La formazione come tutela

Una sfida per l’impresa e per i lavoratori

 La tutela non è più la tutela contro il licenziamento. Le tutele sono le competenze e l’aggiornamento professionale”. È passaggio significativo dell’ultimo di Francesco Seghezzi, direttore della Fondazione Adapt, “La nuova grande trasformazione” (Adapt University Press).

Uno dei capitoli del libro si intitola non a caso “Le competenze come nuovo welfare”. In questa guida sulla direzione in cui sta andando il lavoro, l’autore legge la questione sia dal punto di vista dell’impresa sia da quello del lavoratore.

Scrive, infatti, che “Se l’impresa vuole avere una funzione sociale, deve investire nella formazione”. Sul fronte del dipendente, invece, “la formazione diventa uno dei principali oggetti di scambio nella contrattazione. Il lavoratore la chiede all’impresa, ma la stessa impresa ha bisogno di lavoratori altamente qualificati, ed è disposta a pagare di più per le loro competenze”.

Un evidente cambio dei contenuti delle relazioni industriali, che cambia (dovrebbe invitare a cambiare) il ruolo del sindacato. A questo proposito, Seghezzi chiarisce che “Il sindacato deve guadagnare una dimensione sempre più legata alle professioni, seguendo il lavoratore durante tutta la sua carriera, e non solo sul posto di lavoro”.

Nella consapevolezza che non si può eludere, in un mondo in costante cambiamento, la sfida della formazione permanente. Questo vale ancor di più in un Paese come l'Italia, con un basso tasso di occupazione e un welfare in via di disgregazione.

Da noi, come già rilevava la recente indagine conoscitiva svolta dalla commissione Lavoro del Senato su "L'impatto sul mercato del lavoro della quarta rivoluzione industriale", il cambio di paradigma “potrebbe accentuare le disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza, la diffusa paralisi della mobilità sociale e la povertà assoluta”.

Proprio per questo, l’indagine indicava che “occorre costruire un nuovo modello di mercato del lavoro "inclusivo, perché potenzialmente in grado di offrire un'opportunità a tutti", ma che tenga conto delle nuove esigenze: formazione continua, competenze digitali, armonizzazione di un sistema di collocamento che metta in rete le scuole, le università, i centri per l'impiego, senza più delegare le politiche del lavoro alle emergenze.

Serve garantire "una vita buona" che non venga totalmente pervasa dal lavoro”.

La formazione, in quest’ottica, è tutela: la “Lifelong learning” è welfare. Comprenderlo, per imprese e lavoratori, è indispensabile.

Marco Margrita

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Articolo pubblicato il 23/12/2017