Indipendenti, ma non per scelta

Lavoratori precari, non davvero liberi

Un rapporto McKinsey di un paio di anni fa "conta" 162 milioni di persone in Europa e negli Stati Uniti – dal 20 al 30 percento della popolazione in età lavorativa –  impegnati in una qualche forma di lavoro indipendente, ma non sempre è davvero una scelta di vita.

Lo studio ha l'emblematico titolo "Lavoro indipendente: Scelta, necessità e gig economy".

Soprattutto chi crede nel valore dell'intrapresa (e accoglie il rischio di generare lavoro, oltre che produrre ricchezza) deve saper fuggire la retorica della positività "a priori" dell'essere freelance.

Spesso non è questione di libertà, ma di precarietà. Una condizione che apre alla pratica di un sostanziale "caporalato" (con partita Iva, magari, ma cambia poco. Anzi). Il "capitale umano" non può essere sprecato e il lavoro indipendente non può davvero ridursi a ragione di povertà.

Siamo immersi in questa paradosso, che mette a rischio non solo il lavoro, ma anche (a ben pensarci) l'imprenditorialità. Quante aziende, infatti, sono nate da dipendenti che si sono "messi in proprio" avendo autenticamente appreso un lavoro?

Minare il futuro toglie voglia di affrontare la sfida di traguardarlo . Questo riguarda tutti.

Marco Margrita

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Articolo pubblicato il 23/03/2018