Torino. La Sacra di San Michele (Parte seconda)

La storia di questo straordinario luogo, che fa parte dei sette santuari della Linea Sacra di San Michele è stata pubblicata venerdì 2 febbraio alle ore 9

Parte prima link: http://www.bdtorino.eu/sito/articolo.php?id=27630

Proseguendo sulla Linea, a distanza di 1000 km, si arriva quindi in Piemonte, alla Sacra di San Michele.  Questa è raggiungibile a piedi tramite un percorso che ha un dislivello di 600 mt e parte da Chiusa di San Michele e da Sant’Ambrogio.

In epoca romana era ivi presente un presidio militare di vedetta presso la via Cozia verso le Gallie. Il castrum romano venne poi utilizzato dai Longobardi, a guardia delle invasioni dei Franchi, nel contesto delle cosiddette chiuse longobarde, delle quali rimangono alcune vestigia nel sottostante paese di Chiusa di San Michele.

Il culto micaelico dei Longobardi fu in seguito ereditato dall’Imperatore Federico I Barbarossa e da Federico II von Hohenstaufen che lo estese nel Regno e nell’Impero. Pertanto è presumibile che già nel VI secolo venne eretta una cappella dedicata all’Arcangelo.

San Giovanni Vincenzo, l’Arcivescovo di Ravenna che qui si ritirò a vita eremitica, fra la fine del X e l’inizio dell’XI secolo, ebbe una visione: l’Arcangelo Michele gli ordinò di erigere in questo luogo un santuario. La popolazione del tempo lascia testimonianza del fatto che la cappella esistente, consacrata dagli Angeli, venne avvolta da un grande fuoco.

La costruzione dell’abbazia inizia intorno all’anno mille e nel corso dei secoli si sono aggiunte nuove strutture. I monaci benedettini l’hanno sviluppata aggiungendo anche la foresteria in quanto questo luogo, che possiede una visuale panoramica di straordinario raggio e sublime bellezza, era di passaggio per i pellegrini che affrontavano la via Francigena, quella che da Santiago de Compostela e dalla Francia conduceva fino a Roma.

La parte settentrionale del complesso, oggi in rovina, fu costruita nel XII secolo come “Nuovo monastero”, per il quale furono aggiunte tutte le strutture per la vita di molte decine di monaci: celle, biblioteca, cucine, refettorio, officine.

Dalle basi di quello che, probabilmente era l’antico castrum di epoca romana, l’abate Ermengardo, che resse il monastero dal 1099 al 1131, fece realizzare questa opera ardita, partendo dall’impressionante basamento di 6 metri che, partendo dalla base a picco, raggiunge la vetta. Il basamento quindi, è sovrastato dalle absidi, che portano la cima della costruzione a sfiorare i 1.000 metri di altitudine rispetto ai 962 del monte Pirchiriano, la cui vetta costituisce una delle colonne portanti della chiesa, tuttora visibile grazie alla presenza di una targa: “culmine vertiginosamente santo“, citazione del poeta rosminiano Clemente Rebora.

La storia di questa Abbazia è ricca ed intensa. La chiesa attuale, detta anche “Nuova”, è il risultato di più di un secolo di interventi. Partendo dai primitivi progetti di Guglielmo da Volpiano, l’effettivo inizio dei lavori è di difficile datazione, ma si suppone che il primitivo impianto, quello absidale, sia stato commissionato dall’abate Stefano all’inizio del XII secolo, con l’imponente basamento del 1110-1120. Si impone qui lo stile romanico di stampo normanno, senza alcuna finestra e sormontato da volte a crociera analoghe alle attuali.

Tra il 1120 e il 1130, vi lavorò lo scultore Niccolò, ma anche Pietro da Lione. Dal protiro, altissimo a più piani, si accede allo scalone dei Morti, così chiamato perché anticamente era fiancheggiato da tombe. Qui si trova la porta dello Zodiaco, con gli stipiti decorati da rilievi dei segni zodiacali, che all’epoca erano un modo per rappresentare lo scorrere del tempo (quindi una sorta di memento mori). In questi rilievi, simili a quelli dei popoli fantastici nella porta dei Principi di Modena, si riscontrano influenze del linearismo della scuola scultorea di Tolosa.

Sempre sul lato settentrionale, isolata dal resto del complesso, svetta la torre della “Bell’Alda”, oggetto di una suggestiva leggenda: una fanciulla (probabilmente vissuta nel XIII – XIV secolo), la bell’Alda appunto, volendo sfuggire dalla cattura di alcuni soldati di ventura, si ritrovò sulla sommità della torre. Dopo aver pregato, disperata, preferì saltare nel precipizio sottostante, piuttosto che farsi prendere; le vennero in soccorso gli angeli e, miracolosamente, atterrò illesa.

