La “dichiarazione di Parigi” e il futuro dell’Europa

Corriamo pericoli, spacciati per conquiste

Il 7 ottobre 2017, data certamente non casuale in cui ricorre l’anniversario della battaglia di Lepanto in cui l’Europa cristiana fermò l’avanzata islamica.

Alcuni dei più importanti intellettuali europei – tra i quali il filosofo britannico Roger Scruton, l’ex ministro polacco dell’Istruzione Ryszard Legutko e lo studioso tedesco Robert Spaemann – hanno firmato la cosiddetta “Dichiarazione di Parigi” che prende il nome dalla città in cui un gruppo di studiosi e intellettuali conservatori si è incontrato nel maggio 2017 per discutere riguardo il preoccupante stato di salute della politica, della società e della cultura europea, sempre più afflitte dall’attuale processo di secolarizzazione e dal logorante morbo del relativismo etico.

Da tale incontro è emersa l’utilità di una dichiarazione pubblica, un vero e proprio manifesto, con il quale riaffermare con forza i principi e i valori fondanti dell’Europa.

Il risultato è «Un’ Europa in cui possiamo credere», un documento in 36 paragrafi in cui, punto per punto, vengono elencate con chiarezza le peculiarità e le virtù della “vera Europa”, sempre più minacciata dai vizi e dalle storture della “falsa Europa” che pretende rinnegare e mettere in soffitta il suo inscindibile e glorioso passato storico: «L’Europa, in tutta la sua ricchezza e la sua grandezza, è minacciata da una falsa concezione di se stessa.

Questa Europa falsa immagina di essere la realizzazione della nostra civiltà, ma in verità sta requisendo la nostra casa. Si appella alle esagerazioni e alle distorsioni delle autentiche virtù dell’Europa, e resta cieca di fronte ai propri vizi. Smerciando con condiscendenza caricature a senso unico della nostra storia, questa Europa falsa nutre un pregiudizio invincibile contro il passato.

I suoi fautori sono orfani per scelta e danno per scontato che essere orfani ? senza casa ? sia una conquista nobile. In questo modo, l’Europa falsa incensa sé stessa descrivendosi come l’anticipatrice di una comunità universale che però non è né universale né una comunità».

I firmatari della dichiarazione di Parigi sottolineano come i fautori della nuova Europa anti-cristiana stiano, in maniera inconsapevole e scellerata, segando il secolare, ma solido e fecondo, ramo sul quale sono comodamente seduti: «I padrini dell’Europa falsa sono stregati dalle superstizioni del progresso inevitabile. Credono che la Storia stia dalla loro parte, e questa fede li rende altezzosi e sprezzanti, incapaci di riconoscere i difetti del mondo post-nazionale e post-culturale che stanno costruendo. Per di più, ignorano quali siano le fonti vere del decoro autenticamente umano cui peraltro tengono caramente essi stessi, proprio come vi teniamo noi. Ignorano, anzi ripudiano le radici cristiane dell’Europa. Allo stesso tempo, fanno molta attenzione a non offendere i musulmani, immaginando che questi ne abbracceranno con gioia la mentalità laicista e multiculturalista. Affogata nel pregiudizio, nella superstizione e nell’ignoranza, oltre che accecata dalle prospettive vane e autogratulatorie di un futuro utopistico, per riflesso condizionato l’Europa falsa soffoca il dissenso. Tutto ovviamente in nome della libertà e della tolleranza».

Il documento sottolinea inoltre come i promotori della “falsa Europa” abbiano perseguito un fallimentare e suicida progetto multiculturalista fondato sul nuovo totem dell’eguaglianza: «L’Europa falsa si vanta pure di un impegno senza precedenti a favore dell’eguaglianza. Pretende di promuovere la non-discriminazione e l’inclusione di tutte le razze, di tutte le religioni e di tutte le identità. In questo campo sono stati effettivamente compiuti progressi veri, ma il distacco utopistico dalla realtà ha preso il sopravvento. Negli ultimi decenni, l’Europa ha perseguito un grandioso progetto multiculturalista. Chiedere o figuriamoci promuovere l’assimilazione dei nuovi arrivati musulmani alle nostre usanze e ai nostri costumi, peggio ancora alla nostra religione, è stata giudicata un’ingiustizia triviale. L’impegno egualitario, ci è stato detto, impone che noi abiuriamo anche la più piccola pretesa di ritenere superiore la nostra cultura».

