L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Sara Garino: Cocoricò l'Italia!

Ovvero quello che si dovrebbe imparare subito dai Francesi

Cocoricò” è la tipica espressione di giubilo dei Francesi, in pratica qualcosa di equivalente al nostro “Evviva”, oppure “Urrà”, condita tuttavia con una buona dose di orgoglio autocelebrativo, che qualcuno chiamerebbe probabilmente grandeur.

Il detto ricorda il canto di uno dei simboli ancestrali del Paese: quel gallo (coq) il cui etimo, derivando dal latino gallus, richiama in fonetica la denominazione Gallus, nome attribuito dai Romani al nativo della Francia antica. Infatti, all’epoca di Cesare, fu giustappunto Roma a conquistare la Gallia: certo militarmente ma, in nuce, anche dal punto di vista culturale.

Nel 52 a.C., a seguito di alterne vicende, le truppe del re barbaro Vercingetorige riuscirono a sconfiggere l’esercito romano, guidato dal luogotenente Tito Labieno. Nondimeno, grazie alla sagacia e alla pazienza di Cesare, l’esito del conflitto venne sovvertito nel Settembre di quello stesso anno, ad Alesia. Vercingetorige, costretto alla resa, gettò le sue armi ai piedi del condottiero avversario, riconoscendone così l’indubbia supremazia. Alla fine del XIX secolo, l’episodio in questione fu altresì immortalato in un celebre dipinto dal pittore francese Lionel Royer, epigone di quell’illustre genia che in Géricault e Delacroix vide i massimi esaltatori del valore e delle gesta eroiche.

Tralasciando per brevità le fasi storiche intermedie, si arriva subito al periodo della Rivoluzione francese, e all’epopea napoleonica di lì a poco susseguente.

In quel contesto, l’esprit francais dell’Illuminismo dilagò in tutta Europa, affiancando nuovamente – ma a ruoli invertiti – l’imperio militare con la proclamazione di istanze, tanto socio-politiche quanto culturali, destinate ad attecchire in profondità nell’assetto coevo e futuro dell’intero continente.

Con un’onda lunga che, per quanto concerne le discipline legate all’Arte, rappresenta davvero un unicum…, avendo saputo esprimere in toto sia l’Impressionismo sia, a cavallo del XX secolo, l’Art nouveau

Per rivendicare il primato artistico francese in Europa, quest’ultima corrente si fregiò, sintomaticamente, proprio dell’esclamazione “Cocoricò”. A partire dal 1898, venne infatti data alle stampe un’omonima rivista la quale, con cadenza bimestrale, si presentava al Pubblico come “journal humoristique le plus artistique et littéraire” (il più umoristico fra i giornali artistici e letterari), capace di difendere e sponsorizzare le specificità francesi dell’Art nouveau in forma “luxueuse mais à un prix abordable” (in forma lussuosa ma a un prezzo abordabile), col viatico di un vasto campionario d’immagini e testi.

Così, veniamo ora ai nostri giorni. Quale nesso, oltre a una quotidiana formula di soddisfatto intercalare, lega “il canto del gallo” all’Attualità?

Di certo, negli ultimi giorni, i Politici francesi hanno “cantato” avverso l’Italia, adottando aggettivi infelici e largamente sintomatici di quel sentimento da “primi della classe” che da secoli, a torto o a ragione, alberga in loro.

Ed ecco il punto: duole dirlo, per noi e per quanti – nei secoli – hanno contribuito a rendere grande e unico lo Stivale, ma questa percezione, in generale, si rivela sempre più spesso una realtà, fondata e argomentabile…

Non che l’Italia defici in valore assoluto di qualcosa, in termini di appetibilità del paesaggio e di ricchezza culturale. Infatti, come abbiamo poc’anzi delineato, fu la Roma di ieri a gettare i primi semi della Francia di oggi: aspetto, peraltro, primariamente riscontrabile nell’idioma, di ceppo latino.

Tuttavia i Francesi hanno saputo e sanno far fruttare meglio ciò di cui dispongono: risorse, materiali e umane, indirizzate in un circuito altamente produttivo per i singoli e per la collettività.

Al netto del ragguardevole patrimonio artistico “importato” (frutto anche di razzie perpetrate durante le campagne militari in territorio straniero) e delle pur opinabili “ipotesi storiche” (a titolo di esempio, qualora nel 1768 non fosse stato siglato il Trattato di Versailles, con il quale si sanciva il passaggio della Corsica dalla Repubblica di Genova alla Francia di Luigi XV, lo stesso Napoleone – poco più di un anno più tardi – sarebbe nato “Italiano”), il vero vantaggio dei Francesi consiste nel manifestare una classe dirigente in generale più preparata e previdente della nostra.

Emmanuel Macron – “le Roi", come lo chiamano in Patria – denota certo un carisma affilato e perentorio, risoluto e inattaccabile nel voler dar corso ai propri proponimenti, ma codesto quasi regale autoritarismo si basa su di un curriculum solido, temprato, già misuratosi con sfide di livello.

Per contro, la preparazione dei nostri dirigenti (ancor più “ingrigita”, recentemente, dall’anonimo contributo di una multiforme pattuglia di Vice-ministri e Sottosegretari) lascia non poco a desiderare. Così come turba e preoccupa la loro scarsa visione programmatica sul futuro, specie per quanto concerne il delicato ma cruciale comparto delle infrastrutture, sulle quali si dovrebbe oculatamente investire (e non ideologicamente frenare) per far davvero ripartire l’economia dei territori.

Senza dimenticare, a latere, il discorso legato a una più efficiente e fruttuosa promozione della Cultura, la quale per forza di cose abbisogna di servizi e strutture atte a supportarla.

Il tutto, come ovvio, sempre avendo cura di accertarsi anticipatamente della fondatezza degli argomenti che si andranno via via a trattare… perché, come scrisse in altra veste Alexandre Dumas (figlio) nell’incipit di un suo celebre romanzo, “mon avis est qu’on ne peut créer des personnages que lorsque l’on a beaucoup étudié les hommes, comme on ne peut parler une langue qu’à la condition de l’avoir sérieusement apprise” (la mia opinione è che non si possano creare dei personaggi se prima non si sono studiati a fondo gli uomini, così come non è possibile parlare una lingua se prima non la si è diligentemente appresa).

Quale bilancio trarre da questa dissertazione?

In riferimento alla Sua Patria, Charles de Gaulle si domandava stupito come fosse possibile governare un Paese dotato di 246 varietà diverse di formaggi… In questo senso, l’Italia ne vanta probabilmente ben di più, viste le difficoltà del mantener dritta la barra di una Nazione che – in quanto a specificità e tesori – dovrebbe, senza dubbio alcuno, tornare a essere faro di Civiltà e di Cultura per l’Europa e per il Mondo.

Si attendono solo le persone giuste, portatrici delle idee giuste e, forse, anche di un po’ di quella grandeur la quale – senza scadere nella boriosità – potrebbe legittimamente attestare l’orgoglio e il senso di appartenenza di un Popolo alla Patria e, soprattutto, ai suoi territori.

On reviendra jamais à voler haut ? Torneremo mai a volare alto?

Chissà… Intanto, impariamo dall’atteggiamento francese…

Dunque, “Cocoricò”…, anzi, “Cocoric-haut” !

 

 

SARA GARINO

Collaboratore

CIVICO20NEWS

 

 

 

 

(Immagine di copertina tratta da pinterest.fr)

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Articolo pubblicato il 17/06/2018