L'Infinita Meraviglia del Cosmo

Decima tappa. "Dilegua, o notte! Tramontate, stelle": una romanza dell'Universo

Nessun dorma! Nessun dorma! […] Guardi le stelle che tremano d’amore e di speranza”… Le note alate della più conosciuta fra le arie tratte dalla Turandot di Giacomo Puccini costituiscono l’incipit, soave, dell’odierna tappa nelle infinite lande cosmiche.

Scenario di tale mirabil sentire è un cantuccio celeste, approdo e porto sicuro per noi pastori erranti, ubicato a soli 23.5 milioni di anni luce dalla Terra, nella costellazione dei Canes Venatici (Cani da Caccia).

In codesto guscio di noce cosmico (all’interno del quale desidereremmo tuttavia vivere gaiamente confinati, beandoci del respiro dell’Infinito) si staglia una maestosa galassia a spirale, dalle cromie che – considerata la da noi incipiente stagione di Flora – potremmo quasi definire primaverili.

L’oggetto in questione, classificato come il numero 106 del Catalogo di Messier (M106) o, equivalentemente, come il 4258 del New General Catalogue (NGC 4258), sviluppa infatti dei ramificati e avvolgenti bracci di color blu-violetto, racchiudenti vicino al nucleo lievi petali di polvere rosa e magenta.

Quasi a disegnare un ameno fiore, la cui corolla (in gergo astrofisico, bulge o core, cioè nucleo) pare echeggiare quel “Ma il mio mistero è chiuso in me”, giustappunto di pucciniano profumo.

Non a caso, nella regione centrale della galassia si ritiene essere celato un buco nero supermassiccio, la cui esistenza si inferisce dai vorticosi effetti di attrazione gravitazionale ch’esso provoca sul gas circostante, ma la cui Fisica è ancora ben lungi dal venir compresa integralmente.

In virtù di detta presenza, nonché dell’inusualmente intenso lucore del nucleo in banda sia radio sia X (emissione, quest’ultima, rilevabile nei due getti gemelli che attraversano in toto i 60 000 anni luce di lunghezza della galassia), la spirale M106 assurge a tipico esempio di galassia di Seyfert (dal nome di Carl Seyfert, scopritore della categoria nel 1943).

Venendo ora in dettaglio alle sottostrutture, i bracci della spirale corrispondono ai siti ove il tasso di formazione stellare è più elevato. Questo significa che ivi le stelle sbocciano con maggior frequenza, fulgore e plenitudine, in virtù degli ingenti quantitativi di gas a disposizione.

Ed ecco allora il prato dell’Universo chiazzarsi di lavanda, di iris e di primule cerulee, a significare il colore – blu – dei teneri e appena dischiusi boccioli di stelle.

L’opportuna nomenclatura scientifica descrive invece codesto sontuoso florilegio in termini di astri con tipo spettrale avanzato (preminentemente O e B, quindi per l’appunto caratterizzati da colorazione bluastra), elevate temperature fotosferiche (ricordiamo ai Lettori come la fotosfera sia la superficie visibile delle stelle) e significativi valori di massa.

Nei bracci il profumo dei fiori è più intenso, più carichi sono gli aromi…, astrofisicamente tradotti con la metallicità della stella, ovvero con il vieppiù pingue quantitativo di elementi cosiddetti pesanti (tutti quelli della Tavola periodica, a eccezione di Idrogeno ed Elio) che l’astro, discendendo da una generazione antecedente, contiene.

Le stelle appartenenti a codesta famiglia si definiscono di Popolazione I.

Dilettandoci ora a dissertare col vernacolo precipuo dell’Accademia della Crusca, potremmo dunque prendere in prestito la sua nota massima, “il più bel fior ne coglie”, per significare invece l’ineguagliabile amenità delle stelle di Popolazione II. Esse sono assembrate nel cuore della galassia, ove il pensiero dominante possiede la tinta vermiglia di astri aventi tipo spettrale tardo (A, F, G e K in primis) ed elevato indice di colore (cioè differenza fra la luminosità in banda rossa e quella in banda blu – il fatto che detto valore sia alto significa che il rosso prevale, facendoci giustappunto apparire le stelle tendenti a questo colore).

Dunque, nonostante la modica metallicità – spia delle più numerose età cosmiche cui queste stelle hanno assistito – qui fioriscono i tulipani e le rose…, oltre alla possibilità di poter sondare alcune delle questioni dirimenti nell’ambito della cinematica galattica, come lo studio delle velocità peculiari.

In un certo senso, la Scienza occhieggia e sorride allora alla Poesia, indagando l’Infinita Meraviglia del Cosmo tanto con il guardo rigoroso della mente quanto con i tersi occhi del cuore: infatti, ambo le chiavi sono necessarie per serrare e disserrare in continuazione i celestiali misteri che abbracciano la vita delle stelle, capendo così molte cose…

Ed ecco, in perfetto accordo con l’atmosfera sideralmente primaverile che caratterizza la tappa odierna del viaggio, Scienza e Poesia proseguono nel loro dialogo senza fine, immerse nello spirito silvestre, d’arborea vita viventi.

Proseguono, pensandosi e dicendo giustappunto l’Una all’Altra “ti vedo tra le rose, ti dico tante cose”…, come cantava un’altra nota romanza, tratta dall’operetta  Il paese del sorriso di Franz Lehár.

Abbiamo così preso commiato circolarmente dal Lettore, con un explicit musicale che richiama e completa il proemio, proprio come “il mio bacio scioglierà il silenzio” della Turandot.

Nondimeno con un distinguo. Se, infatti, in Musica gli astri possono tramontare, dileguandosi la notte con essi, questo non avviene nel caso delle Stelle, quelle vere. Sempre presenti, sempre ugualmente sfavillanti: l’incipit e l’explicit del giorno, della primavera, della vita.

 

Il viaggio continua!

 

Image Credit: NASA, ESO, NAOJ, Giovanni Paglioli; Assembling and processing: R. Colombari & R. Gendler

 

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Articolo pubblicato il 29/03/2018