La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini.

Il marito ingenuo e la moglie maîtresse.

Da un po’ di tempo in questa rubrica ho proposto ai Lettori casi criminali di una certa gravità, in particolare gli ultimi dove si è parlato di “femminicidio”. Pare opportuno a questo punto tornare ai meno ostici temi della “Giustizia che diverte”. Parliamo del caso descritto da “La Stampa” del 16 luglio 1950, col titolo «Scopre che l’atelier della moglie / funziona da casa d’appuntamenti» e con l’occhiello «In corso Vittorio: strabiliante sorpresa per un marito» e sommario «Solo moda maschile: sartine minorenni ricevevano i clienti - L’ignaro coniuge apprende la notizia quando incontra la tenutaria fra due agenti», titolo, occhiello e sommario tanto eloquenti da delineare in pratica l’intera vicenda.

Leggiamo:

Da qualche tempo alla Mobile erano giunte vaghe voci circa un laboratorio di abbigliamento per uomo, sito in un alloggio al secondo plano in corso Vittorio Emanuele, nelle vicinanze di Porta Nuova: secondo tali voci, nell’«atelier» si svolgeva un’attività che non aveva nulla a che fare con il lavoro di sartoria: la targa «Abbigliamento per uomo» non era altro che uno schermo per nascondere una vera e propria casa di appuntamenti.

Una particolare sorveglianza allo stabile e all’alloggio permetteva di assodare che effettivamente il viavai degli uomini (in particolar modo signori anziani) era sospetto: e che le lavoranti erano eccezionalmente graziose ed eleganti. L’altro giorno uno dei signori anziani che era uscito dall’«atelier» e che scendeva frettolosamente le scale, veniva fermato da un funzionario.

- Lei da dove arriva?

- Dall’«abbigliamento per uomo…».

- Che cosa è andato a fare?

- A provarmi un paio di pantaloni.

- Veramente?

- Ecco… capirà… io… - e il signore, confuso ed intimorito, «cantava». Così ieri, alle 17, la sorpresa veniva effettuata con perfetta conoscenza dell’ambiente, delle abitudini, delle persone. Un sottufficiale della Mobile suonava nel modo convenzionale: tre colpi alla distanza di un minuto l’uno dall’altro. Dopo un attimo la porta si apriva e s’affacciava, sorridente e compita, la proprietaria. Nello scorgere la pattuglia essa dava in un gridolino di disappunto:

- Oh, quanti signori… troppi clienti… siamo molto occupati, oggi… come l’aggiustiamo?

- In modo semplice e rapido. Siamo, della polizia.

La sorpresa aveva ottimo risultato: gli agenti coglievano in flagrante tre coppie: cioè le tre «sartine» in intimo colloquio con «clienti». Due delle ragazze risultavano essere minorenni. La padrona, cosi, veniva dichiarata in arresto. Particolare strabiliante: il marito arrivava a casa, mentre la moglie scendeva le scale fra due agenti. Messo al corrente, della cosa, egli impallidiva e balbettava, trasecolato, annichilito:

- Ma come? Mia moglie era una… Ma io non sapevo nulla! Tornando dall’ufficio spesso mi imbattevo in uomini che uscivano dall’alloggio… Ma non facevo caso: era naturale che venissero a farsi provare giacche e camicie… Non ho mai sospettato di nulla…

L’anonimo cronista ha saputo delineare la vicenda con un forte senso teatrale: la location in un palazzo decoroso e discreto, il “coro” delle voluttuose sartine, la “caratterista” impersonata dalla efficiente maîtresse, i “boys” e le macchiette di contorno interpretati dai poliziotti e dai clienti, fino all’apparizione finale del vero comico, il marito ingenuo, del quale si enfatizza lo stupore: «Ma io non sapevo nulla!».

Tutto questo per una pièce teatrale intitolata “Le corna sono come i denti, quando spuntano fanno male ma poi aiutano a mangiare” …

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Articolo pubblicato il 12/03/2018