto" . Così come finalmente si può ascoltare, "un labbro chiuso".

La morte nella melanconia è vagheggiata in quanto restituisce l'identità. Ma non quella persa, non la parola viva, semplicemente lo statuto di essere morto, identificato, incollato a quello che Freud chiamava l'oggetto perduto. Ecco la vera verità occultata dalla menzogna della vita. Siamo tutti morti. "Scenderemo nel gorgo muti".

Anche l'inventore della psicoanalisi ne era profondamente convinto: la poesia coglie con immediatezza stati dell'animo che la ragione descrive, circonda col pensiero senza tuttavia afferrarne il cuore pulsante.

In effetti le finezze, le sfumature di un verso agganciano e nascondono sempre la dialettica fra Amore e Morte, fra Eros e Thanatos.

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Articolo pubblicato il 17/10/2018