Entreprenaissance. L'impresa come opera d'arte

La riscoperta della centralità dell’Uomo

Siamo di fronte a un nuovo Rinascimento? Secondo Creel Price, tra i più dinamici imprenditori australiani, sì. Tanto che parla di "Entreprenaissance": un'epoca, la nostra, caratterizzata dal protagonismo umano di un’imprenditorialità nel segno del risveglio o della rinascita dell’apprendimento e della cultura.

Il concetto sta avendo una sempre più larga diffusione, perché sembra davvero cogliere il riprendere forza della dimensione impreditoriale (creativa e creatrice) su quella manageriale (tecnica e nozionistica). 

Questi tempi, pur segnati da contraddizioni e difficili da catalogare, possono dirsi caratterizzata da una nuova centralità dell'umano (paradossalmente, o forse no, proprio mentre il post-umanesimo, che ci vuole consegnati alle macchine e al controllati dal governo dei big data, penetra anche nel costume). Questa centralità dell'uomo, della persona come innescatore di sviluppo attraverso la propria vicenda esistenziale, ha nella "impresa imprenditoriale" il luogo di espressione (quello che per il Rinascimento fu la bottega).

Cosa ci dice questo del futuro che è già in essere?

"La strada che ci attende è quella di una stretta collaborazione tra arte e scienza. Proprio la loro fusione caratterizzò il libero pensiero dell’Uomo rinascimentale, personificato nell’Uomo vitruviano, il famoso disegno di Leonardo che lega arte e scienza nella rappresentazione del corpo umano – con l’aggiunta, nel nostro tempo, dell’accelerazione imprenditoriale dell’azione creativa degli artisti e degli scienziati". Così la vede Piero Formica, poliedrico docente universitario siciliano di origine ma naturalizzato inglese che insegna a Dublino, pubblica libri solo con case editrici anglosassoni e che si è occupato andando oltre i soliti schemi di start up.

Il futuro è dell'impresa, come comunità che salva il lavoro ed è generata (mantenuta viva e non meramente gestita) con il gusto dell'opera.

Sia concessa una lunga citazione; nel senso di quanto sosteneva don Luigi Giussani: "Il lavoro è l’espressione del nostro essere. Questa coscienza dà veramente respiro all’operaio che per otto ore fatica sul banco di lavoro, come all’imprenditore teso a sviluppare la sua azienda. Ma il nostro essere - ciò che la Bibbia chiama “cuore”: coraggio, tenacia, scaltrezza, fatica - è sete di verità e felicità. Non esiste opera, da quella umile della casalinga a quella geniale del progettista, che possa sottrarsi a questo riferimento, alla ricerca di una soddisfazione piena, di un compimento umano: sete di verità, che parte dalla curiosità per addentrarsi nell’enigma misterioso della ricerca; sete di felicità che parte dall’istintività e si dilata a quella concretezza dignitosa che sola salva l’istinto dal corrompersi in falso ed effimero respiro. È questo cuore che mobilita chiunque, qualunque impresa realizzi".

Il cuore non è un manager (non calcola), piuttosto un'impreditore-artista (è mosso alla creazione, nella ricerca).

In questo contesto storico, l'Italia può svolgere un ruolo planetario. In nessun luogo come l'Italia, infatti, l'umanesimo è "anima del popolo".

Marco Margrita 

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Articolo pubblicato il 18/06/2018