27 dicembre 2015: muore a Roma l’attore Franco Giacobini

La carriera di un attore mi porta a rievocare alcuni momenti della mia vita

Il 27 dicembre 2015, a Roma muore l’attore Franco Giacobini. Era nato in questa città il 15 marzo 1926, aveva frequentato l’Accademia nazionale d’arte drammatica, dove si era diplomato nel 1948.

A scanso di equivoci, voglio subito precisare che questo mio articolo non è un sapiente e puntale esame della carriera di un attore – come avrebbe potuto fare il nostro esperto cinefilo Fabio Mandaglio – ma è all’insegna di “Ammesso che possa interessare a qualcuno”: nello scorrere la pagina dei “morti il 27 dicembre” alla ricerca di qualche personaggio torinese da biografare, per strapparlo almeno per un attimo alle tenebre del “canton ëd la dësmentia”, mi sono imbattuto in questo attore romano che mi ha portato a rievocare alcuni momenti della mia vita.

Ammesso che possa interessare a qualcuno”, come ho detto prima, chi prosegue nella lettura lo fa a suo rischio e pericolo.

Giacobini ha interpretato più di cento film, a partire dai primi anni ‘50 e per tutti gli anni ‘60, lavorando in modo particolare come caratterista. Scorrendo gli elenchi della sua filmografia, sempre incompleti, che si trovano in rete non mi dicono nulla – anche per ragioni anagrafiche - i titoli “Il mercante di Venezia” (1952), “Papà diventa mamma” (1952), “Ci troviamo in galleria” (1953), “Lo scocciatore (Via Padova 46)” (1953), “Le amiche” (1955), “Non scherzare con le donne” (1955), “Caporale di giornata” (1958), “Adorabili e bugiarde” (1958), “Tempi duri per i vampiri” (1959), “La Cento Chilometri” (1959), “L’impiegato” (1960), “Via Margutta” (1960) e “A cavallo della tigre” (1961).

Lo ricordo invece molto bene in due film del 1961. Il primo è “I due marescialli” con regia di Sergio Corbucci, dove Totò e Vittorio De Sica erano i primi attori. Giacobini interpretava Basilio Meneghetti un ladro di polli spaurito e male in arnese che, inaspettatamente, trovava in Totò, falso maresciallo dei Carabinieri, un inaspettato protettore.

Il secondo è “Il federale” con regia di Luciano Salce: qui Giacobini appare molto brevemente per dare vita alla inquietante figura di un soldato sbandato, ammattito veramente o forse simulatore, un personaggio decisamente antiretorico che mi aveva fortemente colpito.

Sempre scorrendo la filmografia di Giacobini, leggo che ha partecipato a “La voglia matta”, film del 1962 diretto da Luciano Salce che ha lanciato Catherine Spaak. Ugo Tognazzi, industriale milanese quarantenne, si associa ad un gruppo di ragazzi che passano il fine settimana al mare: prende una cotta per la giovane Francesca (Catherine Spaak) e deve così sopportare gli scherzi degli altri componenti della comitiva. Mi pare di ricordare Giacobini che interpretava la parte di un sottomesso collaboratore dell’industriale, mentre fingeva di divertirsi alle insulse barzellette del suo principale.

Un personaggio del genere Giacobini lo impersonava anche nel film “Sissignore” con la regia di Ugo Tognazzi (1968), film che, a dire la verità, devo ancora capire adesso e del quale ricordo ancora il senso di fastidio provato durante la proiezione!

Giacobini ha invece recitato in due film che, in tempi recenti si sono collegati ai miei libri: il primo è “Lo smemorato di Collegno”, del 1962, diretto da Sergio Corbucci con Totò come mattatore (è di questo film la sua battuta “Questo viso non mi è nuovo” che commenta il formoso lato B di una signora).

La trama del film è molto liberamente ispirata al caso Bruneri-Canella, scoppiato a Torino nel 1927 e protrattosi nel tempo, si può dire fino ai nostri giorni, che ho considerato in un mio libro del 2004. Giacobini non impersona un personaggio legato alla vicenda perché è un giornalista romano che assiste al processo dello Smemorato e che si contrappone a una giornalista milanese, interpretata da Gisella Sofio, che vorrebbe apparire fredda e distaccata, ma finisce per esternare genuini impulsi emotivi.

