Roma. Oggi si riunisce la Direzione del Partito Democratico

Le incognite del dopo Renzi

Dopo le dimissioni con effetto posticipato di Matteo Renzi, sono volate le previsioni più volubili sulla successione, con la presentazione di autocandidature (Chiamparino) e altre ipotesi poco consistenti da parte di improvvisati “salvatori del partito”, ma presto accantonate.

Il fatto certo è che oggi a Roma si riunirà la direzione del PD per la presa d’atto delle dimissioni di Renzi.

E poi? Potrebbe occupare spazio la relazione del vicesegretario Maurizio Martina, con al centro le parole d'ordine "unità" e "collegialità". Il leader uscente forse non ci sarà o preferirebbe parlare tra un mese in assemblea, ma fino all'ultimo, a quanto si dice, si è riservato di cambiare idea.

Di sicuro non spariranno i renziani: il Pd, sostiene Matteo Orfini, non si “ricostruisce senza il contributo di Renzi”. Ma tra i Democratici si moltiplicano i 'rumors' su un possibile nuovo partito di Renzi, “alla Macron”.

Ipotesi poi smentita. A quanto si dice, il giovane Matteo, non sarà più segretario, ma non molla il Pd. La 'reggenza' del Pd è passata intanto a Martina, che in direzione annuncerà una gestione collegiale (in forme da definire) della travagliata fase di transizione.

“Spetta a chi ha vinto la responsabilità del governo”, dovrebbe dire Martina, ponendo il Pd all'opposizione. E la direzione dovrebbe approvare a stragrande maggioranza le sue parole, che potrebbero essere tradotte in un documento finale.

Il rinnovo del Parlamento pone l’attenzione e l’urgenza su decisioni non rinviabili, ad iniziare dalla nomina dei Capigruppo di Camera e Senato.

Circola qualche nome che però non pare possa ottenere l’unanimità dei voti. L’atra decisione riguarda quale atteggiamento tenere in relazione all’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Sta prevalendo la scelta di lasciare campo libero a M5s e Lega, con una soluzione che eviterebbe dispute interne.

Dovrebbe poi essere inevitabile che la Direzione affronti lo spinoso tema del risultato elettorale e dell’atteggiamento (che trova troppe divergenze) da tenere con il capo dello Stato nel corso delle prossime consultazioni.

C’è poi da regolarsi circa la convocazione del prossimo congresso del Partito, con date oscillanti tra il 2019 e il 2021 e l’indizione di elezioni primarie per la scelta di un segretario a termine, qualora Renzi persista nel confermare le dimissioni

La situazione è oggettivamente calda, anche perché i deludenti risultati elettorali, hanno creato ulteriori tensioni e malumori.

Tra gli argomenti immediati e non da poco, si evidenzia l’atteggiamento da tenere nei conforti del governo che dovrà nascere dopo il voto del 4 marzo.

La base del Partito e numerosi esponenti hanno già ribadito l’impossibilità di appoggiare governi gestiti dal M5S.

Ma si dice stia scaldando i muscoli, in direzione contraria, il solito Emiliano che spinge per un'intesa con i Cinque stelle per scongiurare il sospetto che alla fine un accordo si faccia con il centrodestra.

Se prevalesse questa linea il PD si avvierebbe celermente verso il baratro.

Fra poche ore sapremo se prevalgono le nebbie e qualcosa riuscirà a chiarirsi.


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Articolo pubblicato il 12/03/2018