La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Storie intorno alle “Torri” (di Cristina Quaranta)

Con grande piacere ospito nella mia rubrica questa ricerca di Cristina Quaranta riguardante il carcere torinese delle “Torri”, collocato nelle Torri Palatine, condotta su documenti dell’Archivio Storico della Città di Torino (m.j.).

 

L’anno del Signore 1724.

Con Patenti regie Vittorio Amedeo II concede alla città di Torino, l’uso delle due antichissime Torri, Cortile e Muraglie e siti, alle medesime adiacenti della Porta Palazzo vecchia, col l’obbligo alla città di riparare e mantenere dette Torri e quelle ridurle in istato di servire di camere e carceri ad uso del Vicariato a tenor dell’Editto del 11 febbraio 1724, senza variare la forma d’esse, con l’obbligo della città di far costruire nelle vicinanze di detto sito, botteghe e abitazioni per i macellari, il tutto alle condizioni su espresse.

Per tutto il Settecento, presso le Torri hanno dimorato per un periodo breve o prolungato, coloro che si sono macchiati di furti di legna, di tele, d’imprecazioni verso il Re, chi ha rubato vino che chi è stato trovato a fabbricare e vendere gondoni.

Uno scritto di due detenuti è rimasto intrappolato tra i verbali rilegati: “Vicario! avvertite le nostre famiglie, sono passati otto mesi, nessun avvocato dei poveri si è occupato della nostra pratica e tutti si sono dimenticati di noi!”.

L’anno del Signore 1845.

Relazione del Segretario supplente Gallone.

Ogni torre contiene cinque camere una per ogni piano e sono le sole in attività, mentre l’altra torre è occupata dalle famiglie degli Arcieri, ossia guardie di polizia cittadine, il braccio armato a servizio del Vicariato, l’antica Polizia municipale torinese, poi abolita nel 1848.

Occorrerebbe poter usare entrambe le Torri in caso di qualche arresto straordinario; si è pensato che per migliorare la detenzione dei cittadini accusati di reati e trattenuti per scontare la pena detentiva, occorre più spazio.

Sino ad oggi, si legge, i letti di ferro non sono mai stati convenienti nelle carceri anche se tutti li desiderano. I carcerati non hanno di che riposarsi durante il giorno e la notte un sol meschino pagliericcio, posto sul pavimento.

I detenuti infatti possono far a pezzi quei letti per procurarsi spranghe e percuotersi fra loro o distruggere le parti comuni. Ora si potrebbe però pensare all’acquisto di lettiere in ferro, come quelle usate dalla milizia che hanno un costo di 34 lire ognuna per una spesa totale di 1.140, ossia dotare di sei letti le cinque camere.

I detenuti potrebbero essere divisi in base alla natura del delitto o per ragione d’età evitando così una deplorevole mischia dell’uomo indurito nel vizio d’una corruzione senza speranza col giovane che si è smarrito per la prima volta e che non si può ritenere ancora sull’orlo del precipizio.

Migliorerà ancor più con l’aggiungere una delegazione di uno o due Decurioni cittadini con l’attestato di visitare le carceri senza nessuna ingerenza del Vicariato, solo per il benessere fisico e morale dei carcerati, distribuendo vivande e vestiario e badando alla salute di quegli infelici. A questi è tuttavia proibito visitare coloro che sono inquisiti di crimini gravi o politici che non possono aver colloqui con alcuno; si potrà eleggere anche un Cappellano in pianta stabile.

Si espone che le inferriate potrebbero evitare le evasioni e violenze contro i Custodi; si conclude, invece, essere più opportuno usarle in penitenziari ove si trovano celle e una continua sorveglianza, usarle in carceri giudiziarie dove esistono maggiori responsabilità.

Per le Torri invece si pensa di dover destinare una delle camere esclusivamente per i detenuti colpiti da qualche malattia e che non si possono trasportare immediatamente altrove, in qualche infermeria o in altre carceri. Questa camera deve essere sana e riparata, e munita di un paio di letti e dotata di qualche lingeria perché possano operare chirurghi e medici stipendiati dalla città.