La leggenda vuole che, per dimostrare ai suoi compaesani quanto era successo, tentasse nuovamente il volo dalla torre, ma che per la vanità del gesto ne rimase invece uccisa.

Il monastero subì un parziale decadimento nel 1629, a causa del passaggio delle truppe francesi del generale Nicolas de Catinat. Un successivo degrado avvenne durante l’Assedio di Torino del 1706.

Di questa parte infatti, rimangono oggi solo dei ruderi, affacciati verso la Val di Susa: si doveva trattare di un edificio di ben cinque piani, la cui imponenza è manifestata dai muraglioni, archi e pilastri, a oggi ancora parzialmente visibili.

Sul finire del XII secolo vi furono degli interventi in cosiddetto stile “romanico di transizione”, di scuola lombardo-emiliana, caratterizzato dalla comparsa di finestre bifore, e i cui lavori dovettero richiedere molto tempo, documentato nel passaggio che si trova all’interno delle campate tra il pilastro cilindrico e quello polistilo e nelle due successive arcate con pilastri a fascio e archi acuti.

Le volte originali crollarono nel XVI secolo, sostituite nella navata centrale da una pesante volta a botte, che esercitava una notevole spinta sui muri laterali, minacciandone la stabilità e creando pericolo di ribaltamento. Per far fronte a questa minaccia, durante i restauri di fine Ottocento, fu demolita la volta a botte, e sostituita con una triplice volta a crociera, completata nel 1937.

Dopo varie vicissitudini storiche nel 1836 Carlo Alberto di Savoia, desideroso di far risorgere il prestigio della Chiesa subalpina, pensò di collocare stabilmente una congregazione religiosa. Offrì l’opera ad Antonio Rosmini, giovane fondatore dell’Istituto della Carità, che accettò, trovandola conforme allo spirito della sua congregazione.

Papa Gregorio XVI, con un breve dell’agosto 1836, nominò i Padri Rosminiani amministratori della Sacra e delle superstiti rendite abbaziali. Contemporaneamente, il re affidò loro in custodia le salme di ventiquattro reali di Casa Savoia, traslate dal Duomo di Torino, ora tumulate in chiesa entro pesanti sarcofagi di pietra. Per la traslazione delle salme venne realizzato il Sentiero dei Principi.

Solo in seguito vennero portati al monastero 16 pesantissimi sarcofagi di pietra dove furono seppelliti principi, principesse e principini. Fra i più noti: Margherita di Valois, figlia di Francesco I e moglie di Emanuele Filiberto (detto “Testa di ferro”); il duca bambino Francesco Giacinto di Savoia, la madre di Vittorio Amedeo II (detto “La Volpe Savoiarda”), primo Re di Sardegna, Maria Giovanna Battista di Savoia-Nemours e il Cardinale Maurizio di Savoia.

L’ultimo intervento in periodo medioevale avvenne nei primi 50 anni del XIII secolo (la solenne consacrazione risale al 1255), nel quale comparvero elementi in stile gotico francese, opera di artisti sconosciuti ma di chiara scuola piacentina, come, ad esempio, la decorazione del finestrone dell’abside centrale e le due finestre delle navate minori.

Gli interventi eseguiti per adattare lo sviluppo architettonico al particolare ambiente costituito dalla vetta del monte Pirchiriano, portarono al rovesciamento degli elementi costitutivi fondamentali. In tutte le chiese la facciata è sempre localizzata frontalmente rispetto alle absidi poste dietro l’altare maggiore e contiene il portale d’ingresso; al contrario, la facciata della Sacra si trova nel piano posto sotto il pavimento che costituisce la volta dello scalone dei Morti.

La facciata è sotto l’altare maggiore, ed è sovrastata dalle absidi con la loggia dei Viretti, visibile dalla parte del monte rivolta verso la pianura padana.

Nel 1315 fu composto il Breviario di San Michele della Chiusa, per scandire le preghiere quotidiane e celebrare le festività della Chiesa Cattolica; all’interno del breviario fu posto inoltre il ciclo delle preghiere particolari, per celebrare e onorare il fondatore della Sacra, San Giovanni Vincenzo.

La Sacra di San Michele godeva del privilegio di abbatia nullius, ovvero dell’esenzione dalla giurisdizione di un vescovo, da molti secoli, quando fu soppressa nel 1803 durante il periodo napoleonico. Nel 1817 fu ristabilita, ma perdette il secolare privilegio e fu compresa nella diocesi di Susa.

