La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

L’Albergo di Virtù (di Cristina Quaranta) – prima parte

Cristina Quaranta ci accompagna con questa sua ricerca condotta su documenti dell’Archivio di Stato, Sezioni Riunite, nella conoscenza di una istituzione della nostra città che, purtroppo, molti torinesi hanno sentito nominare soltanto a causa delle polemiche sollevate dopo la decisone di trasformarlo in un hotel di lusso, destinazione che a persone fortemente ideologizzate è apparsa incompatibile col fatto che, nel corso del Novecento, il giovane Antonio Gramsci avesse abitato in un alloggio ricavato nel palazzo stesso (m.j.).

 

Nel secondo ingrandimento della città di Torino voluto dal duca Carlo Emanuele II, nel 1678, venne aperta piazza Carlina. Questo grande slargo servì sino al 1865 per il mercato del vino almeno un paio di giorni la settimana, inoltre ai lati della piazza si trovavano delle tettoie, quattro, per la vendita della legna, carbone, e fieno e accanto troneggiava il peso pubblico.

Nella stessa piazza al n° civico 8 si trovava l’Albergo di Virtù aperto sotto il ducato di Emanuele Filiberto per volere di alcuni soci della Compagnia di San Paolo, promossa e riconosciuta Istituzione legale, Carlo Emanuele I la protesse, poiché lo scopo nobile era quello di procurare ai giovani poveri l’apprendimento delle Arti.

Nel palazzo scelto dal duca e dal Consiglio del Collegi, nel 1682 vi trasferirono gli allievi e nello stesso stabile venne annesso il Rifugio dei cattolizzati, provenienti dalle valli valdesi, ricollocati poi a metà ‘700 all’Ospizio di Pinerolo.

Vale sicuramente la pena, ora, percorrere le varie tappe storiche aggiungendo qualche curiosità intorno dell’Albergo di Virtù.

Informati che alcuni nostri cittadini di Torino, poveri vanno mendicando per la città e anche molti garzoni tutto il giorno stanno per le contrade oziosi giocando, vorremmo allontanarli dalla vita mendicata e dai vizi portandoli verso buone discipline e virtù, verso il viver sicuro. Habbiamo dato ordine di costituire un collegio fuori le mura con abitazione comoda con uomini maestri nell’arte d’istruire e ammaestrare e disciplinare questi poveri ragazzi, sia nelle arti che ogni ragazzo sceglierà che nella disciplina cattolica.

Così si legge sul documento ma perché tale progetto si possa effettuare, non basterà solo il contributo di S.A.R. ma anche quello dei cittadini caritatevoli. Intanto per iniziare si dota tal Collegio di un censo e reddito perpetuo di 600 scudi d’oro, da prendersi sopra la gabella del sale e si promette sulla parola di principe che siano pagati al tesoriere del Collegio ogni anno nel giorno del venerdì santo.

Il primo rettore a essere nominato sarà Matteo Pattino, di Tours, uomo di grande virtù e zelo; all’Istituto sarà concessa l’esenzione dai dazi e pedaggi e altri privilegi.

I ragazzi si dedicheranno a industriose occupazioni, fuggiranno l’ozio abbracceranno la virtù con onesti e leciti guadagni, si ridurrà il numero dei poveri figlioli dispersi e vagabondi, si guadagneranno il pane imparando un mestiere dai loro professori che sveleranno i loro segreti nell’arte; si tratterà anche d’agricoltura e s’insegneranno le semine e raccolti.

Il rettore Pattino potrà avvalersi di tanti buoi e bovari che riterrà necessari a servizio della sua “agricoltura”, per questo, però dovrà pagare una lira al giorno, sia per i bovari compresi il paio di buoi che per ogni carro usato, lo stesso varrà per un cavallo da soma. L’Albergo ha bisogno di un gran numero di lavoratori, sia donne sia uomini; sarà consentito al rettore e ai suoi dipendenti di far prendere tutti i vagabondi e mendicanti idonei al lavoro, che spesso sottraggono il “pane” assegnato ai poveri vecchi infermi inabili e impotenti.

Si permette anche al Rettore d’usare la sua invenzione con la quale i bachi da seta si duplicano due volte in una sola estate, producendo nella seconda volta la stessa quantità della prima tornata. Un’oncia di libbra di seta prodotta nella seconda tornata dagli stessi bachi sarà a beneficio dell’Albergo di Virtù.

Sarà permesso sia al Pattino che ai suoi agenti, portar ogni sorta d’armi simili a quelle permesse ai militari, e usarle all’occorrenza senza incappare in pene previste dagli editti.

Al Pattino sarà dato un piccolo capitale da poter gestire per provvedere all’occorrente dell’Albergo. Ogni parte di mobilio sarà inventariata. Questo si firmava il 18 ottobre 1587.

Nei primi anni del Seicento ci informano che occorre eleggere un nuovo medico-chirurgo essendo il dottor Cappa passato a miglior vita. Si nomina Niccolò Auxilio che provvederà a guarire sia i detenuti nelle carceri Senatorie sia i ragazzi dell’Albergo di Virtù, a riguardo del suo stipendio non sono previsti cambiamenti.

Nel 1618 si deve proibire ai mastri tessitori di panni e sete di portare nelle loro botteghe private i giovani dell’Albergo che loro stessi hanno istruito. I ragazzi che ancora non sono stati licenziati con lettera portante il sigillo del direttivo, non possono in alcun modo operare fuori dal collegio.

Chi non si atterrà a questi ordini sarà multato di 100 scudi d’oro.

L’Albergo, sappiamo si serve delle balle di seta provenienti dall’opificio di Racconigi, per lavorare e trasformare il filo. Nessun dazio graverà sul trasporto, ma non sembra essere in accordo a ciò l’accensatore che ha preteso il pagamento della tratta come se le balle andassero fuori dallo Stato.

Naturalmente ancora una volta sarà il duca a intervenire.

Nel 1720 il re Vittorio Amedeo II riduce il consiglio a soli tre personaggi: il presidente è il conte Groppello, coadiuvato dall’auditore conte Ceveris e il vassallo Beltramo (quest’ultimo già si dedica all’Opera del Deposito, ricovero di donne di cattiva vita), che si occuperanno della parte economica dell’Istituto, si incontreranno una volta la settimana, almeno due di loro, alla presenza di un segretario; si terranno registri anche quello delle presenze dei ragazzi sia maschi che femmine, e del tempo in cui si fermeranno in Albergo.

Si noti che in questo periodo l’Opera del Deposito e l’Albergo di Virtù sono sotto la stessa giurisdizione riguardante i loro redditi.

Tre anni dopo si pone un problema assai curioso. Nella casa dell’Albergo posta in piazza Carlina non v’è uno spazio nel quale, nei giorni festivi o nelle ore dedicate al riposo le ragazze possano, divise dai maschi, trattenersi fra esse salvo un piccolo spazio tra il loro edificio e la facciata del monastero di Santa Croce, una contrada poco frequentata a servizio di coloro che si recano in chiesa. Si decide perciò di usarne almeno una parte da far chiudere e permettere alle ragazze di poterne godere nelle ore di svago.

Cristina Quaranta

Fine della prima parte - continua

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Articolo pubblicato il 07/08/2018