Carlo Alberto: Re più incompreso che tentenna!

Breve apologia di un sovrano, scritta di Alessandro Mella, nella ricorrenza della morte, avvenuta a Oporto, in Portogallo, il 28 luglio 1849

«Nonostante la mia abdicazione, se mai sorgesse una nuova guerra contro l’Austria… accorrerò spontaneo, anche quale semplice soldato, tra le fila dei di lei nemici… Mi solleva del pari il pensiero e la speranza che […] si conseguirà un giorno ciò che io ho tentato. […] La nazione può avere avuto principi migliori di me, ma niuno che l’abbia amata tanto. Per farla libera, indipendente e grande… ho compiuto con animo lieto tutti i sacrifici… Cercai la morte [in battaglia] e non la trovai…»

(Carlo Alberto a Collegno e Cibrario, maggio 1849, in Bertoldi, p. 269)

 

Carducci in uno dei suoi componimenti più emozionanti lo definì, senza malizia, “Italo Amleto”.

Monsignor Fransoni, Arcivescovo di Torino, soleva invece deriderlo storpiando volutamente il suo nome latinizzato da “Carolus” a “Cavolus Albertus”.

I libri di storia lo hanno ingenerosamente etichettato come “Re Tentenna”.

Ma non furono forse troppo sbrigativi?

Carlo Alberto nacque a Torino nel 1798 in un Piemonte in balia delle continue guerre contro la Francia e prossimo alla seconda discesa del giovane generale Bonaparte che da lì a poco sarebbe diventato Console e poi Primo Console (a vita) di Francia. Venne Marengo, la sfolgorante vittoria francese, nell’anno 1800 e due anni dopo i territori continentali del Regno di Sardegna furono annessi alla Repubblica Francese prossima a diventare impero.

Il rampollo sabaudo, non destinato teoricamente a regnare, a differenza di molti altri crebbe nel clima liberale e modernizzatore portatore di fermenti ideali e nuovi valori. Napoleone I lo titolò perfino Conte dell’Impero e gli permise l’accesso alla Grande Armata presso cui Carlo Alberto militò come Sottotenente dei Dragoni.

Poi la storia prese a correre.

Con la Restaurazione il giovine ufficiale rientrò a Torino e nel volgere di poco meno di un ventennio si trovò a succedere allo zio Carlo Felice diventando Re di Sardegna.

Le incertezze, l’appoggio poi ritirato ai moti del 1821, le contraddizioni e lo spirito un poco introverso ed enigmatico contribuirono a bollarlo come sovrano titubante financo inadeguato per alcuni.

Lo fu? Senz’altro oscillò tra aperture liberali e conservatorismo.

Si dimostrò sensibile alla storia, alla cultura ed all’arte dando sostegno a chi ne era promotore e favorendone la diffusione. Fu legislatore desideroso di rinnovare la burocrazia e gli impianti normativi ma anche sostenitore di importanti opere pubbliche in tutto il territorio del Regno.

Ma non mancò di dimostrarsi anche avversario fermo e tenace delle agitazioni mazziniane che, anche per la loro natura repubblicana, ne turbavano i sonni.

Tuttavia a rendere grande Carlo Alberto non fu certo la sua impressionante altezza, pare superasse i due metri, ma i due momenti cruciali della sua opera.

Nel 1848 concesse, caso quasi unico in Europa, lo statuto che ne portava il nome e che rimase in vigore per un secolo giacché i suoi successori (a differenza di altri) non l’abrogarono ne ritirarono.

Carta costituzionale profondamente liberale, ricca di importanti conquiste sociali e politiche, essa fu accolta da un tripudio di popolo. Un esempio della sua apertura fu, ad esempio, la garanzia di piena libertà di culto che finalmente emancipò anche gli israeliti i quali da quel momento trovarono piena libertà e divennero protagonisti della storia e della vita nazionale meritatamente ed a pieno titolo.

Ma quello stesso anno il sovrano sardo dimostrò tutto il suo coraggio sfidando, dal suo piccolo Regno, l’Impero d’Austria potente e maestoso. Giunto a Milano, in piazzale Duomo, Carlo Alberto ricevette dall’ex generale Teodoro Lechi le aquile che ornavano le bandiere dell’invitta Guardia Reale del Regno d’Italia (1805/1814) di Napoleone I. Omaggio carico di grandi significati poiché i reduci del ventennio napoleonico riconoscevano in lui il continuatore del loro sogno italiano d’allora.

Varcando il Ticino l’aveva fatto con la bandiera tricolore caricata dello scudo sabaudo.

Nel 1849 venne la sconfitta di Novara, la melanconia, l’esilio ed infine la morte lontano dalla Patria. Il ritorno a Torino venne solo dopo la scomparsa per riposare, finalmente, presso la Basilica di Superga sorta per volontà di Vittorio Amedeo II dopo l’assedio del 1706.

Fu una vita tempestosa ed in balia d’un Europa in costante fermento e tensione a causa dei cambiamenti spesso celeri, fulminei e burrascosi. Momenti che imponevano cautela e coraggio allo stesso tempo.

Forse non sempre seppe dosarli nella giusta misura ma la concessione dello Statuto e la guerra all’Austria (con cui Casa Savoia si faceva bandiera del sogno nazionale che diventerà il Risorgimento) furono egualmente scelte ardite ed epocali. Abbastanza per serbargli la dovuta gratitudine.

Un grande Re per un piccolo stato che seppe farsi, con suo figlio, grande fino a costruire l’Italia.

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Articolo pubblicato il 28/07/2018