L'Infinita Meraviglia del Cosmo

Undicesima tappa. Il sogno infinito e vorticoso dell'Universo

Dopo aver incontrato fra le Stelle, con inaudito privilegio, la rigogliosa e vivida meraviglia della Primavera, l’itinerario di quest’oggi sospingerà soffusamente i Lettori di Civico 20 News alla scoperta di un Universo quasi molle di pioggia, dove le volute della tempesta si fanno spesse sotto il pianto che cresce.

Ma un canto vi si mesce più roco, che di laggiù sale, dall’umida ombra remota dell’orbita di Giove, il più massiccio fra i pianeti del nostro Sistema Solare.

Esso giace al di là della fascia degli asteroidi, a quasi 780 milioni di chilometri di distanza dal Sole, attorno al quale orbita con periodo pari a una dozzina d’anni.

L’immagine proposta in apertura, ove si apprezza l’avvolgente turbinio di un gigantesco vortice di gas (visivamente non dissimile dall’abbraccio sinuoso delle pennellate di Van Gogh), è frutto dell’intensa campagna di raccolta dati promossa, all’inizio di Luglio 2017, dalla sonda statunitense Juno. Essa, reminiscente dell’appellativo – giustappunto Giunone – attribuito dai Romani alla moglie di Giove, era stata lanciata nel 2011, raggiungendo poi il pianeta dopo un viaggio protrattosi per cinque anni.

Peraltro Juno si trova collocata lungo un’orbita quasi perpendicolare rispetto al piano dell’equatore gioviano, beneficiando dunque dell’opportunità di poter sorvolare periodicamente (ogni 53 giorni) i poli del colossale pianeta gassoso.

Ritornando all’immagine, il ceruleo vortice in primo piano si estende per oltre 30000 chilometri in larghezza: questo lo rende direttamente confrontabile con le dimensioni terrestri. In proposito, a titolo di maggior chiarezza ricordiamo qui come il raggio di Giove sia all’incirca pari a 11 volte quello del nostro pianeta Terra (mentre la massa raggiunge le 320 masse terrestri).

Come sul capo al naufrago l’onda s’avvolve e pesa, così il vortice ruota in senso orario, sospinto e scosso da intense correnti ascensionali. Esse si articolano poi in dense spire di nubi chiare, prevalentemente costituite da ghiaccio di ammoniaca.

Dall’evocativa immagine si coglie inoltre come tali nubi, tutte raggruppate nell’alta atmosfera del pianeta, proiettino in basso le loro ombre, conferendo alla visione un sentimento vieppiù onirico, ove erano i cilestrini riccioli a l’aura sparsi…

Nondimeno, l’immagine in questione trasmette altresì un senso di procellosa attesa e inquietudine, come quello magicamente creato dal sommo drammaturgo inglese William Shakespeare in apertura della Sua celebre opera The Tempest (La Tempesta). 

Una nave, sul mare. E intorno una bufera con tuoni e fulmini… 

E infatti, in misura ancor maggiore se ci confrontiamo con l’irraggiungibile e accecante elevatezza della Poesia e delle Stelle, “we are such stuff as dreams are made on; and our little life is rounded with a sleep” (siamo fatti anche noi della stessa materia con cui sono plasmati i sogni, e nello spazio e nel tempo di un sogno giace per l’appunto racchiusa la nostra fugace vita).

 

Brevemente, proponiamo ora ai Lettori una seconda immagine, anche questa frutto dell’alacre studio portato avanti da Juno al principio del Luglio scorso, in quei sognanti giorni di mezza estate...


Detta immagine inerisce la Grande Macchia Rossa di Giove (in Inglese, Jupiter’s Great Red Spot), un’immensa e vorticosa tempesta (questa volta anticiclonica, cioè rotante in senso antiorario) che potrebbe tranquillamente contenere al suo interno l’intero pianeta Terra. Infatti, per quanto il suo diametro sia soggetto a continue variazioni causate dalla turbolenza, esso traguarda al momento i     16350 chilometri, ovvero 1.3 volte il valore del diametro terrestre.

La perturbazione, in essere da almeno 300 anni, è rilevabile anche con l’ausilio di un semplice telescopio amatoriale. In particolare, nell’immagine proposta essa è ripresa da una quota di appena 10000 chilometri.

Non è ancora chiaro quale meccanismo determini la caratteristica colorazione rossiccia, tuttavia l’ipotesi più invalsa contempla la presenza di molecole complesse, quali il fosforo rosso o alcuni composti dello zolfo.

Per cercare di disserrare – con ambo le chiavi della Scienza e della Tecnica –  i numerosi misteri ancora custoditi da Giove e dalle sue pittoresche tempeste, la sonda Juno permarrà in servizio ancora qualche anno, prefiggendosi in primis l’obiettivo di indagare l’abbondanza di acqua nell’atmosfera del pianeta, nonché l’eventuale presenza di una superficie solida al di sotto del banco di nubi.

Tutti quesiti principiati nel bel mezzo di un prezioso Sogno di una notte di mezza estate…, che ancor non ci abbandona…

Per essi Shakespeare, con commosso sbigottimento, commenterebbe probabilmente che “the eye of man hath not heard, the ear of man hath not seen, man’s hand is not able to taste, his tongue to conceive, nor his heart to report, what my Dream was” (non c’è occhio d’uomo che abbia sentito, nè orecchio che abbia veduto, non c’è mano che abbia assaggiato nè lingua che abbia toccato, e tantomeno non c’è cuore che abbia raccontato prima un Sogno come il mio)…

Prima di concludere, desideriamo ancora presentare ai Lettori un onirico e profetico sonetto, sempre vergato del Bardo di Avon.

Da viversi in una soave notte di mezza estate, dopo aver attraccato il proprio vascello in un porto sicuro, al riparo dai marosi della tempesta e baciato dalla calda luce delle Stelle…

Da riviversi all’infinito, ogni giorno della vita.

 

When most I wink, then do mine eyes best see,
For all the day they view things unrespected;
But when I sleep, in dreams they look on thee,
And, darkly bright, are bright in dark directed.
Then thou, whose shadow shadows doth make bright,
How would thy shadow’s form form happy show
To the clear day with thy much clearer light,
When to unseeing eyes thy shade shines so!
How would, I say, mine eyes be blassed made
By looking on thee in the living day,
When in dead night thy fair imperfect shade
Through heavy sleep on sightless eyes doth stay!
All days are nights to see till I see thee,
And nights bright days when dreams do show thee me
”.

 

Quanto più chiudo gli occhi, tanto meglio essi vedono,
Perché per tutto il giorno non fanno che guardare cose indegne di nota;
Ma quando dormo, essi nei sogni vedono Te,
E, oscuramente luminosi, sono luminosamente proiettati nell’oscurità.
Allora Tu, che con la Tua ombra le ombre illumini,
Quale gioioso spettacolo formerebbe la forma della Tua ombra
Nel chiaro giorno rischiarato dalla Tua assai più chiara luce,
Quando già a occhi senza vista la Tua ombra così tanto rifulge!
Quanto, mi chiedo, sarebbero benedetti i miei occhi
Se potessero guardarTi nel pieno del giorno vivente,
Quando nella consunta notte la Tua bella ombra imperfetta
Attraverso il greve sonno sui ciechi occhi si posa!
Tutti i giorni sono notti a vedersi fino a quando non vedo Te,
E le notti sono giorni luminosi quando i sogni Ti mostrano al mio sguardo.


Il viaggio continua!

 

Image Credit: NASA, JPL-Caltech, SwRI, MSSS, Juno; Processing: Gerald Eichstädt & Seán Doran

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 13/04/2018