L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: Mafalda di Savoia - un capro espiatorio per i nazisti

Pamparato (CN) ricorda la principessa deportata e vittima innocente

Come già annunciato ieri in un articolo pubblicato sulle colonne di Civico 20 News, Pamparato - ridente Comune della Provincia di Cuneo, già noto per ospitare il Festival dei Saraceni, ovvero la rassegna musicale incentrata sul repertorio pre-romantico più antica del nostro Paese, che ivi ha luogo da oltre 50 anni – ancora una volta si distingue per un’iniziativa culturale di indubbio significato e importanza.

Il Comune, la Biblioteca Comunale e la onlus "Col. Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo", in vista di Martedì 28 Agosto 2018 hanno organizzato una tavola rotonda dal titolo "Mafalda di Savoia da Principessa a Deportata". In tale data verrà infatti commemorato il 74-esimo anniversario della Sua morte, avvenuta nel campo di concentramento di Buchenwald.

I lavori si svolgeranno all’interno del Municipio, già Castello di Caccia della famiglia nobiliare Cordero di Pamparato, alle ore 17:30.

Coordinerà il giornalista Claudio Bo.

Relatori: l'On. Prof. Sergio Soave, Presidente dell'Istituto Storico della Resistenza della Provincia di Cuneo; il Prof. Aldo Alessandro Mola, storico; la Prof.ssa Maura Aimar, fondatrice del Centro Studi Principe Oddone; il Marchese Cordero di Pamparato, autore di studi storici.

Che genere di riflessioni può di primo acchito scaturire, oggi, dal ricordo di quanto accaduto quasi tre quarti di secolo addietro?

Viviamo purtroppo in una società liquida, disturbati e infastiditi dal vociare di politicanti che badano solamente alla propria arrogante affermazione personale, distogliendo spesso e volentieri la nostra attenzione dalle effettive problematiche che affliggono la vita dei singoli cittadini e dell’intero Paese.

In questo scenario svilente, risulta oltremodo significativo il fatto che un piccolo Comune, facente parte dell’Unione Montana Valli Monregalesi, decida di convocare studiosi di fama risaputa e notoria: per ricordare non solo una Principessa tragicamente perita sotto la ferocia nazista, ma per evidenziare altresì il tributo di sangue che la nostra Casa Reale ha pagato nel corso del secondo conflitto mondiale.

Caduto il Fascismo dopo il voto del Gran Consiglio del 25 Luglio 1943, Re Vittorio Emanuele III, con la firma dell’Armistizio, compì una scelta coraggiosa per liberare il popolo italiano dalla tragedia della guerra e del regime totalitario, cercando così di garantire una prospettiva democratica alla Nazione.

Egli fu però chiamato a scontare come Padre, prima ancora che in veste di Monarca, le conseguenze di tale decisione, subendo la terribile fine di una figlia cinicamente deportata dai Nazisti in un campo di sterminio, e lì lasciata poi morire di stenti e incuria.

Proponiamo dunque alla conoscenza e alla riflessione dei nostri Lettori i passi salienti di una vicenda che è, innanzitutto, profondamente umana.

La storia della Principessa Mafalda Maria Elisabetta di Savoia-Assia (Roma, 19 Novembre 1902 – Buchenwald, 28 Agosto 1944), secondogenita del Re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena di Montenegro, è massimamente conosciuta per la sua dolorosa fine.

La Principessa trascorse l’infanzia e la giovinezza fra Roma e le località di villeggiatura: Sant’Anna di Valdieri, Racconigi, San Rossore.

Durante la Prima Guerra Mondiale Mafalda, con le sorelle Jolanda e Giovanna, seguì la madre nel corso delle frequenti visite presso gli ospedali, ove giacevano ricoverati i militi feriti. Prese inoltre parte attiva agli innumerevoli atti di carità verso i sofferenti e i poveri disposti dalla Regina Elena, donna dall’altissimo profilo spirituale, per la quale è già stato introdotto il processo di canonizzazione.

Il 23 Settembre 1925, la Principessa andò in sposa al Principe tedesco Philipp von Hessen-Kassel (Offenbach am Main , 6 Novembre 1896 - Roma, 25 Ottobre 1980), Langravio d’Assia-Kassel e Tenente dell'Esercito prussiano.

L'unione principesca fu allietata dalla nascita di quattro figli: Maurizio, Enrico, Ottone ed Elisabetta d’Assia.

La vita scorse inizialmente via, felice e piena. Come dono di nozze, Mafalda ricevette Villa Polissena, a Roma: e lì dimorò durante i Suoi rientri in Italia. Poi il destino della Principessa si dipinse purtroppo di tinte fosche. Nel 1943, durante l’infuriare della Seconda Guerra Mondiale, Mafalda di Savoia partì alla volta della Bulgaria, con l’intenzione di riabbracciare e confortare la sorella Giovanna il cui coniuge, Re Boris III, era in fin di vita.

Con l’annuncio dell’8 Settembre, la firma della resa dell'Italia agli Anglo-Americani la colse oltralpe, mentre Hitler meditava di arrestare il Re Vittorio Emanuele III, la Regina Elena e il Principe Ereditario Umberto, i quali scamparono alla cattura rifugiandosi prima a Ortona e poi, via mare, a Brindisi, preservando in tal modo lo Stato che s’identificava con la Corona.

Mafalda volle a tutti i costi ritornare a Roma per ricongiungersi con i figli. I piccoli Savoia-Assia erano ben nascosti in Vaticano, sotto la protezione di Monsignor Montini, il futuro Papa Paolo VI.

Il resto è Storia nota.

