L'EDITORIALE DELLA DOMENICA DI CIVICO20NEWS - Francesco Rossa: Sono trascorsi 40 anni dal rapimento ed uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse

E’ ancora lontana la ricerca della verità. Si è appena conclusa un’ulteriore fumosa indagine parlamentare

Quest’anno ricorre il 40esimo anniversario del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione dei 5 uomini della scorta, da parte delle Brigate Rosse.

Venerdì scorso, a Roma in via Mario Fani sono convenuti alcuni rappresentanti istituzionali: dal capo dello Stato Sergio Mattarella al capo polizia Franco Gabrielli, dalla sindaca di Roma Virginia Raggi al presidente della Regione Nicola Zingaretti, fino alla presidente della Camera Laura Boldrini.

E’ stata scoperta una lapide sul luogo dell’eccidio, davanti alla quale il presidente Mattarella ha deposto una corona dai colori bianco rosso e verde.

Torniamo indietro di 40 anni.

Il mattino del 16 Marzo 1978 a Montecitorio era stata convocata la seduta della Camera dei Deputati con all’odg. la votazione sulla fiducia al governo Andreotti IV, monocolore democristiano con l’appoggio esterno dei comunisti.

Uno sviluppo del cosiddetto “compromesso storico”, con il passaggio dai governi di “solidarietà nazionale”, monocolori democristiani retti sulla “non sfiducia” dei partiti ” dell’arco costituzionale “,(escluso il Movimento Sociale Italiano, ma con i comunisti compresi), ai governi di ” unità nazionale “, con i comunisti nella maggioranza.

Un florilegio di formule fumose, di metafore per contrabbandare come allargamento dell’area democratica un cinico espediente della D.C. per condividere il potere con il Partito Comunista Italiano, piuttosto che rischiare di perderlo.

L’autore e la guida dell’espediente era Aldo Moro, supremo interprete del filone della cultura cattolico progressista, abilissimo a travestire da devozione alla Chiesa e al popolo, l’imperio di ampliare il potere.

Moro puntava ad inserire per ammansire, ad associare per contagiare, ad abbracciare per contenere: in pratica, a sfarinare per domare l’antagonista principale, quando nei principi e nei fatti le distanze tra la DC e il Partito Comunista erano ancora abissali.

E proprio la mattina del 16 Marzo avrebbe dovuto esporre alla Camera dei Deputati le “nobili ragioni” del connubio cattocomunista.
Invece giunse alla Camera la notizia del suo sequestro, con l’annientamento cruento della scorta.

Nella concitazione che seguì, alcuni osservatori, già avevano pronosticato la tragica conclusione della vicenda.

A prescindere da chi avesse ordito l’agguato, fra i molti nemici internazionali ed interni della sua politica, apparve chiaro che in Italia si sarebbe saldato un

fronte comune tra i contrari ed i favorevoli al suo progetto, gli uni per prevenirlo, gli altri per gestirlo in proprio.


Cos’è successo in questi 40 anni?

5 processi, due commissioni parlamentari; la seconda di queste ha appena concluso i lavori con nuove migliaia di pagine di relazioni e testimonianze.

Altre commissioni istituite contro il terrorismo che a loro volta hanno seguito il caso. Una produzione letteraria che come scrive lo storico Manlio Castronuovo “è come l’universo, finita ma senza limiti”


Sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro e sulla strage della sua scorta si è detto di tutto. Una quantità di informazioni tale da confondere le acque, e far perdere qualsiasi filo. Eppure dalle carte e dalle testimonianze continuano a saltar fuori novità.

Di contro le evidenze che in 40 anni hanno messo in fila una tale serie di “coincidenze” e casualità che delle due l’una: o quel gruppo di ventenni ha avuto una fortuna smaccata, o troppe connivenze hanno guidato e gestito un’operazione così complessa.

E’ il 2 maggio ‘78, quando manca ancora una settimana al ritrovamento del corpo dell’onorevole MoroMino Pecorelli, un giornalista che dimostrerà di sapere troppo sul caso, sulla sua agenzia OP scrive che” le convergenze di interesse fra gli Stati Uniti che vogliono scongiurare un partito comunista al governo in una paese Nato e l’Unione Sovietica spaventata da un partito dal volto umano sono la vera chiave per chiarire il caso:

E’ Yalta che ha deciso via Mario Fani”!


