La “Torino noir” vista e narrata da Milo Julini

Il falso agente di pubblica sicurezza

Nel raccontare questa vicenda nella sua Rivista dei Tribunali della “Gazzetta Piemontese” del 28 gennaio 1877, il cronista giudiziario Basilius si diverte.

In primo luogo, la vicenda gli permette di descrivere – con il consueto senso di superiorità del cittadino – le disavventure torinesi di un paesanotto astigiano: Vincenzo Ogliengo di Cocconato che, nel 1876, ha deciso di venire a Torino per godersi gli ultimi giorni di carnevale.

Ogliengo se ne va in giro per tutto il santo giorno di martedì grasso, con gli occhi spalancati per la meraviglia nel vedere le mascherate. Alla fine, arriva in piazza San Carlo, al tempo sede della fiera enologica, «dove stavano attorno attorno schierate le bottiglie, i litri, e i mezzi litri, forse in onore dell’eroe di San Quintino», gioco di parole tra la battaglia, combattuta il 10 agosto 1557 e vinta dall’esercito spagnolo comandato da Emanuele Filiberto, e il quintino, misura del vino servito nelle osterie, secondo la scala del sistema metrico decimale che prevede il doppio litro o pintone, il litro, il mezzo litro, il quartino, il quintino e il decimino.

«La tentazione era troppo forte per un astigiano, e il nostro uomo cominciò sulla fiera enologica una lunga via crucis con frequenti stazioni gaudiose, finché si trovò ubbriaco fradicio».

A questo punto, Ogliengo pensa di andarsene a letto e si avvia in direzione di Porta Susa, dove si trova la sua locanda. Il viaggio si rivela piuttosto faticoso e non privo di pericoli perché le gambe malferme non procedono in linea retta, ma lo portano a ondeggiare da una parte all’altra della via, urtando nelle botteghe e nei muri. Poi, a un certo punto, le gambe gli si piegano adagino adagino, e Ogliengo scivola a terra, le palpebre gli si chiudono e si addormenta («Morfeo se lo strinse amorosamente fra le braccia»).

Malgrado il freddo della notte invernale, Ogliengo dorme profondamente. Ad un tratto viene svegliato da un individuo che lo scuote per gli abiti mente gli ordina di alzarsi.

- Che cosa fate qui? - domanda il nuovo venuto.

- Dormo, come vede.

- Avete le vostre carte in regola?

- Non ho carte con me.

- Allora io sono obbligato a perquisirvi.

- E lei chi è, di grazia?

- Io sono un agente della forza pubblica, - e così dicendo fruga nel panciotto e nella giacchetta di Ogliengo e si prende il portafoglio e i soldi, in tutto lire 3,30.

- O perché mi prende il denaro?

- Silenzio: ora si va alla sezione Moncenisio, e se non vi sarà nulla in contrario, sarete posto in libertà immediatamente e avrete la restituzione del denaro.

Così i due si dirigono all’ufficio della sezione Moncenisio. Quando giungono in vicinanza dell’ufficio, il sedicente agente della forza pubblica dà uno schiaffo a Ogliengo, dicendogli: «La sezione Moncenisio è qui» e, infilata un’altra via, se la dà a gambe.

Il fuggitivo non ha ancora fatto cinquanta metri di strada, quando un bersagliere di un vicino corpo di guardia, sentendo Ogliengo che grida “Al ladro!”, lo agguanta e, saputo di che si tratta, lo porta davvero alla sezione Moncenisio.

Qui l’arrestato dichiara subito di chiamarsi Luigi Boffen, di Milano, di essere una ex guardia di pubblica sicurezza e confessa che quando è rimasto senza denaro ha avuto la cattiva idea di cercarlo nelle tasche altrui.

La confessione di Boffen rende facile e veloce l’istruttoria del processo e così in breve viene mandato al Tribunale Correzionale, accusato di furto con destrezza. Ma il Tribunale ritiene che Boffen ha abusato del titolo di pubblico ufficiale e così la sua depredazione assume i caratteri del reato di grassazione (rapina accompagnata da violenza), si dichiara incompetente e manda l’accusato alla Corte d’Assise, dove viene processato il 23 gennaio 1877.

La pubblica accusa, rappresentata dal sostituito procuratore generale, cavalier Masino, sostiene energicamente l’accusa di grassazione.

La difesa è rappresentata dall’avvocato Basilio, questa volta nella veste di legale e non del suo avatar, il cronista giudiziario Basilius.

Da parte sua, Basilius si diverte a presentarsi così ai suoi lettori «… un faccione roseo, con una larga bocca sdentata e sorridente».

L’avvocato Basilio sostiene che Boffen non ha commesso né una grassazione, né una rapina, ma semplicemente un furto: riesce a convincere i giurati che non è giusto infliggere una pena criminale ad un individuo che in passato è sempre stato galantuomo per una depredazione di valore così minimo.

I giurati rispondono quindi negativamente alle domande che sono state loro proposte soltanto sulle accuse di grassazione e di rapina: così Boffen, reo confesso, è dichiarato innocente.

«Il carcere preventivamente sofferto per undici mesi gli avrà almeno servito di lezione», conclude Basilius: forse dà voce all’avvocato Basilio che difficilmente sarà stato pagato dal suo cliente.

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Articolo pubblicato il 10/12/2017