Roma. Alla Fondazione Lepanto, Socci parla sull’inferno di Dante e quello del nostro tempo.

Affermazioni che inducono alla riflessione.

La Fondazione Lepanto ha ospitato, lo scorso 4 dicembre, il noto giornalista e scrittore cattolico Antonio Socci, autore di numerosi libri di successo, per una conferenza dal tema: L’inferno di Dante e quello del nostro tempo. Nel corso dell’incontro, svoltosi in una sala conferenze gremita per l’occasione in ogni ordine di posti, Socci ha presentato il suo ultimo libro: Amor perduto. L’Inferno di Dante per contemporanei (Piemme, 2017).

In un dialogo con il professor Roberto de Mattei e con il pubblico presente, l’autore ha spiegato il senso del libro e la sua attualità ed ha risposto alle numerose domande postegli. Egli ha esordito rivelando di aver posto mano al libro diversi anni fa, mosso dall’intento di lasciare al figlio un’opera sulla Divina Commedia, che è un capolavoro dimenticato ma è alla base della lingua e della letteratura italiana, nonché della nostra stessa identità nazionale. La stesura ha poi richiesto molti anni di lavoro, ma l’attualità dell’argomento è assicurata dall’oblio che nel frattempo è caduto, in ambito cattolico, sulla terribile realtà dell’Inferno, di cui si parla poco o si preferisce non parlare affatto.

A conferma di ciò, Socci ha ricordato un’intervista di Eugenio Scalfari a Papa Francesco, apparsa su Repubblica alcuni mesi fa, in cui il giornalista addirittura attribuisce al regnante Pontefice l’idea secondo cui le anime che muoiono fuori dalla Grazia di Dio, lungi dal cadere nell’Inferno, smetterebbero semplicemente di esistere. In realtà, ha spiegato Socci, ogni atto della vita umana è decisivo per il suo destino eterno. Ogni respiro e ogni palpito del nostro cuore sono sotto gli occhi di Dio, che vuole salvarci ma non lo farà a dispetto nostro.

Il dramma della vita umana sta tutto in questa possibilità di perdere il fine ultimo per il quale siamo stati creati. Davanti all’uomo, Dio, che si strugge d’amore per lui, ha come fermato la Sua onnipotenza, in attesa di un sì.

Dante all’inizio della Divina Commedia parte da una condizione disperata, di infelicità e smarrimento, che simboleggia la condizione umana di ogni tempo, la cui causa ultima è nel peccato originale e da lì intraprende un vero e proprio cammino penitenziale, non con le proprie forze, ma grazie ad una catena divino umana che, partendo dallo sguardo di Maria, si mette in moto per salvarlo e lo porta dal profondo dell’Inferno fino alla sommità del Paradiso. In tutta la Divina Commedia, Dante fa ben 57 appelli ai lettori, ai quali chiede di rifare il suo cammino di conversione personale.

Visto che nel 2017 ricorre, tra gli altri, il centenario della Rivoluzione bolscevica in Russia, il discorso si è quindi spostato sul comunismo, vero Inferno del nostro tempo, che sembra aver  pervaso anche la mentalità di alcuni uomini di Chiesa. A tal proposito, Socci ha evidenziato che la generazione attuale sta assistendo, per la prima volta nella storia, a una completa perdita della fede in Occidente.

Il comunismo è stato erroneamente interpretato come un’eresia cristiana (così lasciando intendere che fosse in qualche modo riconducibile al Cristianesimo e con esso amalgamabile), mentre in realtà è stato qualcosa di tremendamente più serio: il tentativo più forte mai operato dall’uomo di eliminare Dio dalla storia.

Quando il comunismo è finito, i cattolici purtroppo non hanno aiutato gli ex comunisti ad uscire dalla via giusta. La sinistra, specie quella italiana, è divenuta il braccio operativo della globalizzazione liberal. E la Chiesa oggi  abbraccia le proposte nichiliste della nuova sinistra mondialista. Ma la Chiesa prevale sempre, nel tempo e nell’eternità

Tommaso Monfeli

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Articolo pubblicato il 26/12/2017