Se torniamo a quei terribili giorni che intercorrono sino al 9 maggio, quanto fu ritrovato il cadavere del presidente della DC, adagiato nel cofano di una Renault rossa in via Caetani, a pochi metri dalle sedi della DC e del PCI, ricordiamo momenti sconcertanti, ammantati da troppi perché privi ancora di risposte.

Infatti, la potentissima D.C., si scoprì dominata dal senso dello Stato, e personaggi come Andreotti, duttili e flessibili, come situazioni successivamente emerse stanno a confermare, si ersero a difensori della rigida ragion di Stato, quali fautori dell’intransigenza e indisponibili ad ogni trattativa, eroiche sentinelle delle Termopili democratiche!

Ciò equivalse, in concorso con l’ambigua inefficacia delle indagini, alla condanna a morte di Aldo Moro, non meno della sentenza delle Brigate rosse. Fece specie, inoltre, la sofferenza di Papa Paolo VI, che di Moro era stato grande amico. Il Papa rese pubblica la sua richiesta “Agli uomini della brigate rosse” per la liberazione dell’illustre prigioniero ” senza condizioni”.

Così pure l’umanità dimostrata da Bettino Craxi, con tentativi di evitare la tragedia annunciata, messi in opera tramite l’ala confinante con l’eversione.

Ancora Richieste cadute nel vuoto, bloccate di fatto dal preminente interesse di tutela da parte della D.C. a non scontrarsi con i fortissimi poteri interni ed internazionali ostili alla politica del compromesso storico.

D'altronde, dopo gli innumerevoli interrogatori cui Moro fu sottoposto dai suoi carcerieri, nessuno avrebbe potuto rischiare per il ritorno dello Statista a rivestire ruoli pubblici.

La vedova di Moro, Eleonora, deceduta novantacinquenne nel 2010, mai perdonò gli atteggiamenti della nomenclatura democristiana dell’epoca.

Anche dopo il caso Moro si scoprirà che la difesa dei principi in Italia è poco più che una barzelletta. E’ purtroppo la classica foglia di fico dietro la quale si nascondono le bassezze e le ambiguità della nostra classe politica e non solo.

Fatto sta che di lì a poco, nell’aprile 1981, nessuno ostacolò le trattative e le cospicue concessioni alle Brigate rosse per il rilascio di Ciro Cirillo, alto esponente democristiano di Napoli, non proprio in odore di trasparenza. Non ci si fece scrupolo ad avvalersi della camorra e del resto non fu la prima ne’ l’ultima volta.

Aldo Moro non valeva Ciro Cirillo?

Così, ancor prima, nel 1977, sempre a Napoli, quando la malavita organizzata rapì Guido De Martino il figlio del leader Socialista Francesco, si usò ogni mezzo per pagare il riscatto di 1 miliardo di lire, tramite i banchieri amici, e far tornare a casa, dopo 40 giorni di prigionia, l’augusto rampollo, dal papalino affranto.

Ancora una volta il nostro paese non riesce a chiudere in maniera definitiva una pagina del proprio tragico passato. «Ci vorranno cento anni per sapere la verità» vaticinava Licio Gelli. “Dovranno cioè morire tutti i protagonisti”.

Certo il venerabile sapeva perfettamente di cosa stava parlando, se i membri del comitato che ha gestito i 55 giorni che hanno cambiato l’Italia erano tutti iscritti alla P2.

I misteri d’Italia!

A quarant’anni, dunque, dalla strage di via Fani, sembra trascorso in realtà un secolo e la vita politica attuale degradata e tecnocratica creerebbe molto disorientamento perfino a uno statista onesto e navigato quale fu Aldo Moro.

Intanto anche in occasione di questo triste anniversario, c’è chi sta dando spazio ai conati degli assassini d’allora.   

Francesco Rossa
Direttore Editoriale
Civico20News.it

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Articolo pubblicato il 18/03/2018