Appunti di viaggio in Russia (undicesima puntata)
L'isba abitata dall'archimandrita del monastero quando si recava in visita al Giardino Botanico

Verso il Mar Bianco, la Carelia e l’arcipelago delle isole Solovki, di Paolo Barosso

Dopo l’incendio del 1923, appiccato dal direttore del sovchoz Solovki per nascondere illeciti finanziari, si decise la creazione del “campo (lager) di destinazione speciale delle Solovki”, con due posti di transito sul continente e smistamento a Chem (Carelia) e Archangel’sk, noto con l’acronimo SLON e contrassegnato nei documenti dal logo dell’elefante (in russo Slon significa elefante).

Nel campo transitarono, sino alla chiusura, avvenuta nel 1939, oltre 800.000 prigionieri, di cui molti morirono in seguito a esecuzioni sommarie, epidemie (tifo), privazioni, torture psicologiche e fisiche. Il campo di prigionia delle Solovki fu il primo ad essere collegato alla direzione politica dello Stato unificato dell’Urss che, dirigendo l’espansione del sistema concentrazionario sovietico, portò nel 1930 alla creazione della Direzione Generale dei Campi, Glavnoe upravlenie lagerej, da cui l’acronimo Gulag, divenuto d’uso comune dopo la pubblicazione del saggio d’inchiesta narrativa Arcipelago Gulag 1918-1956 di Aleksandr Solzenicyn.  

Nel 1929 lo scrittore Maksim Gor’kij, incaricato dal governo per smentire voci trapelate all’estero, visitò il campo di prigionia, riportando la propria testimonianza nell’articolo intitolato “Le Solovki”, in cui parlava con accenti positivi dei programmi di “rieducazione attraverso il lavoro” pensati per i prigionieri.

Gor’kij, che, pur avendo aderito alla Rivoluzione, già nel giugno 1917 esprimeva critiche ai metodi del bolscevismo (“li disprezzo e li odio sempre di più”), si attirò per questi scritti propagandistici le aspre critiche di Solzenycin, che lo accusava di aver taciuto per convenienza sulle prove dei crimini di cui era stato testimone.

La commissione d’inchiesta inviata nel 1930 alle Solovki per indagare sugli “eccessi” nella gestione del campo comminò una sessantina di condanne a morte, soprattutto di guardie e componenti dell’amministrazione, accusati di torture, stupri e uccisioni, dopodiché il campo proseguì la “normale” attività ancora per nove anni.  

L’itinerario di visita ai luoghi della memoria comprende, oltre al Museo, che raccoglie documenti, cimeli e filmati, la Gora Sekirnaja, un’altura immersa nei boschi su cui sorge il monastero minore dell’Ascensione, dipendenza del monastero principale.

La chiesa, anch’essa sconsacrata nel periodo sovietico, venne adibita a luogo di punizione per gli “indisciplinati” del campo.

Accanto all’edificio, lungo il ripido pendio della collina, s’inerpica la “Scala Santa”, interamente in legno, fatta di 365 gradini e ricostruita in anni recenti, che, al tempo del campo, era avvolta da una fama sinistra: si diceva (e vi sono testimonianze al riguardo) fosse utilizzata per gettarvi di sotto, una volta legati, i detenuti.

Una grande croce in legno è stata posata nelle vicinanze della chiesa in memoria delle vittime.   

Malgrado il ricordo delle atrocità, che ancora aleggia sull’isola, lo straordinario complesso monastico delle isole Solovki sta recuperando la sua vocazione originaria, di luogo di fede e spiritualità, grazie alla rinnovata presenza dei monaci, tornati a partire dal 1990, e all’impegno del personale del Museo, la cui direzione è stata affidata all’archimandrita del monastero.

Le isole Solovki, poste al confine estremo della terra secondo le popolazioni antiche, conservano tracce di culti pagani, praticati dai primi frequentatori del Mar Bianco (e proseguiti sino all’arrivo dei monaci nel XV secolo).

Gli antenati dei Sami diedero forma sulle rive del mare ai “santuari di pietra”, con sassi di diversa grandezza disposti a formare disegni geometrici, in particolare labirinti, dal significato ancora discusso, forse legato a riti propiziatori o a riferimenti astronomici.

La natura rigogliosa, con le foreste di conifere frammiste a betulle, le centinaia di laghi interni, collegati tra loro da un sistema di canali realizzato nei secoli, e il Giardino Botanico, creato dai monaci, rendono attrattiva la visita alle isole anche dal punto di vista ambientale e paesaggistico.

Paolo Barosso

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Articolo pubblicato il 14/09/2018