Mafalda venne catturata con l'inganno dai Nazisti di Kesselring il 23 Settembre 1943 a Villa Wolkonski, sede dell'ambasciata tedesca, dove era stata attirata con il pretesto di ricevere una telefonata del marito. Condotta all'aeroporto dell'Urbe, fu imbarcata su un volo per Berlino e successivamente deportata a Buchenwald, di cui varcò la soglia il giorno 18 Ottobre 1943.

Al momento dell’arrivo nel campo di concentramento, la Principessa possedeva solo i vestiti indossati al momento dell'arresto. Le sue richieste di indumenti e biancheria pulita furono sempre negate. Le venne altresì proibito di scrivere e il Suo nome fu sostituito con quello di “Frau Abeba”.

La Principessa venne rinchiusa in una baracca riservata a prigionieri particolari, che non lavoravano. La dura vita del campo, il poco cibo (che divideva con coloro che reputava avessero più bisogno di lei) e il glaciale rigore dell’inverno deperirono ulteriormente il già gracile e provato fisico di Mafalda.

Nel lager la Principessa ebbe occasione di conoscere un prigioniero italiano, il sardo Leonardo Bovini, addetto allo scavo di una trincea antiaerea all'interno del recinto della baracca dove Mafalda era prigioniera. Fu proprio da lui che si ebbe notizia della presenza, nel campo, della Principessa di Casa Savoia.

Il 24 Agosto del '44 il campo di concentramento di Buchenwald venne bombardato dagli Anglo-Americani. Mafalda rimase gravemente ferita, con il braccio sinistro ustionato fino all'osso e una vasta bruciatura sulla guancia. Fu trasportata nella camera di tolleranza del campo, per l’occasione trasformata provvisoriamente in lazzaretto.

Affinché non avesse contatti con altri prigionieri, venne operata in ritardo (e con metodo inadeguato alla circostanza) dal Medico capo delle SS. Morì a 42 anni, qualche giorno più tardi, per l’appunto il 28 Agosto 1944.

Il Dottor Fausto Pecorari, Radiologo internato a Buchenwald, affermò come Mafalda fosse stata intenzionalmente operata in ritardo, con un intervento che costituì in realtà il risultato di un assassinio sanitario avvenuto per mano di Gerhard Schiedlausky (condannato in seguito a morte dal Tribunale militare di Amburgo e giustiziato per impiccagione nel 1948), similmente a quanto già avvenuto in altri casi, tutti finalizzati a eliminare “personalità di riguardo”.

La salma di Mafalda di Savoia, grazie all’intervento del Padre boemo Joseph Tyl (monaco cattolico appartenente all’ordine degli Agostiniani Premostratensi) non venne cremata, bensì disposta in una cassa di legno e sepolta sotto la dicitura “262 eine unbekannte Frau” (donna sconosciuta). Trascorsero alcuni mesi prima che sette marinai italiani, reduci dai lager nazisti, trovassero la misera bara della Principessa martire, deponendovi finalmente una lapide identificativa.

Il destino decretò un epilogo atroce per Mafalda di Savoia; il martirio di Buchenwald non fu altro che la conclusione di una vita perennemente spesa e protesa verso il prossimo e verso i propri cari.

Per vivere accanto all’amato marito, Mafalda sopportò infatti il rigido clima tedesco fino a quando non le venne impedito dai medici. Accettò poi di occuparsi del “caso Montenegro” (restaurazione del trono Petrovich) per amore di Suo padre e di Sua madre, non considerando che la Gestapo l’avrebbe pedinata. Si recò al funerale del cognato, scegliendo di stare accanto alla sorella Giovanna nonostante l’Europa fosse in quel periodo letteralmente messa a ferro e a fuoco.

Per non mancare alla millantata telefonata del consorte rimasto in Germania, la Principessa cadde infine nella trappola predisposta dall’ufficiale tedesco Herbert Kappler, Comandante del Servizio Segreto delle SS e della Gestapo a Roma.

Nel campo di concentramento di  Buchenwald Mafalda non si curò di se stessa: in cima ai Suoi pensieri c’erano i figli, il marito, i genitori, gli internati del campo e in particolare gli Italiani prigionieri nel lager, ai quali fece sentire tutta la Sua vicinanza. Le ultime parole furono proprio dirette a loro: “Italiani, io muoio, ricordatemi non come una Principessa ma come una Vostra sorella italiana”.

La martire Mafalda di Savoia riposa oggi nel piccolo cimitero degli Assia, nel Castello di Kronberg in Taunus a Francoforte-Höchst, frazione di Francoforte sul Meno.

Mafalda è stata una figura minore della storia d’Italia tuttavia, nonostante i tentativi ideati dai detrattori della Real Casa di occultarne la memoria e il ricordo, più di centocinquanta tra Vie, Piazze e giardini pubblici Le sono stati intitolati. Anche un Comune, situato in Provincia di Campobasso, porta il Suo nome. Per Lei cippi e monumenti sono stati eretti, e diverse scuole italiane e club sono stati intitolati alla Sua memoria. Inoltre le richieste di intitolazioni topografiche proseguono, dal Nord al Sud d’Italia.

Quali conclusioni?

Figlia ideale, madre ideale, moglie ideale, Principessa dai connotati straordinariamente umani e cristiani”, come attesta in un documentato studio Cristina Siccardi, “Mafalda rappresenta una vittima sacrificata sull’altare degli olocausti perpetrati in una guerra dove l’odio ha espresso le sue più turpi facce, in una guerra più ideologica che di conquista”.

 Al di la dei settarismi, questa è Storia: e lo è in modo inconfutabile. Per non dimenticare!

(Immagine tratta da Targato CN)

 

FRANCESCO ROSSA
Presidente Onorario
CIVICO20NEWS

 

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Articolo pubblicato il 26/08/2018