Alle famiglie degli Arcieri che usufruiscono di una delle Torri, come si è detto, si dovrà cercare altra sistemazione, altre case dove poter abitare.

Questi i buoni propositi, ma come vivono le persone catturate perché rei di furto o risse o cattiva vita?

Ad ogni individuo che entra è offerto:

un pagliericcio, se passerà il suo tempo di detenzione durante l’inverno si doterà di un cappotto e una coperta.

Ogni giorno potrà consumare 2 libbre di pane e abbondante minestra.

Nei giorni di festa oltre la santa Messa a cura dell’Amministrazione civica interverranno uno o un paio di Padri Gesuiti in compagnia di alcuni affiliati della Società dei “Figli di Maria” per la lettura e l’insegnamento del catechismo ai detenuti e saranno loro a distribuire pane bianco ed elemosine in denaro o tabacco e simili. Nel tempo pasquale gli stessi religiosi reciteranno, per otto giorni, “gli Esercizi Spirituali” al termine dei quali sarà distribuita la santa Comunione.

Nell’anniversario della nascita di Sua Maestà i conforti religiosi saranno accresciuti: questo metodo sembra aver ottenuto molti ravvedimenti fra i detenuti.

Il medico chirurgo visita i carcerati quando si lamentano o quando si sospetta siano affetti da qualche malore, si curano lievi indisposizioni, se la diagnosi si presenta più complicata il detenuto sarà trasferito nell’Infermeria delle Carceri Senatorie, ammesso vi siano dei posti liberi.

L’Arciconfraternita del Santo Spirito, una volta l’anno, nel giorno di Pentecoste, porta ai detenuti di tutte le carceri cittadine, comprese le “Torri” una minestra di ceci, un pezzo di scotennato, una ventresca, un quarto di vino e un pane bianco.

Scontata la pena, si dovrà firmare una sottomissione: chi lo sa fare firmerà la dichiarazione di mai più delinquere, molti prometteranno segnando il documento con una croce, ma tutti s’impegnano a divenire in un battibaleno persone oneste.

Così farà Pietro Fodrà cabassino borsaiolo e Bartolomeo garzone vellutaio momentaneamente ozioso e Giovanni calzolaio ventitreenne che ha battuto la moglie e giura di vivere con lei in pace, applicarsi nella professione e più non batterla o maltrattarla né a fatti né a parole. Lorenzo il vellutaio ha diciassette anni, ma stante la deficienza di lavoro si è dato a far lo stallaro, è finito alle Torri per essersi associato a degli insolenti e “beccato” a gettar pietre per le contrade, oggi torna in libertà e giura e spergiura divenir persona onesta!

Per un periodo anche le donne, ingenue, sprovvedute, scaltre o di cattiva vita, hanno scontato la loro pena alle “Torri” ma le loro storie sono tutte… un’altra storia!

Cristina Quaranta

Cristina Quaranta, una torinese prestata al Roero, che vive davanti all’ultimo tratto delle Rocche dell’Astisium. Dopo gli anni all’Artistico si è diplomata in Costume teatrale.

Ha iniziato la ricerca storica negli Archivi torinesi, cercando in essi storie di donne: su tutte predilige quelle di cattiva vita perché hanno sempre molto da raccontare e nelle loro storie ritrovi molte verità sulla Torino del XVIII secolo. In questi studi ha recuperato i documenti che ha riportato in “Tre cattive ragazze” (Neos edizioni, 2011). Donne accusate di mascaria e condannate a morte per lesa maestà.

Ha vinto il premio letterario Carlo Alberto Dalla Chiesa 2007 e collabora alla rivista “Roero Terra Ritrovata” nata per la salvaguardia e la diffusione della memoria storica del territorio.

 

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Articolo pubblicato il 02/07/2018