La corruzione affonda l’Italia ed arricchisce i parassiti istituzionali

Malesseri endemici duri a morire, anzi favoriti

Dunque è ufficiale: gli organismi internazionali hanno riconosciuto ciò che molti italiani hanno sempre saputo: il primato non solo europeo, ma (quasi) mondiale, della corruzione spetta all’Italia.

Qui, da anni, vengono proposti alla pubblica opinione due capri espiatori della mancata o lentissima crescita economica: il costo del lavoro e l’automazione.

È un caso di mistificazione da manuale, attuata con la complicità di tutti i poteri formali e di fatto della società: governo, partiti e sindacati, mass-media e associazioni imprenditoriali, centri di rilevamento statistico, economisti.

Questa unanimità della classe dirigente nel disegno di scaricare sulla generalità dei cittadini e sulla tecnologia non solo le conseguenze, ma anche la responsabilità della crisi italiana, è la testimonianza più eloquente che la Repubblica è soltanto nominalmente fondata sulla sovranità popolare e sul pluralismo, mentre in sostanza è un regime: da un lato la nomenklatura, dall’altro i sudditi.

Ai gerarchi il potere, il privilegio, l’impunità, ai sudditi il dovere, i sacrifici, le responsabilità. Agli uni, moltiplicazione di cariche, emolumenti, tangenti, evasioni fiscali, pensioni d’oro; agli altri, disoccupazione, lavoro nero, precariato, pensioni di fame. Insomma, sulle spalle dei cittadini-qualunque, che vivono sempre più faticosamente, i cittadini-speciali, che si arricchiscono parassitariamente.
I freni dell’Italia non sono la congiuntura internazionale, del resto oggi favorevole, tanto meno il costo del lavoro effettivamente riscosso dai lavoratori pubblici e privati, in genere insufficiente “ad assicurare a se’ ed alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”, secondo il dettato costituzionale e l’esigenza della ragione.

La zavorra dell’economia sta altrove, nell’esercito dei parassiti istituzionali, nelle corporazioni degli assistiti, dei sovvenzionati, dei “gettonati”, annidati a milioni in un’Italia resa groviera, con l’alibi delle autonomie e della partecipazione.

Questo mondo di mantenuti è variegato, ha declinazioni diverse di quelli dei regimi totalitari, contempla tessere e divise diverse; ma, a ben guardare, il copione è unico, la legge della conservazione è la stessa, identica l’arroganza. Comune il denominatore: incompetenza e, soprattutto, corruzione.

Non si tratta semplicemente dei ricorrenti e diffusi peculati, delle malversazioni, concussioni, tangenti, evasioni fiscali, che pure costituiscono un fiume di ricchezza sottratto alla Nazione.

Si tratta, anche e soprattutto, della elefantiaca impalcatura politico-sindacale, aggiunta e sovrapposta a quella storica degli Stati: dalle segreterie particolari dei ministeri e degli assessorati alle burocrazie degli enti pubblici, economici e non, della Rai-TV e delle ASL, ai “distacchi” e “comandi” per assicurare ai sindacati e ai partiti personale retribuito dalla comunità.

Si tratta delle cooperative sociali, delle ong, del volontariato professionale, che agevolano ” l’accoglienza”, greppia succulenta di sussidi, sovvenzioni, caporalato, lavoro nero e spaccio. La corruzione che affonda l’Italia è il costo del regime.

Pietro Cerullo

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 20/11/2017