Appunti di viaggio in Russia (quinta puntata)
Jaroslavl' - Campanaro all'opera nel monastero della Trasfigurazione del Salvatore

L’Anello d’Oro, tra monasteri, città mercantili e antichi principati, alla scoperta dell’anima russa, di Paolo Barosso

Storicamente legata a Rostov è la città mercantile e oggi industriale di Jaroslavl’, alla confluenza del fiume Kotorosl’ nel grande Volga, che i Russi, quasi con affezione filiale, chiamano “matuska”, mammina.

Fondata al principio dell’XI secolo per iniziativa di Jaroslav il Saggio, da cui trae il nome, fu principato autonomo a partire dal primo Duecento e conservò la propria importanza anche dopo l’annessione al principato di Mosca.

Vanta un gran numero di testimonianze dell’illustre passato, tra cui il monastero della Trasfigurazione del Salvatore, risalente al XII secolo, poi ampliato, che fungeva in origine da cremlino della città, sede del potere politico e religioso, fortezza e luogo culturale insieme, il seicentesco palazzo del Metropolita, che oggi ospita un Museo di Arte antica con una preziosa raccolta di icone (la scuola locale, fiorita nel XVI secolo, si distingue da quella moscovita, più legata a schemi classici, per l’esuberanza cromatica e la dovizia di dettagli ispirati alla vita quotidiana), e, lungo le rive del Volga a 8 Km dalla città, il monastero di Tolga, restituito alla Chiesa dopo essere stato trasformato in carcere minorile in epoca sovietica, che sorse nel XIV secolo nel luogo dove apparve l’icona miracolosa della Vergine di Tolga, oggi custodita nel complesso.   

Alla confluenza del fiume omonimo nel Volga sorge poi la città di Kostroma, rinomata per la lavorazione del lino e legata alle vicende della famiglia Romanov.

Fu qui che nel 1613, al termine dell’epoca dei torbidi, Michail Romanov venne informato della designazione a zar, il primo della dinastia che rimarrà sul trono sino al 1917, per volontà dello Zemskij sobor, l’Assemblea rappresentativa del regno. Perno della viabilità cittadina è la grande piazza Susanin, plasmata in forme neoclassiche al tempo di Caterina la Grande e dedicata all’eroe locale e icona del patriottismo russo Ivan Susanin, figura realmente esistita, ma proiettata in una dimensione quasi leggendaria, a cui la tradizione attribuisce il merito nei primi anni del Seicento, in piena epoca dei torbidi, di aver salvato Michail Romanov, non ancora zar, da un’imboscata polacca.

Tra i monumenti più significativi di Kostroma spicca il monastero Ipat’evskij, fondato nel XIV secolo da un feudatario tartaro di nome Cet (o Chet), antenato di quel Boris Godunov che, divenuto zar nel 1605, fu acerrimo nemico dei Romanov e tentò di ostacolarne l’ascesa al potere. Il grande poeta Puškin alluse infatti a Godunov in uno dei suoi componimenti rammentandogli le sue origini: “Ieri eri ancora un servo, un Tataro…”. Di ampia portata fu il fenomeno di famiglie dell’aristocrazia tartara che, di fronte al disfacimento dell’Orda d’Oro, passarono al servizio dei gran principi di Mosca, penetrando anche agli alti livelli dell’aristocrazia russa. L’area del monastero include il tardo-cinquecentesco Palazzo dei Romanov, residenza di Michail prima di diventare zar, dove è oggi allestita una mostra di cimeli, documenti e oggetti riferiti alla storia della famiglia imperiale.   

Imperdibile è infine il Museo all’aperto di architettura lignea, che raduna strutture tipiche dell’architettura civile e religiosa russa realizzate in legno (mentre in città si costruiva in muratura). Oltre alle caratteristiche chiese, si possono ammirare le tradizionali isbe, le abitazioni dei contadini russi, le cui dimensioni e ricchezza ornamentale indicavano lo status sociale dei proprietari. L’isba, costruita con grandi tronchi di pino o abete rosso sovrapposti e incastrati alle estremità (senza uso di chiodi in ferro), comprende spesso ambienti esterni al nucleo principale, i cosiddetti seni, collegati tramite corridoi-vestiboli e adibiti a stanze estive, dispensa, camere per la servitù. Le finestre usualmente non erano chiuse con il vetro, troppo costoso, bensì da luccicanti lamine di mica, materiale che consentiva il passaggio della luce, ma non dell’aria. L’isba non va confusa con la dacia, dimora per la villeggiatura estiva che ebbe grande diffusione nel corso dell’Ottocento. Il termine deriva dal verbo davat, dare, e allude alle prime dacie, appezzamenti di terreno nei dintorni di San Pietroburgo che lo zar Pietro il Grande “donava” in segno di riconoscenza a funzionari e nobili meritevoli. Situata in piccoli centri di campagna, ai bordi delle foreste o sulle rive dei laghi, la dacia classica è a uno o due piani, senza acqua corrente (la si attinge dal pozzo) e senza impianto termico, ma è provvista di stufa a legna.

Paolo Barosso 

(Continua)

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Articolo pubblicato il 05/09/2018