Un piano, oltre che fallimentare, paradossale, in quanto reso possibile e praticabile proprio grazie all’accomodante retroterra culturale cristiano dell’Europa: «Paradossalmente, l’impresa multiculturale europea, che nega le radici cristiane dell’Europa, vive in modo esagerato e insopportabile alle spalle dell’ideale cristiano di carità universale. Dai popoli europei pretende un grado di abnegazione da santi. Denunciamo quindi il tentativo di fare della completa colonizzazione delle nostre patrie e della rovina della nostra cultura il traguardo glorioso dell’Europa nel secolo XXI, da raggiungere attraverso il sacrificio collettivo di sé in nome di una nuova comunità globale di pace e di prosperità che sta per nascere».

Il manifesto per il ritorno ad un’“Europa vera”, in reazione all’odierno clima culturale sottomesso all’inconfutabile “gender diktat”, ribadisce infine l’unicità del matrimonio tra uomo e donna, affermando: «Il matrimonio è il fondamento della società civile e la base dell’armonia fra gli uomini e le donne. È il legame intimo tra un uomo e una donna che si organizza per il sostentamento della famiglia e per la crescita dei figli. Noi affermiamo che i ruoli più fondamentali che abbiamo sia nella società sia in quanto esseri umani sono quelli di padri e di madri. Il matrimonio e i figli sono parte integrante di qualsiasi prospettiva di prosperità umana. (…) Noi pertanto auspichiamo politiche sociali prudenti che incoraggino e rafforzino il matrimonio, la maternità e l’educazione dei figli. Una società che non accoglie i figli non ha futuro».

La tanta temuta e agitata “bomba demografica” profetizzata nel 1968 da Paul Ehrlich nel suo libro The Population Bomb è infatti scoppiata tra le mani dei suoi teorizzatori. A tale riguardo, recenti studi delle Nazioni Unite, circa le prospettive europee in materia di popolazione, hanno attestato come gli europei, che oggi sono 742 milioni, sono destinati ad essere 715 nel 2050, per crollare a 653 nel 2100.

Nel giro di trent’anni l’Europa perderà dunque circa 30 milioni di abitanti, per cambiare totalmente faccia nello spazio di pochi decenni. Come si legge in un interessante articolo di Giulio Meotti, pubblicato su sito della Gatestone Institute: «La Germania è destinata a perdere undici milioni di persone; la Bulgaria passerà da sette a quattro milioni; l’Estonia da 1,3 milioni a 890 mila; la Grecia da undici a sette; l’Italia da 59 a 47 milioni; il Portogallo da dieci a sei milioni; la Polonia da 38 a 21 milioni; la Romania da 19 a 12 e la Spagna da 46 a 36 milioni. La Russia perderà venti milioni di abitanti, da 143 a 124 milioni».

Gli unici paesi dove è stata prevista una crescita demografica sono quelli dove è presente un’alta percentuale di immigrazione musulmana: «Fra i paesi in cui si prevede un aumento della popolazione spiccano la Francia, che passerà da 64 a 74 milioni di abitanti, e il Regno Unito da 66 a 80. Anche Svezia e Norvegia cresceranno: da nove a tredici milioni la prima, da cinque a otto la seconda. Il Belgio, che conta 11 milioni di abitanti, dovrebbe guadagnarne due milioni. Questi cinque paesi europei sono anche tra quelli con la più alta percentuale di musulmani».

Una prospettiva confermata anche dall’economista francese Charles Gave che recentemente ha dichiarato come il 2057 sarà per la Francia l’anno del sorpasso demografico islamico. Una tendenza in linea con un altro paese ad altissimo tasso di immigrazione islamica, il Regno Unito, dove l’Office of National Statistics ha reso noto che quest’anno Muhammad è divenuto il nome più popolare nel paese fra i nuovi nati ed è «senza dubbio il più diffuso se si considerano le sue variazioni».

Stesso copione per le quattro città più grandi dei Paesi Bassi e per la capitale della Norvegia, Oslo, dove Mohammed è il nome più diffuso non solo tra i nuovi nati, ma anche tra gli uomini presenti in città. In tale scenario suonano profetiche e quanto mai attuali le parole pronunciate il 13 maggio 2004 dall’allora cardinal Joseph Ratzinger presso la Sala del Capitolo del Senato «L’Europa, proprio nell’ora del suo massimo successo, sembra svuotata dall’interno, come paralizzata da una crisi circolatoria, una che crisi che mette a rischio la sua vita affidandola a trapianti che ne cancellano l’identità. Al cedimento delle forze spirituali portanti si aggiunge un crescente declino etnico. C’è una strana mancanza di voglia di futuro. I figli, che sono il futuro, vengono visti come una minaccia per il presente. (…) Non vengono sentiti come una speranza, bensì come una limitazione. Il confronto con l’Impero Romano al tramonto si impone: esso funzionava ancora come grande cornice storica, ma in pratica viveva già di quei modelli che dovevano dissolverlo, aveva esaurito la sua sua energia vitale».

Lupo Glori

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Articolo pubblicato il 13/11/2017