Il secondo film, sempre del 1962, è “Totò diabolicus”, diretto da Steno, dove Totò interpreta magistralmente sei diversi personaggi, tra i quali il professore di chirurgia Carlo di Torrealta che opera Pietro De Vico da sveglio ma con una improbabile anestesia locale. Questa scena è un capolavoro di comicità.

Giacobini è il dottor Santoro, zelante e fin troppo sollecito assistente del professore Carlo di Torrealta, speranzoso di ottenere la “cattedra” per i buoni uffici resi al suo primario.

Totò diabolicus” si ricollega a un mio futuro lavoro, il progetto di una ricostruzione del caso di Diabolich, avvenuto a Torino nel 1958.

Gli altri numerosi film di Giacobini non mi evocano ricordi particolari. Apprendo ora che ha lavorato in film “pepla”, come “Ercole al centro della Terra” (1961) e “La bellezza di Ippolita” (1962), in film western, come “Vendo cara la pelle” (1967) e “Il mercenario” (1968), in “musicarelli”, come “Donne… botte e bersaglieri” e “Chimera”, entrambi del 1968, e molti altri ancora.

Con sorpresa, ho scoperto che faceva parte del cast del film “Sherlock Holmes - La valle del terrore” con regia di Terence Fisher e Frank Winterstein (1962): la pellicola non è basata sul romanzo “La valle della paura” di Conan Doyle perché nelle versioni tedesca, inglese e francese il titolo è “Sherlock Holmes e la collana della morte”. Sherlock Holmes è interpretato da Christopher Lee e il dottor Watson da Thorley Walters, Giacobini è un collezionista texano. Mi sono occupato di Sherlock Holmes in un volume collettaneo del 2004 ma non della sua sterminata filmografia… dove alcuni attori italiani hanno assunto ruoli certo più significativi di quello del Nostro.

Giacobini ha partecipato a diversi prodotti della prosa televisiva RAI. Lo ricordo molto bene nella parte di Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, nello sceneggiato televisivo “I Grandi Camaleonti”, scritto da Federico Zardi e diretto da Edmo Fenoglio, andato in onda sul Programma Nazionale in otto puntate dal 1° ottobre al 29 novembre 1964. Avevo 13 anni, ero già appassionato allo studio della storia, mi ero letteralmente “bevuto” questo sceneggiato il cui titolo alludeva al trasformismo di personaggi come Paul Barras, Joseph Fouché, Talleyrand e dello stesso Napoleone Bonaparte, che non avevano esitato a rinnegare gli ideali rivoluzionari professati all’inizio della loro ascesa politica.

Non ho più seguito Giacobini, che negli anni ‘70 si è dedicato all’attività di regista teatrale e che si è ritirato dal cinema nel 1983.

L’ho rivisto come interprete di docu-fiction prodotte dalla Nova-T di Torino dedicate ai “Santi sociali” torinesi dell’Ottocento. Ricordo in particolare “La madre dei poveri” di Paolo Damosso, dedicata alla Marchesa Giulia Colbert Falletti di Barolo e realizzata nel 2000 per conto delle Figlie di Gesù Buon Pastore, ordine fondato dalla Marchesa.

Giacobini la interpretava con la moglie, l’attrice Angela Goodwin (Roma, 1925 – 2016).

Volare più in alto”, del 1999, sempre con la regia di Paolo Damosso, è intitolata al beato Francesco Faà di Bruno. Per le riprese, Giacobini ha dovuto salire sul campanile della Chiesa di Nostra Signora del Suffragio, all’altezza di 75 metri: in una intervista lo ha definito “grattacielo filiforme” dove, a metà della salita, è rimasto per un certo tempo pietrificato dal terrore dell’altezza.

A queste due docu-fiction sono particolarmente affezionato perché sono stato per anni guida volontaria del museo “Francesco Faà di Bruno” (anche se non ho mai avuto il coraggio di salire sul campanile!) e ho spesso fatto visite alle istituzioni della Marchesa di Barolo con i miei allievi dell’Università della Terza Età: un periodo molto gratificante della mia vita che, purtroppo, ho dovuto interrompere per gravi problemi di famiglia.

Si conclude così la mia personale rievocazione della carriera dell’attore Franco Giacobini, certo incompleta e lacunosa, e che fornisce informazioni non di interesse universale: come detto in apertura, “Ammesso che possa interessare a qualcuno”…

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Articolo pubblicato il 27/12/2017