Torino. Umano, mai troppo umano

Curare la malattia mettendo al centro l’uomo: come migliorare l’umanizzazione delle nostre strutture ospedaliere

Un noto proverbio osserva quanto si sia incommensurabilmente e, spesso, inconsapevolmente ricchi se in possesso di buona salute.

Nelle condizioni quindi di potersi esprimere al meglio, perseguendo – forti del sostegno fisico – i propri aneliti psicologici e culturali. Il concetto viene ben esplicitato da una esemplare frase del filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, stante la quale “la salute non è tutto, ma senza salute tutto è niente”.

In virtù del connubio indissolubile fra il corpo e la mente, acquisiscono maggior importanza e centralità proprio quei periodi in cui la salute viene a mancare, minata da una qualche forma di malattia. Costretti in ambulatori e nosocomi, gli individui tendono comprensibilmente a deprimersi, perché limitati nell’esercizio delle loro attività abituali.

In questo senso, sarebbe fondamentale che il contesto ove si trovano sistemati per le cure fosse il più possibile accogliente, e funzionale a un più rapido recupero. In altri termini, dovrebbe possedere quelle caratteristiche di umanizzazione capaci di renderlo davvero, e sempre più, un “ospedale”, dal vocabolo latino “hospitalia” che indicava giustappunto le dimore destinate agli “ospiti”.

S’inserisce proprio in questo alveo l’interessante convegno “Umanizzazione delle cure e empowerment”, svoltosi Lunedì a Torino presso l’Aula Magna della Cavallerizza Reale. L’evento ha inteso fotografare l’attuale stato dell’arte per quanto concerne il Piemonte, comparando poi i dati con le esperienze e i risultati di altre Regioni italiane.

I progressi ottenuti nello sviluppo di questo ambito sono stati rimarcati dall’Assessore regionale alla Sanità Antonio Saitta, il quale – intervenendo durante il convegno – si è detto “confortato per il fatto di essere sulla strada giusta”. “Talvolta”, ha poi proseguito, “oltre che buoni sanitari occorrerebbe essere buoni agricoltori: prima si semina e poi si aspetta di raccogliere i frutti”.

Pur permanendo ancora delle criticità che la Regione, nella persona del Direttore generale alla Sanità Danilo Bono, si è impegnata ad affrontare con attenzione e sollecitudine.

Sara Carzaniga e Giorgia Duranti, in rappresentanza di AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) hanno fornito qualche anticipazione circa i prossimi risultati nazionali (ottenuti dalla valutazione di oltre 400 strutture), che verranno ufficializzati in data 16 Novembre 2018.

I criteri con cui è stata improntata la ricerca sono chiari e rigorosi: l’umanizzazione di un luogo di cura deve essere misurabile/quantificabile e, poiché questo avvenga, è necessario fornire una definizione operativa del concetto. In altri termini, come e su quali aspetti intervenire per rendere più “umane” le strutture?

A latere delle indicazioni generiche e imprescindibili (accessibilità, comfort, efficacia delle cure e capacità di relazionarsi), ciascuna Regione interpellata ha poi fornito la propria personale ricetta. L’Emilia Romagna, come esposto da Vittoria Sturlese – della locale AGENAS – ha inteso puntare sulla formazione di equipe miste regionali, composte da professionisti di varia estrazione. Per la Regione Puglia, invece, l’accento è stato posto da Sonia Giausa sulla centralità della persona, attorno alla quale – nella sinestesia della sua dimensione biologica ed emotiva – l’intero costrutto del luogo di cura andrebbe edificato. In questo senso, il “paziente” non è solo l’individuo ammalato che “sopporta” le cure con fiduciosa rassegnazione, ma in quanto diretto “depositario dell’esperienza” sulla malattia diviene parte attiva e integrante nel percorso di cura. Una successiva declinazione del predetto concetto è stato poi presentato da Alessandra D’Alfonso, in rappresentanza dell’ASL Città di Torino e della Cabina di Regia Regionale. Per il Piemonte, infatti, tutti gli operatori coinvolti nella Sanità devono indirizzare il loro operato in modo quanto più congeniale alla figura del degente, incentivando la costituzione di reti stabili di cittadini (in)formati sui “pericoli” che si possono correre all’interno dei nosocomi. Solfa non dissimile nel caso della Regione Toscana: Elena Beleffi evidenzia giustappunto come i pazienti siano degli alleati preziosi nel garantire la sicurezza delle cure e l’adozione di soluzioni adatte a chi effettivamente vi deve far ricorso.

Insomma, in generale deve sussistere circolarità nella programmazione, nonché continuità territorio-ospedale-territorio. Sottolineando questo concetto, Mirella Angaramo, della Regione Piemonte, ha evidenziato l’impegno dell’Amministrazione nel voler proseguire il monitoraggio delle strutture inserite nell’indagine, affinando sempre più la qualità della ricerca e il potere predittivo dei parametri utilizzati come indicatori.

Per quanto concerne l’esperienza piemontese calata “in prima persona” nel contesto delle corsie ospedaliere, si è altresì espresso con un frizzante intervento l’Urologo Stefano De Luca, il quale ha efficacemente rimarcato l’importanza di una corretta comunicazione Medico-Paziente. Specificando tuttavia bene, col conforto dei dati sperimentali raccolti, come detta comunicazione – per essere davvero buona ed efficace – debba prima di tutto essere/esserci. Sotto questo punto di vista, la Sanità (e i suoi operatori) sono in generale ancora decisamente claudicanti, considerate le statistiche sui tempi medi di dialogo fra curante e curato.

L’incontro è dunque proseguito con la presentazione dei progetti aziendali di umanizzazione, promossi, a ventaglio, su tutto il territorio regionale. A concludere, si è registrato il contributo di Elisabetta Sasso, membro di CittadinanzAttiva Piemonte, per discutere il ruolo della partecipazione civica agli sforzi di umanizzazione dei luoghi di cura.

Per concludere, volendo proprio mutuare le sue parole, si può in ultima analisi restituire l’esprit del convegno ribadendo come “i pazienti non sono numeri ma persone”.

Perché se è vero – come sosteneva un altro insigne filosofo tedesco, Friedrich Nietzsche – che “un po’ di salute è il miglior rimedio per un ammalato”, anche l’empatia e la compartecipazione dell’ambiente ospedaliero alla sua tribolazione non guastano.

Anzi, aggiustano: nel senso che guariscono…

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Articolo pubblicato il 26/09/2018