Fondamentali furono qui gli interventi architettonici di recupero e i supplementi di elementi neoromanici voluti da Alfredo d’Andrade, eseguiti fra il XIX e il XX secolo, come la scalinata e gli archi rampanti sulla parte meridionale.

Altri 1000 km e si arriva, seguendo la Linea micaelica, in Puglia, sul Gargano dove sorge il Santuario di San Michele Arcangelo. L’edificazione iniziò intorno al 490 anno della prima apparizione dell’Arcangelo Michele a San Lorenzo Maiorano.

Un primo santuario venne costruito nel 493 sulla grotta dove avvenne l’apparizione e a partire dal VII secolo l’area garganica nella quale sorgeva il santuario entrò a far parte dei domini Longobardi, poiché compresa nei territori del Ducato di Benevento. Il culto micaelico presso i Longobardi fu proprio il Santuario di San Michele Arcangelo del Gargano e dal quale si diffuse in tutto il Regno Longobardo fino a divenire il Santo Patrono dell’intero popolo. Milioni di pellegrini, nel corso dei secoli, si sono recati in visita a questo luogo di culto così antico.

Tra di essi numerosi Pontefici (Gelasio I, Leone IX, Urbano II, Alessandro III, Gregorio X, Celestino V, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II) e sovrani (Ludovico II, Ottone III, Enrico II, Matilde di Canossa, Carlo d’Angiò, Alfonso d’Aragona, Ferdinando il Cattolico).

Anche San Francesco d’Assisi vi andò pellegrino nel 1216: non sentendosi degno di entrare nella grotta, si fermò in preghiera e raccoglimento all’ingresso, baciando la terra e incidendo su una pietra il segno di croce in forma di “T” (Tau).

Proseguendo arriviamo in Grecia, nel Dodecaneso, all’isola di Simy dove si trova il sesto santuario dedicato al Santo. Fu eretto intorno al XII secolo e conserva una delle più grandi effigi dell’Arcangelo alta tre metri. Infine si giunge in Israele al Santuario Stella Maris sul Monte Carmelo ad Haifa, che risale al XII secolo.

Michele significa «Chi come Dio?» e così specifica Papa Gregorio Magno nello spiegare i nomi dei nove ordini angelici, riferendosi appunto al nome Michele: «quando si compie un evento mirabile risulta che è inviato Michele, perché si possa capire dal fatto e dal nome che nessuno può fare ciò che è in potere di Dio di compiere» (Omelia 34).

Sapete perché tutti i media, nel dare notizia dell’incendio, hanno aperto i loro articoli con Il nome della Rosa?

È semplice. Per ricavare informazioni sull’edificio sacro sono andati sul sito ufficiale della Sacra di San Michele, ovvero http://www.sacradisanmichele.com/it/ che si apre con queste parole: «Monumento simbolo della Regione Piemonte e luogo che ha ispirato lo scrittore Umberto Eco per il best-seller Il nome della Rosa».

Già… un’Abbazia millenaria di tale portata spirituale, storica, artistica e devozionale si fregia, oggi, nell’era anticattolica ed ecumenica e globalista ed europeista… fin dentro le mura del Vaticano, di essere musa ispiratrice di un anticattolico…

Tuttavia la Sacra di San Michele non è andata distrutta come auspicava Eco, così come la Sacra Sindone rimase illesa nella notte tra venerdì 11 e sabato 12 aprile 1997 quando un incendio si sviluppò proprio nella Cappella sindonica. «Chi come Dio ?».

Nel romanzo dissacratore, mentre i monaci Guglielmo da Baskerville (ricordiamo che i documenti più antichi riguardanti l’Abbazia del Monte Pirchiriano risalgono, guarda caso, ad un monaco di nome Guglielmo che visse in quel cenobio e, intorno alla fine dell’XI secolo, scrisse il Chronicon Coenobii Sancti Michaelis de Clusa) e Adso da Melk tentano di fermare il monaco Jorge che inghiottisce le pagine avvelenate del secondo libro della Poetica di Aristotele, quest’ultimo furiosamente provoca un incendio che distruggerà l’intera Abbazia, teatro di peccati, omicidi e infami intrighi.

Ebbene no, l’Abbazia della Sacra di San Michele è là, troneggiante, maestosa, potente a dirci ancora e sempre «Chi come Dio?».

Cristina Siccardi

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Articolo pubblicato il 05/02/2018