La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Le bottiglie dell’onorevole Giovanni Rastelli

Leggiamo su “La Stampa” del 22 febbraio 1912 il resoconto di un processo celebrato il giorno precedente al Tribunale Penale, a carico di quattro giovani garzoni fabbri che hanno “prelevato” fiaschi e bottiglie di vino dalla cantina del signor Giovanni Rastelli, avvocato e deputato al Parlamento, situata come la bottega dove lavoravano, in una casa di via Botero n. 14, a Torino.

Il cronista riferisce questa vicenda come un caso della “Giustizia che diverte”, sotto il titolo “Le bottiglie dell’onorevole:

Con quale cura l’onorevole Giovanni Rastelli tenesse custodita nei più oscuri meandri della cantina la sua meravigliosa collezione di vecchie bottiglie d’ogni colore e d’ogni sapore (…) è riferito in un verbale di Polizia, ove si legge che l’uscio, di solida e stagionata noce, era tenuto fermo da due robusti chiavistelli, da una spranga di ferro, da un lucchetto e pare anche da numerosi puntelli.

Dopo di che l’onorevole Giovanni Rastelli poteva legittimamente pensare che le sue bottiglie se le sarebbe bevute lui, o, tutt’al più, lui con gli amici. Ecco invece come avvenne il contrario:

La cantina dell’egregio onorevole, come molte di questo mondo, è sotto terra, e sotto terra, nella stessa casa di via Botero, N. 14, è pure una bottega da fabbro. Ivi erano impiegati nella qualità di garzoni quattro giovinetti. Michele Rapelli, Filippo Coggiola, Vincenzo Pidello e Clemente Ferrero. Costoro un giorno dell’estate scorso, che più degli altri invitava ai dolci ozi del loro sotterraneo, vagando di qua e di là scoprirono che una porta della loro bottega immetteva appunto lungo il corridoio proprio di fronte alla famosa cantina dell’onorevole.

Se quattro garzoni di fabbro ferraio non sanno aprire e chiudere in perfetta regola una porta di cantina, anche se chiusa con due robusti chiavistelli, con una spranga di ferro, con un lucchetto e magari assicurata coi puntelli, possono cambiare mestiere e non pensarci più.

Fu cosi che, un po’ per l’amor proprio, un po’ per l’amor delle bottiglie, in quel giorno d’estate, che più di tutti invitava ai dolci ozi del sotterraneo, incominciarono a scoprire i prodigi di quella meravigliosa collezione. Quindi furono alzati calici alla salute dell’onorevole. I quattro ragazzi continuarono un pezzo indisturbati; ma un giorno capitò loro come alla famosa gatta… la cameriera dell’onorevole, di ritorno dalla campagna, ricercando sopra uno scaffale sei fiaschi di barbera, non solo ebbe la sorpresa di trovare il posto vuoto, ma vuoto apparì, ai suoi occhi sgomenti, il posto di molte e molte bottiglie ch’erano il suo orgoglio e anche quello dell’onorevole.

Furono fatte le indagini, e la verità, se non il vino, tornò a galla. L’ultimo superstite di quei sei fiaschi di barbera fu trovato in un remoto nascondiglio dell’officina sotterranea.

I ragazzi furono arrestati, e un po’ uno, po’ l’altro finirono per confessare.

L’ottimo onorevole Rastelli dal canto suo perdonò… i brindisi fatti in suo onore, ed anche il Tribunale fu mite e condannò, condizionalmente, Rapelli, Pidello e Fornero a 5 mesi e 25 giorni di reclusione; Coggiola, perché minore degli anni diciotto, a soli 3 mesi e 15 giorni.


Concluso l’iter giudiziario di questo modesto furto, è interessante approfondire la conoscenza della vittima, l’avvocato Giovanni Rastelli: ci aiuta la recente biografia di questo personaggio scritta da Alessandro Mella (Chiaramonte Editore, 2017).

L’avvocato Giovanni Rastelli è nato a Viù (Torino) il 30 novembre 1858. Dopo una prima esperienza di studio condotta a Venezia, tornato in Piemonte, si laurea in giurisprudenza il 15 luglio 1886.

Inizia a lavorare e diventa presto uno dei più noti avvocati penalisti torinesi. Anche la sua arte oratoria si affina: nel 1908, nel processo di Don Riva, la sua arringa stupisce e impressiona gli spettatori. Ha una buona visibilità sui giornali, grazie ai numerosi processi, anche fuori provincia, cui partecipa, dai piccoli casi a quelli più clamorosi e raccapriccianti, che riempiono pagine e pagine, suscitando contrastanti emozioni e la petulante curiosità dei lettori.

Rastelli, come molti altri suoi colleghi, non esita a difendere gratuitamente un imputato quando avverte la possibilità di ricavarne visibilità mediatica, a quel tempo la miglior pubblicità.

Continua a esercitare come penalista anche se intraprende una prestigiosa carriera politica: è eletto più volte consigliere provinciale e deputato al Parlamento, d’area liberale giolittiana, per tre legislature. Rastelli deve quindi dividersi tra Viù, paese natale cui è molto legato, Torino e Roma. Ha da tempo acquistato a Torino la casa di via Botero, location della vicenda prima ricordata.

Al momento del processo, Rastelli è in procinto di affrontare la campagna elettorale più dura della sua vita, quella del 1913. Saggio ed accorto, può aver deciso di perdonare i ladruncoli, consapevole che questo suo gesto poteva giovare alla sua popolarità e procurargli maggiori simpatie. In ogni caso, viene eletto al Parlamento anche nelle votazioni del 1913.

Rastelli diviene poi noto nel maggio 1915 quando, da parlamentare fedele alla linea neutralista di Giovanni Giolitti, contribuisce a difendere il grande statista cuneese dall’aggressioni di manifestanti interventisti alla stazione di Porta Nuova a Torino.

Nel gennaio 1917, Rastelli ritorna a Viù. La stanchezza, gli anni di lotta politica, l’impegno costante e forse anche un pizzico di solitudine intima, ne hanno minato il fisico e la tempra alpestre. Una deviazione dell’aorta, occorsagli nel frattempo, lo conduce ad un rapido peggioramento. Si spegne una domenica mattina: chiude gli occhi nella sua casa nella piazza centrale del borgo, guardando, forse, quelle montagne tanto amate e mai lontane dal suo cuore, montagne che la guerra in corso stava spopolando con la morte di tanti valligiani chiamati alle armi.

Alessandro Mella - Dalle Valli di Lanzo alla Nuova Italia. Note storiche su Giovanni Rastelli, Roberto Chiaramonte Editore, Collegno, 2017.

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Articolo pubblicato il 22/01/2018