Vive le Québec libre! Vive le Canada français! Et vive la France!

Cinquantun anni fa il Presidente De Gaulle, in visita ufficiale in Canada, incitò alla secessione. Il ricordo di un Piemontese

Siamo abituati ormai da anni ad assistere a figuracce di cui i nostri governanti si rendono protagonisti quando compiono visite ufficiali in altri Paesi. Si tentano i confronti con il passato, cercando di calcare la mano sull’inadeguatezza dei presenti. In verità la Storia è ricca di analoghi episodi.

In taluni casi, come nell’episodio sul quale stiamo per soffermarci, dietro alle parole, c’erano intenti politici non da poco.

Vive Montréal, vive le Quebec, vive le Quebec libre''.

Sono trascorsi cinquantun anni da quel 24 luglio del 1967, quando, affacciandosi dal balcone principale del municipio di Montréal, davanti al quale s'era raccolta una folla enorme e adorante, il presidente francese, il generale Charles De Gaulle, alla fine del discorso alla gente quebecchese, lanciò il suo famoso appello per perorare l'indipendenza della Provincia canadese o, più concretamente, la secessione.

Un discorso tonante, che infiammò i francofoni canadesi rilanciando il tema dell'Indipendenza che sino ad allora poche volte aveva superato, in termini di interesse internazionale, i confini del Nord americano.

La visita del presidente in Quebec fu trionfale, né altrimenti poteva essere in un territorio che da sempre s'era sentito emarginato e sotto attacco dalla dilagante cultura anglofona.

La maggioranza dei quebecchesi nel 1967 parlava francese (anche se quella parlata in Quebec, il joual, è una lingua profondamente diversa da quella d'origine) e la sua cultura era fortemente condizionata dai legami con la Francia, in cui forte era anche l'influenza del cattolicesimo, ancora oggi la religione dominante.

Il senso di oppressione, la sindrome dell'assedio e anche un complesso di inferiorità rispetto all'effervescente, intraprendente, dinamico Ontario, ha sempre costretto il Quebec in una condizione di difesa delle proprie peculiarità, soprattutto quando al governo c'è stato il Parti quebecois.

Talvolta con picchi di protezionismo culturale, come quando, agli albori degli anni '80, il governo provinciale adottò la legge 101 che vietava l'uso di parole inglesi in insegne e manifesti, persino in quelle di aziende americane note con il loro nome in tutto il mondo, fuorché, dopo l'approvazione della legge, in Quebec.

Charles De Gaulle ha sempre portato avanti le sue idee a colpi di provvedimenti, che contribuirono all'idolatria di cui era fatto oggetto in Francia da parte del popolo, che in lui vedeva non solo il militare che aveva contribuito (anche se lui amava attribuirsene gran parte del merito) alla cacciata degli occupanti tedeschi, ma anche il presidente che poteva aiutare il Paese ad uscire dalle sabbie della politica immobilista, cristallizzata da battaglie ideologiche che non contribuivano certo a riempire le sporte delle casalinghe.

Quando al culmine di un viaggio ufficiale di pochi giorni De Gaulle pronunciò il famoso discorso, pochi in Quebec si aspettavano che lui potesse entrare in modo così deflagrante in una vicenda da cui, da capo di uno Stato straniero, avrebbe dovuto rimanere estraneo, soprattutto pensando alla matrice culturale del movimento indipendentista quebecchese.

E invece, tra l'incredulità prima e il folle entusiasmo dopo, pronunciò quelle semplici quattro parole che, come ha detto lo storico Frédéric Bastien, ”posero il Quebec all'attenzione del mondo intero. Quattro parole che diedero forza all''idea separatista, scatenarono l'ira del Canada angolofono e ricucirono il rapporto, sin troppo logorato, tra Francia e Quebec”.

''Voglio confidarvi un segreto" – disse il generale, stringendo nei pugni i due microfoni che gli erano stati messi davanti – "Questa sera, qui e lungo la strada, mi sono trovato in un'atmosfera dello stesso genere di quella della Liberazione. E lungo la mia strada, ho constatato quale immenso sforzo di progresso, di sviluppo e, di conseguenza, di affrancamento vi accompagna".

"La Francia intera sa, vede e capisce cosa succede qui. E posso dirvi che andrà meglio. Viva Montréal, viva il Quebec, viva il Quebec libero''.

I separatisti si sentirono rinvigoriti dalle parole di De Gaulle, anche quelli che appartenevano alle frange più radicali e che ricorsero all'uso delle armi per portare avanti l'istanza indipendentista.

Oltre vent’anni dopo la visita di De Gaulle in Quebec, anche in Piemonte, dopo la Lombardia e il Veneto, i fermenti di autonomia e d’indipendenza riuscirono a coinvolgere una minoranza di seguaci dei principi sostenuti nella Carta di Chivasso.

Nacquero movimenti autonomisti, purtroppo in contrasto tra di loro, che si contarono, con non molto successo, alle elezioni politiche e amministrative.

Una sera, a Torino, nel corso di un recital di Gipo Farassino, nell’armoniosa lingua piemontese, dai palchi del Teatro Carignano alcuni ardimentosi rotolarono striscioni, gettando sul pubblico volantini inneggianti al “Piemont Liber” e alla voglia di rendere pubblico il fermento autonomista.

Lo spettacolo s’interruppe, intervennero le Forze dell’Ordine, ma gli animatori della manifestazione riuscirono indenni a guadagnare l’uscita.

In quell’anno, un Piemontese già testimone dei primi passi del MARP, il Movimento Autonomista Piemontese che negli anni ’50 faceva parte della maggioranza del Sindaco Peyron, con assessori competenti, e sostenitore ideale dei neo-movimenti autonomisti, si recò in Quebec.

Lì non si qualificò come cittadino Italiano, bensì come “separatista Piemontese”, accolto con entusiasmo dai suoi interlocutori.

Oggi il Quebec non è più scosso dal vento della secessione perché, sino a quando le cose resteranno quelle attuali, gli basta l'ampia autonomia che il Canada gli ha accordato per soffocare nella culla lo spirito dei sovranisti.

In Piemonte purtroppo, ogni tentativo di autonomia, dopo anni d’inganni e di false promesse da parte del Governo di Roma, è oggi completamente affossato.

Il vento ha mutato direzione e stanno prevalendo ben altri principi.

 

(Fotografie: Quebec, TG Mediaset)

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Articolo pubblicato il 04/07/2018