Luce di Natale

Alcune suggestioni: fra Scienza, Arte e Letteratura

Come noto, la festività cristiana del Natale discende dal rituale pagano del “Sol invictus”, celebrativo del lento ritorno alla luce dopo l’apice di buio del solstizio d’inverno. D’altro canto, anche per quanto attiene alla simbologia, il “caro eletto pargoletto” nasce – ovvero viene alla luce ­– nel corso della notte, sconfiggendo con il suo candore, foriero di speranza, non solo la tenebra del cielo ma anche quella della misera grotta ove egli “viene al freddo e al gelo”.

I suddetti virgolettati sono tratti dall’intramontabile (verrebbe da dire, nell’accezione di mai privo di luce) canto Tu scendi dalle stelle, composto nel 1754, a Nola, dall’ecclesiastico Alfonso Maria de’ Liguori per celebrare degnamente la Natività. Il titolo del brano suggerisce subito una riflessione, un librarsi col Pensiero nelle lande infinite di quell’Universo rischiarato, appunto, dalla luce delle stelle.

Il concetto e l’essenza della luce sono cruciali ai fini della comprensione dei meccanismi fisici che regolano il funzionamento del Cosmo. Senza volersi addentrare – dato il giorno di festa e la necessità di argomenti levi – nel dettaglio dell’interpretazione quantistica della luce (capace d’integrare, nell’alveo di un’unica teoria, la sua natura al contempo sia particellare sia ondulatoria), ci si limita qui a constatarne l’impiego anche solo nella (semplice) formulazione delle distanze cosmiche, espresse appunto in anni-luce. Nondimeno, essendo la velocità della luce una velocità finita (ancorché spaventosamente elevata per il nostro “tachimetro umano”, ben 300.000 chilometri al secondo), spostarsi spazialmente nell’Universo significa altresì fare un viaggio nel tempo. Infatti, studiando gli astri noi vediamo in realtà come essi fossero al momento dell’emissione effettiva della radiazione (sinonimo di luce), dunque un certo numero di anni-luce prima. Ecco allora che la stella a noi più vicina, Proxima Centauri, distando dalla Terra poco più di 4 anni-luce, ci appare com’era giustappunto 4 anni or sono. Idem per quanto concerne il Sole. Esso dista dal nostro pianeta circa 150 milioni di chilometri e la sua luce, percorrendo tale distanza alla sopra menzionata velocità, impiega per raggiungerci circa 8 minuti. Dunque, qualora per assurdo il Sole si spegnesse all’improvviso, noi malcapitati terrestri dovremmo attendere una manciata di minuti prima di accorgecene… e di rimanere anche noi al “freddo e al gelo”…, oltre che al buio!

Procedendo in questo breve volo pindarico natalizio – come suggerirebbe Albert Einstein – “a cavallo di un raggio di luce”, è d’obbligo menzionare succintamente il ruolo (come dire…) illuminante sempre rivestito dalla stessa nell’ambito delle discipline artistiche. Di nuovo, per penuria di spazio e di tempo – e qui Einstein potrebbe nuovamente inserirsi nella narrazione suggerendo la più appropriata dicitura di spaziotempo – sarebbe impossibile tratteggiare in questa sede una esaustiva Storia dell’Arte scritta dal punto di vista dei fotoni… Ci si limita dunque a proporre due istantanee, o meglio, due impressioni… Da una parte, i chiaroscuri e le atmosfere notturne proposte da Caravaggio, impastate con cromie carnose e forti; dall’altra il luminoso fastigio dell’Impressionismo, esaltazione dell’immediatezza e della spontaneità percettiva di una Pittura guidata, più che dal pennello, proprio dai sorgivi e celeri raggi di luce. Quindi, l’assenza (o penuria) di luce contrapposta alla sua totale pervasività.

 

Come ovvio, sarebbe inclemente omettere qui un breve excursus anche nell’universo della Poesia, attraverso la riproposizione di alcuni dei versi più illuminanti (e illuminati) del più fulgido panorama letterario.

Si cominci da una sensazione luminosa repentina, infinita e onnicomprensiva, alba di pensieri più intimi e profondi: Mattina, di Giuseppe Ungaretti, 1917.

M’illumino
d’immenso

 

Salvatore Quasimodo, nel suo lapidario componimento del 1930 dal titolo Ed è subito sera, propone invece il sempiterno tema della fugacità dell’esistenza umana, declinato come un irrimediabile avvicendamento fra luce e buio.

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

 

La luce, oltre al suo diafano pervadere l’aere esterno, può altresì caricarsi di un significato interiore, assurgendo a capacità di comprendere e di far chiarezza sui misteri e sul significato ultimo della vita, magari grazie alla preziosa guida di una persona amata. In merito, uno degli esempi più nitidi è probabilmente quello presentato da Eugenio Montale in un componimento del 1966, il cui titolo consta della vivida iperbole Ho sceso dandoti il braccio, almeno un milione di scale.

Ho sceso dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

 

In conclusione, si può far ritorno circolarmente sul tema di incipit, richiamando la soave luminosità di quel “Re del cielo” disceso dalle stelle, cantato da Alfonso Maria de’ Liguori nel celeberrimo componimento. Proprio le fulgide stelle e la loro invocazione sono il viatico e il paradigma migliore per il più luminoso climax della Letteratura. Infatti, attraverso un inarrestabile crescendo di luce, di speranza e di gioia, il sommo Dante ci traghetta fuori dalla labirintica “selva oscura”, protendendosi verso l’abbraccio infinito di uno spazio pervaso dal luminoso candore di quello che, per lui, è il “Re dell’universo”.

 

Inferno, canto XXXIV

Salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch’i’ vidi de le cose belle
che porta ‘l ciel, per un pertugio tondo.

E quindi uscimmo a riveder le stelle.

 

 

Purgatorio, canto XXXIII

Io ritornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinnovellate di novella fronda,

puro e disposto a salire alle stelle.

 

 

Paradiso, canto XXXIII

A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,

l’amor che move il sole e l’altre stelle.

 

A tutti i lettori di Civico 20 News, un sereno e luminoso augurio di Buon Natale!

 

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Articolo pubblicato il 25/12/2017